
Con l’uscita polemica dell’assessore Realfonzo dalla giunta de Magistris, molto simile nei modi all’abbandono della giunta Iervolino da parte dello stesso Realfonzo, torna d’attualità la figura del riformatore solitario, le cui buone intenzioni finiscono stritolate nella morsa del sistema della politica. Naturalmente la vicenda non può ridursi alla contrapposizione tra le ricette dell’economista Robin Hood e il brusco pragmatismo del sindaco, che pure l’aveva scelto come alleato in campagna elettorale. Eppure, la mancanza di trasparenza che avvolge l’operato di chi assume responsabilità di governo – e ancor più quando si dota di appositi assessorati alla trasparenza – contribuisce a questa rappresentazione del potere come meccanismo opaco, misterioso, che reagisce espellendo il corpo estraneo che prova a correggerne le immutabili debolezze. Storie del genere si moltiplicano nei paesi dove la violenza e la corruzione hanno superato da tempo il livello di guardia. Ho qui invece un caso più estremo di quello che coinvolge il nostro assessore al bilancio, ambientato però in un luogo insospettabile, a causa dell’ottima fama di cui gode la sua amministrazione pubblica.
È la storia di Itziar Gonzalez, nata e cresciuta a Barcellona, architettopoco più che quarantenne, grande esperienza come mediatrice nei conflitti urbanistici tra istituzioni e abitanti, e proprio per questa sua capacità scelta dal partito socialista catalano per il ruolo di regidora di Ciutat Vella, una specie di presidente di municipalità del centro storico, ma con più poteri di quelli dei nostri presidenti. Itziar era diventata un personaggio pubblico dieci anni fa, durante la ristrutturazione di una piazza importante di Barcellona che negli anni Settanta era stata rovinata da una scala mobile. Gli abitanti del quartiere, che non si fidavano più del comune, l’avevano chiamata come tecnico indipendente. Lei aveva disegnato le sue proposte e poi aveva affittato un locale per mostrare il progetto e raccogliere critiche e suggerimenti. La stampa aveva dato risalto al metodo e da allora Itziar aveva lavorato in numerosi processi urbanistici che richiedevano un dialogo tra cittadini e istituzioni. Fu così che nel 2007 il partito socialista le propose di entrare in lista per le elezioni municipali. Era un’opzione inaspettata. I socialisti governavano Barcellona da trent’anni; ma dopo lo slancio iniziale, in cui avevano migliorato lo spazio pubblico e le infrastrutture, negli ultimi tempi i conflitti con gli abitanti si erano moltiplicati, soprattutto nel centro storico, e quasi sempre su questioni urbanistiche. C’era bisogno di un volto nuovo, che godesse della benevolenza dei comitati di quartiere. Itziar non aveva contatti con la politica dei partiti, ma la prospettiva di fare quel che la appassionava, e in più nel quartiere dove abitava, la convinsero ad accettare.
«I primi mesi mi sentivo la donna più felice del mondo – racconta –. Andavo a piedi al lavoro, parlavo con le persone per strada, mi sentivo utile. La parte formale del lavoro era invece una gran perdita di tempo. Tutta la burocrazia era assurda, un sistema di apparenze e non di lavoro». Un giorno le arrivò sulla scrivania la proposta di costruire un albergo accanto allo storico Palazzo della musica catalana. Si trattava di un edificio di interesse storico destinato a diventare una scuola. Volevano abbatterlo e costruire l’albergo al suo posto. Leggendo le carte, da architetto, Itziar capì subito che qualcosa non andava. Prese tempo, disse che era necessario avviare un processo di partecipazione… Ben presto, per ogni proposta in odore di speculazione, la dilazione diventò l’unica arma a sua disposizione. «Mi sentivo molto sola. Non ero più la mediatrice, avevo cambiato ruolo. Gli abitanti mi riconoscevano come diversa, ma ai loro occhi rappresentavo il potere. D’altra parte, i miei compagni di governo mi guardavano con estrema diffidenza».
Col tempo scoprì che funzionari corrotti beneficiavano del loro ruoloper concedere dietro pagamento licenze per hotel e appartamenti turistici, eludendo i limiti fissati dalla legge. Cominciò a smantellare i servizi tecnici del distretto. I corrotti la minacciarono, la fecero seguire per strada, le inviarono sicari per metterle a soqquadro la casa. Ottenne che la polizia municipale investigasse su un traffico di persone provenienti dal Punjab con base a Barcellona. Scoprirono come arrivavano nei container, in quali appartamenti dormivano, la rete di venditori ambulanti in cui entravano, le imprese catalane coinvolte nell’affare. Poi i superiori fermarono l’inchiesta. «Fu quello che mi impressionò di più – dice Itziar –, vedere che la città non è nostra. Le minacce di morte, essere seguita, queste cose mi colpirono, però scoprire il radicamento dell’economia criminale nella mia città mi fece male moralmente».
Passarono i mesi, gli anni, alla fine arrivò il momento di deciderecosa fare dell’albergo accanto al Palazzo della musica. Nel frattempo una giornalista aveva scoperto che l’edificio era stato assegnato senza pubblicità e senza concorso. Comprato con i soldi pubblici e regalato a un privato in cambio di una tangente. Forte di queste rivelazioni Itziar si presentò dal sindaco chiedendogli di fermare l’operazione. Di annullare tutto. Per tutelarsi mise per iscritto la sua posizione. Dopo un mese arrivò la risposta: continuiamo. Lei però non era disposta a farlo e si dimise. Fece solo una conferenza stampa in cui non entrava nei particolari. Era in una situazione personale molto tesa. La madre, in fin di vita, le consigliò di non lanciare accuse. «La verità viene sempre fuori, mi disse. Morì una settimana dopo. Il giorno del suo funerale c’era tutto il quartiere. Loro lo capirono perfettamente perché mi dimisi». Un po’ alla volta le inchieste giudiziarie andarono avanti, divennero pubbliche le minacce ricevute, le lamentele di imprenditori e politici nei suoi confronti, l’ultima lettera al sindaco prima delle dimissioni.
«I cittadini scoprirono che la loro Barcellona era diventata la Chicago di Al Capone, e chi cercava di mettere ordine veniva minacciato di morte, mentre il sindaco e i suoi colleghi non muovevano un dito…». Ora Itziar Gonzalez si occupa di riabilitare territori occupati da fabbriche vuote, obsolete, da aree industriali e urbanizzazioni in disuso. Ha meno lavoro di un tempo ma intanto ha scoperto in sé questa vocazione politica, e continua a interrogarsi su come le persone con capacità e con un forte sentimento pubblico possano fare politica per una tappa della loro vita, una politica diversa da quella a cui siamo rassegnati. (luca rossomando)
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