Riprendiamo con questa puntata pilota una vecchia rubrica accantonata nel tempo per altre priorità (e per il capogiro che provoca il contatto prolungato con le miserie quotidiane della città e dei suoi cronisti).
Negli ultimi due anni il ruolo nefasto dei media di regime, con il loro miscuglio di ideologia, servilismo e superficialità, si è riproposto in modo drammatico come uno dei maggiori e più subdoli strumenti di oppressione e di governo dello stato d’emergenza pandemico. Abbiamo sentito allora il bisogno di riprendere il filo del discorso, e di ripartire da Napoli. I suoi giornalisti e opinionisti non sono né migliori né peggiori di altri, ed è vero che il peso della stampa locale si fa ogni giorno più ristretto, la sua influenza sulle giovani generazioni sempre più impalpabile. Resta comunque una finestra aperta, nella sua candida brutalità, sull’idea di città coltivata dalle sue “classi dirigenti”, dai suoi esegeti e dai suoi lacchè. Ci torna utile come promemoria. E come ammonimento.
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Era il settimo anno di guerra ed era mezzogiorno. Michelino vagava tra le rovine di una città che non esisteva più: non esistevano i suoni, non esistevano le strade, solo silenzio rosso di paura tra cocci rotti che crepitavano. Ogni tanto Michelino toglieva il casco, si asciugava il sudore. In quei momenti, a occhi chiusi, aveva lampi tra le palpebre, immagini di quando era bambino. Sì, ma quando era stato bambino? Ora quanti anni aveva? La guerra ai giovani aveva cancellato tutto, anche i calendari.
Tornarci a vivere dopo oltre quaranta anni confonde i sentimenti e le idee. È come se il tempo qui si fosse ripiegato su se stesso: è passato, eccome, e si vede. Ma proprio mentre scopri le tracce del suo scorrere, hai insieme l’impressione che ogni mutamento, l’insieme di tutto quello che è successo, alle persone e alle cose, riporti sempre allo stesso punto. […] Cinquant’anni fa la classe operaia era una realtà forte e riconoscibile in città: e i suoi valori, il suo stile di vita, i suoi comportamenti, i suoi legami stavano offrendo un modello e un riferimento alla parte più in sofferenza della popolazione, compreso il suo immodificabile fondo plebeo. […] Ora, di quella presenza non si vedono più nemmeno le tracce, se non nelle rovine che ancora riempiono i luoghi del suo lavoro e delle sue conquiste; Bagnoli, la zona industriale a oriente della città: ne sta svanendo finanche la memoria. E chi ha preso il suo posto? Esito, e ho persino paura a scrivere la risposta che ho in mente. (professor aldo schiavone, corriere del mezzogiorno, 19 gennaio)
Michelino non ricordava neanche l’inizio di quella guerra. Era, a pensarci bene, una guerra stupida. Scoppiata per caso, forse per scherzo. Un fuoco che aveva preso sembianze umane ed era diventato un simbolo.
Un gruppo di ragazzini per “festeggiare” Sant’Antuono ha appiccato il fuoco a tre falò su tre punti diversi della piazza, uno al centro di piazza Mercato, incendiando alcuni cassonetti per la raccolta dei rifiuti, un altro sulla facciata laterale della monumentale chiesa di Sant’Eligio (datata 1270), a pochi passi dalla sede Asso.gio.ca. e un altro nell’area pedonale di via Sant’Eligio. «Ci auguriamo che i piccoli delinquenti vengano presi e condannati per quello che hanno fatto», commenta il consigliere regionale di Europa Verde Francesco Emilio Borrelli. (vincenzo esposito, corriere del mezzogiorno, 19 gennaio)
Ai vecchi non andava giù un certo modo di vivere dei ragazzini di quella città. Quale città? Quell’ammasso di pietre e polvere per Michelino non aveva più un nome. Ricordava bene, però, un certo modo di fare dei vecchi, qualcosa che ancora gli bruciava dentro e lo riportava alle ragioni del disprezzo profondo che aveva innescato la scintilla sette anni prima.
Li abbiamo chiamati muschilli quando erano inconsapevoli corrieri della droga per conto di genitori e persino nonni senza scrupoli, poi sono diventati branco e babygang – delinquenti da quattro soldi che dei boss mutuavano gli atteggiamenti spalleggiandosi l’un l’altro – fino a ritrovarceli un giorno organizzati in paranze: violenti, spavaldi, soprattutto armati fino ai denti, non più soltanto copia ma essi stessi clan, padroni dello spaccio, registi o almeno comprimari nella gestione degli equilibri criminali, dei traffici e degli affari di camorra in pezzi interi di territorio. […] Certo questo è un fattore che ha il suo peso, tanto da dare fiato e argomenti al partito che vorrebbe la sistematica sottrazione dei minori ai genitori che delinquono. Soluzione pratica, che andrebbe sicuramente incentivata anche per le implicazioni psicologiche che finirebbe per avere su padri e madri borderline: i figli so’ pezzi ‘e core e la minaccia costante di perderli spingerebbe più genitori sulla strada di una educazione corretta. […] Ed è questo clima ad aver trasformato quei ragazzini, figli di pregiudicati i cui frequenti arresti volevano in qualche modo vendicare, in bombaroli, così come il clima di perenne sopraffazione, in cui solo chi è armato vince. (marilicia salvia, il mattino, 18 gennaio)
Delinquenti, bombaroli, spavaldi, armati, educazione, scrupoli, paranze: parole che Michelino scandiva una dopo l’altra senza riuscire più a decifrarle. Senza rendersene conto era arrivato a una delle roccaforti dei vecchi.
Palazzo della camorra a Pizzofalcone. «La situazione è ancora priva di regole» (il mattino, 20 gennaio)
Capì di essere entrato nella zona sbagliata. La città governata dai vecchi era ancora intatta. C’erano strade, acquedotti e autobus. Intatta, sì, ma marcia e corrotta. Una città in cui anche i morti non se la passavano bene.
A Napoli non mancano mai le sorprese. Non bastavano i taxi e le ambulanze senza assicurazione: adesso nell’elenco dei trasgressori finiscono addirittura i carri funebri. Sono stati alcuni controlli su strada dei carabinieri a far emergere il fenomeno: il “caro estinto” viaggiava su veicoli non coperti da polizze assicurative. Così la salma è stata spostata su un altro mezzo. (leandro del gaudio, il mattino, 19 gennaio)
Una città che si attaccava in maniera morbosa alle proprie divinità.
Il caffè, o meglio la tazzulella di caffè, è pronto a diventare patrimonio immateriale dell’umanità dell’Unesco. Ieri l’ufficializzazione della candidatura de “Il caffè espresso italiano tra cultura, rito, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche da Venezia a Napoli” dopo l’approvazione all’unanimità da parte del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. (corriere del mezzogiorno, 21 gennaio)
Una città – quella dei vecchi – che stabiliva regole ferree che valevano solo per gli sciagurati.
Quintali di “roba” portati via dalla Galleria Umberto I. Letti di fortuna, coperte, cartoni, immondizia, rimasugli di ubriacature. Qualche arredo. Le esistenze dei più sfortunati sono state raccolte e accatastate in piccole piramidi su via Verdi, per poi essere trasportate dai camion Asia lontano dal primo salotto della città. […] Ma «non chiamiamolo sgombero». (gennaro de biase, il mattino, 21 gennaio)
Una città che aveva tutte le risposte e aveva finito le domande.
Una cosa che non metterebbe mai sulla pizza? «La frutta. Poi, volendo» – per quanto riguarda mais, panna, wurstel e roba(ccia) simile – «ci possiamo pure ragionare, ma pere, mele, banane, pezzi d’ananas o, peggio, fette di kiwi, proprio no». […] Niente frutta, insomma. «Per carità». Preferisce il wurstel? «Mammamia, no. Però non metto limiti. Le mode cambiano e i gusti pure. Quello che oggi mi sembra impossibile domani potrebbe non esserlo». Si spieghi meglio. (maria chiara aulisio intervista ciro salvo, il mattino, 21 gennaio)
Partiamo dalla domanda finale: quando entreranno in circolazione i treni della metropolitana? La risposta è semplice: non si sa. (paolo barbuto, il mattino, 21 gennaio)
Da questa città Michelino fuggì velocemente, prima che le guardie elettroniche potessero individuarlo.
È bene dunque che si sappia che da Posillipo al Vomero, da Barra al centro storico, ci sono centinaia di telecamere che fanno bella mostra dei loro impianti senza illuminare agli occhi degli investigatori (così come anche della Polizia municipale, che pure ha un ruolo importante sul piano della mobilità e della incidentistica stradale) alcunché. Telecamere cieche. E dunque inutili. (giuseppe crimaldi, il mattino, 20 gennaio)
Tornò tra le macerie che conosceva. Doveva essere cominciato come uno scherzo, poi qualcuno aveva esagerato. Altri avevano preso la cosa troppo seriamente, cominciando a parlare dei ragazzini come di una specie esotica invasiva, che andava estirpata per non minare l’ecosistema napoletano.
A sedici anni, per una bravata con gli amici, appiccò il fuoco al monte Saretto, a Sarno: l’incendio fu devastante, con venti ettari di vegetazione distrutti e trecento persone evacuate. Oggi Giuseppe di anni ne ha diciotto ed è una persona diversa: ha chiesto scusa ai suoi concittadini e, dopo avere intrapreso un difficile percorso di rieducazione presso la comunità Jonathan di Scisciano, è stato assolto; ora è un volontario, impegnato proprio nella ricostruzione e nella salvaguardia del bosco devastato (titti beneduce, corriere del mezzogiorno, 20 gennaio)
La riflessione di Sales si conclude con una serie di proposte. Si va da un prestito alla nascita, da rinnovare sulla base della frequenza scolastica per tutti gli anni di obbligo, a una tassazione differenziata nei quartieri con più alto tasso di reati commessi. Dalla costituzione di più equipe multidisciplinari che dovrebbero seguire l’andamento scolastico dei bambini a rischio, al finanziamento di ricerche sulla recidiva anche per chi non è stato messo alla prova. (marco demarco, corriere del mezzogiorno, 20 gennaio)
Erano le 15. Cominciavano i bombardamenti dei vecchi. Michelino trovò riparo sotto l’insegna ancora in piedi di una friggitoria distrutta. Cominciò a pensare alla sua fine, e alla fine del mondo.
Ieri sera ho visto il film con Leonardo Di Caprio che racconta la fine del mondo per colpa di un impatto con una cometa. Alla fine del film ho pensato due cose che ora provo velocemente a dire qui. La prima è che la fine del mondo potrebbe andare diversamente. Più che per un incidente cosmico o per un disastro climatico o virale, potremmo semplicemente morire per sfinimento, come mosche che si sono stancate di volare e ognuna va a spegnersi sotto un vetro sporco. (franco arminio, repubblica napoli, 20 gennaio)
a cura di davide schiavon
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