Testo di Alessandra Mincone e Riccardo Rosa
Fotogalleria* di Redazione Napoli Monitor
Napoli, piazza Municipio, inquadratura dall’alto. Una piccola massa di puntini multicolore si muove avanti e indietro negli spazi a destra della fontana del Nettuno. Sono il giallo, il verde, l’arancione e l’azzurro degli zaini termici conservavivande portati in spalla dai rider napoletani, che hanno proclamato una giornata di sciopero per la mattina di venerdì 26 marzo e che si apprestano, dopo il concentramento davanti al palazzo comunale, a raggiungere in corteo la prefettura, dove è previsto un incontro per discutere della loro situazione.
In piazza ci si confronta sul da farsi, qualcuno recrimina sul basso numero di partecipanti, ma in realtà i rider sono già più di cento e così dopo meno di un’ora ci si decide a muoversi. Nel gruppo ci sono anche i Disoccupati 7 novembre e poi i sindacalisti, gli operai e i militanti del SiCobas, che appoggiano la lotta del comitato e sostengono la manifestazione dei rider nell’ambito di una due giorni di scioperi e iniziative, che culminerà sabato 27 nel presidio in solidarietà con i facchini della TNT colpiti da arresti e provvedimenti giudiziari.
La prima azione della giornata è un blocco stradale. Una trentina di persone si sgancia dal gruppo per aprire uno striscione. Vengono accesi dei fumogeni e gli zaini sono piazzati al centro dell’incrocio con via Medina, fermando il traffico per dieci minuti. Il gruppo dei rider è eterogeneo, ancora poco sindacalizzato e organizzato, così l’azione non programmata scompagina qualche equilibrio: alcuni tra i fattorini sostengono di aver garantito alla Digos che il corteo si sarebbe svolto “pacificamente” fino a piazza Plebiscito e insistono per rimuovere in fretta il blocco. «Più pacifico di così…», fa notare qualche altro in dialetto.
A Milano si arriva in piazza 24 Maggio intorno alle 11. I primi a farsi vedere sono i solidali del SiCobas, circa cinquanta operai di magazzini diversi, che la notte tra giovedì e venerdì hanno bloccato uno degli stabilimenti TNT-Fedex milanesi per sette ore. Dopo arrivano i rider ma sono in pochi. Sono le bandiere del sindacato indipendente a infastidire Digos e altre rappresentanze sindacali. Cgil e Uil hanno provato a coinvolgere gli organi di stampa, ma i lavoratori del food delivery di tesseramenti non ne vogliono sapere. Hanno posizioni discordanti, storie, condizioni e prospettive diverse.
Uno dei rappresentanti della Cgil, che dietro il suo zainetto ha attaccato un foglio con scritto: “Lavoratori, non schiavi”, dice di far parte del sindacato da cinque anni e di combattere da altrettanto tempo il caporalato. A Milano la richiesta di lavoro nel settore ha richiamato molti disoccupati immigrati. I caporali sfruttano la mancanza di un regolare documento di questi lavoratori, chiedendogli una “tassa” che arriva anche a cinquanta euro per assicurarsi una settimana di lavoro da almeno nove o dieci ore giornaliere, in cambio di una registrazione fittizia sulla app.
T. è tra questi lavoratori, non parla italiano ma inglese, non appartiene a nessuna associazione, ma vuole essere assunto. Ha una bicicletta malandata su cui pedala fino a dodici ore al giorno. È il numero delle consegne che porta a termine a definire il suo guadagno a fine mese. Come tutti gli altri, non ha diritto alle malattie retribuite e alle giornate di ferie.
Per C. invece quello di rider è un secondo lavoro dal 2018. Ha quasi cinquant’anni, e durante la manifestazione parla dello stress che subisce in scooter quando ha consegne una dopo l’altra. «Devi correre, ma stando attento. La nostra lotta è contro il tempo, contro il traffico, contro i clienti. Riesci a malapena a rientrare negli orari stabiliti dagli algoritmi per terminare una consegna senza tamponare un’auto, e se ti si rovescia una coca-cola, i clienti sono pronti a segnalarti sul sito, così che rischi anche di stare a casa per qualche settimana. Siamo fortunati quando ci dicono buonasera».
Napoli, ore 12. Quando rider, disoccupati e operai arrivano in piazza del Plebiscito trovano altri manifestanti ad avanzare le proprie rivendicazioni in questo periodo di emergenza. I più colorati sono quelli dell’ANESV – Associazione nazionale degli esercenti di spettacoli viaggianti. Sono i proprietari e i dipendenti dei luna park itineranti e dei circhi, che chiedono una riapertura delle proprie attività indipendentemente dal colore delle zone delle singole regioni. L’associazione ha carattere nazionale e ha organizzato per questo venerdì manifestazioni in tutta Italia. Un po’ defilati sono i proprietari di locali e gli organizzatori di cerimonie, che lamentano la poca possibilità di programmare la stagione estiva e l’insufficienza dei ristori del governo.
Se gli imprenditori sono tutti indaffarati a rilasciare interviste, i dipendenti, che indossano i loro abiti da lavoro o ricercati vestiti da sposi, danno l’impressione di essere stati trascinati lì senza troppa convinzione. Dopo aver scattato un po’ di fotografie alle spose, ai circensi e ai trampolieri, i giornalisti tornano ad assembrarsi dalle parti dei rider: «Allo Stato chiediamo un regime di partita iva agevolato, fatto apposta per noi: paghiamo il venticinque per cento di tasse, ma se si rompe il motorino dobbiamo ripararlo, viviamo con la paura che ci rubino lo scooter, scendiamo con la febbre e il mal di schiena… paghiamo le tasse di un avvocato, ma fatturiamo come un portapizze!».
Ciro racconta della proposta di assunzione ricevuta dalla piattaforma di delivery Just Eat: «Se ci vogliono assumere devono farci un contratto serio. Attualmente ci propongono dieci ore settimanali a sette euro e cinquanta all’ora, sono meno di trecento euro al mese. Se devo avere un contratto così preferisco restare autonomo e guadagnare per quello che lavoro, ma se dobbiamo essere autonomi, allora devono migliorare le nostre condizioni: vogliamo un aumento delle tariffe, un minimo garantito e tutele per quando siamo malati».
Anche a Milano lo sciopero continua. Un gruppetto di rider apre uno striscione che attacca i cosiddetti “contratti truffa”. I manifestanti si riferiscono al contratto nazionale in vigore dal novembre 2020, siglato dall’UGL e dall’Assodelivery, associazione aziendale del food delivery che rappresenta il novanta per cento delle imprese. Dopo quel contratto, la piattaforma Just Eat ha deciso di uscire dall’associazione per mettere in piedi un sistema di assunzione di carattere subordinato in proprio.
Assodelivery ha annunciato nell’ultimo anno un incremento pari a oltre un miliardo di euro del fatturato nel settore della ristorazione. Per questo, con l’Unione generale del lavoro ha presentato il primo accordo europeo per il settore, dichiarando di salvaguardare in questo modo più di trentamila posti di lavoro autonomi. Le condizioni di lavoro per i rider però non sono cambiate, dal momento che il contratto prevede un costo di dieci euro lordi solo per i primi sessanta minuti lavorati, e delle integrazioni del dieci, quindici e venti per cento per chi lavora con la pioggia, nei giorni festivi e nelle ore notturne. I guadagni per le consegne effettuate però cambiano per il lavoratore a seconda della piattaforma di appartenenza, anche se fatta eccezione per Just Eat – con la quale si guadagnano in media cinque euro per consegna – nessuna piattaforma garantisce sulla media di una giornata lavorativa più di tre euro lordi per ogni delivery.
Mentre i rider attendono di essere ricevuti in prefettura, in piazza del Plebiscito a Napoli continua la protesta dei facchini, che aprono striscioni in solidarietà con Carlo e Arafat, due lavoratori dell’hub Fedex-TNT di Piacenza arrestati per uno sciopero nel magazzino emiliano e mandati a processo insieme ad altri ventisette loro colleghi.
Intorno alle 13, il gruppo dei lavoratori del SiCobas e dei disoccupati si sposta verso il teatro Mercadante, per sostenere gli attivisti del Coordinamento arte e spettacolo Campania, che all’alba hanno occupato lo stabile napoletano. «Quindici attiviste – spiega Francesco – sono dentro il teatro da questa mattina all’alba. Ieri la direzione ha rifiutato la possibilità di tenere un’assemblea permanente nel teatro, nascondendosi dietro il protocollo. Ora stiamo trattando perché questo possa avvenire e per utilizzare lo stabile come cassa di risonanza per le nostre rivendicazioni». Le camionette della polizia si affollano nel vicolo in cui sussiste l’ingresso secondario del teatro, presidiato da un centinaio di militanti che attendono l’esito delle trattative. «Vogliamo essere ricevuti dal ministero del lavoro», racconta Salvatore. «Vogliamo che vengano riconosciuti i due anni contributivi 2020 e 2021 a tutti i precari fermi da un anno; vogliamo una riforma degli ammortizzatori sociali e una riforma del settore che tuteli non solo le aziende ma anche i lavoratori; vogliamo finanziamenti per le piccole realtà che si occupano di spettacolo e cultura». Lo sblocco delle trattative arriverà nel pomeriggio di venerdì: ai lavoratori sarà concesso di svolgere delle assemblee quotidiane e delle conferenze stampa all’interno del teatro, che sarà aperto con ingressi contingentati ad attivisti e giornalisti. Sempre nel pomeriggio di venerdì arriverà un’altra notizia importante, quella della liberazione dagli arresti domiciliari dei due lavoratori TNT di Piacenza, Carlo e Arafat. Nonostante le due vittorie, in ogni caso, le manifestazioni a Napoli continueranno anche per tutta la giornata di sabato 27: prima con la pedalata da piazza del Gesù a piazza Garibaldi, per la riapertura di parchi, piazze e scuole; poi con il presidio dei facchini del SiCobas per denunciare la repressione e i provvedimenti giudiziari che stanno colpendo decine di lavoratori in tutta Italia.
Per quanto concerne la lotta dei rider, ha una certa rilevanza la notizia della recente sentenza del tribunale di Milano che ha sanzionato un gruppo di piattaforme (Uber Eats, Glovo-Foodinho, Just Eat e Deliveroo) per oltre settecento milioni di euro, obbligandole ad assumere sessantamila lavoratori. Soltanto Just Eat ha per ora iniziato il processo di assunzioni, partendo da Monza, con quaranta rider che percepiranno un compenso orario netto intorno ai sette euro all’ora. «A questo punto preferiamo il cottimo», spiegano molti di loro, esattamente come hanno fatto nelle stesse ore i colleghi napoletani. Se lavoratori stagionali e disoccupati vedono infatti in questo lavoro l’unica forma di sopravvivenza al momento, e sperano che l’emergenza gli permetta presto di cambiare lavoro, vi sono anche studenti e precari che necessitano di impieghi part-time da svolgere in maniera indipendente e svincolata dai turni di lavoro. Nessuno riesce a immaginarsi fattorino tra dieci anni, nessuno si aspetta di potere arrivare alla pensione consegnando cibo a casa, ma nel frattempo quella del rider rappresenta per tanti l’immagine di un nuovo modello di lavoro, lo “strumento” di un servizio necessario senza tutele, perennemente a rischio di incidenti stradali, infortuni e di contagio da Covid attraverso i clienti.
A Milano, dopo qualche ora di presidio statico, solo i rider in bicicletta hanno potuto spostarsi, mentre i solidali, bloccati dalla celere, sono rimasti a guardare. I fattorini hanno scelto di muoversi per rendersi visibili alla città, e ottenere un po’ di spazio sui media. Intorno alle 14, alcuni tra loro hanno partecipato a un altro presidio nei pressi di piazza Baiamonti, ma le forze dell’ordine, evidentemente provate dalla giornata passata a inseguire i ciclisti, hanno minacciato i presenti di multa e identificazione. Poco dopo, intorno alle 15, lo sciopero è terminato e i manifestanti hanno dovuto ricominciare a scorrazzare per la città in cerca di consegne e clienti.
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*Le foto 1 e 2 fanno riferimento alla manifestazione di Milano. Le restanti a quelle avvenute a Napoli
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