Napoli, notte tra il 19 e il 20 ottobre 2021: teofania bassoliniana, dall’inviato in piazza Municipio Augusto Sdraiato Pronos
«Il sindaco, c’è il sindaco!». Napoli spinge Antonio Bassolino verso palazzo San Giacomo, il popolo accompagna il primo cittadino in Municipio, la casa dalla quale manca da ventuno anni. Bassolino è commosso e sudato: ringrazia tutti, stringe mani e offre pizzicotti a sconosciuti, in un momento di grande fratellanza che preannuncia un’ultima stagione amorosa. Indossa i pantaloncini e la maglia termica perché, come aveva promesso alla vigilia del ballottaggio, ha passato la domenica correndo, scegliendo di scoprire il risultato elettorale solo dalla “gente”, come dice lui, che infatti l’ha accolto in piazza. Tutto è meraviglioso, non rovina la festa qualche esagitato dei comitati ambientalisti che cerca di consegnare all’ex governatore un enorme sacchetto di immondizia di cartone. Ma poco importa, Bassolino è tornato, come un Rocky Balboa dall’addome appena un po’ più rilassato.
Ha corso una singolare maratona elettorale lunga quaranta chilometri, il settantaquattrenne Bassolino. È partito all’alba di domenica da Baiano. Era inconsapevole, lungo il tracciato, della batosta elettorale che stava infliggendo al rivale Manfredi, e della rivincita clamorosa che stava prendendosi sul suo ex partito, il Pd, abbandonato in seguito alla vicenda delle primarie truccate di qualche anno fa. Sono ormai lontani ricordi – forse incubi delle prossime settimane per qualche dirigente dem. Eccolo, l’eterno ragazzo afragolese portato per mano nel suo Palazzo, nonostante i vigili urbani storcano il naso: «Non si può, non c’è il maresciallo capo a quest’ora», provano a obiettare. Napoli non sente ragioni. Il sindaco deve salire.
Così saliamo con Bassolino, che queste scale le conosce bene e le sale ora ancora più agilmente che negli anni Novanta, a ventisette anni dalla prima elezione e a ventisei dal primo processo. «Non fumo più – spiega ansimando –, e si sale una bellezza». Saluta qualche vecchio impiegato costretto a turni massacranti («è la notte del protocollo, dottore, teniamo il caffè nei thermos») e arriva nel suo ufficio. L’impatto è dirompente, con gli occhi cerca la foto di Scalfaro. «Qui accolsi Clinton», mi dice emozionato, indicando un angolo con la tappezzeria sporca (forse di salsa zapatista, direbbero i maligni). E con la precedente amministrazione il legame si rompe all’istante: in preda a un raro scatto d’ira Bassolino distrugge o lancia in aria i ninnoli e gli ammennicoli che de Magistris ostentava sulla scrivania. «Tiè, il disco di Avitabile (fatto volare in piazza Municipio), il corno di San Gregorio Armeno (lanciato sulla schiena di un inviato Reuters), la cittadinanza a Caetano Veloso (appallottolata e gettata nel tritacarte), il cappellino da baseball (preso a morsi e poi calciato con rabbia verso la piazza), la maglietta di Fonseca, il santino di Che Guevara, la medaglia della città di Sondrio, la foto con dedica di Anastacia…».
Placatosi, Bassolino chiede un bicchiere d’acqua. La lunga corsa si fa sentire. Cerca il sostegno degli amici di un tempo, qualcuno gli mostra una foto di Corrado Gabriele e il sindaco comincia rianimarsi. Centinaia di persone si sono radunate in piazza per salutarlo, elettori che ricordano una serata di oltre dieci anni fa in cui tutto fu “scassato”, e ora vogliono ricomporre i cocci. Il primo cittadino si confronta con il suo collaboratore, poi arriva un’inaspettata decisione: tiene un discorso a braccio, dal balcone della sua sala, per inaugurare la nuova amministrazione rivolgendosi ai napoletani. Un discorso che preferiamo riportare integralmente: «Napoletani, miei amati concittadini. Un unico sistema venoso ci accomuna, e il mio sangue non può che essere anche vostro. Ho deciso di arrivare qui correndo, mi sembrava l’unico modo possibile, quello più sincero. Non c’è tempo da perdere, troppo poco è stato fatto negli ultimi dieci anni. Prima però vi dirò cosa ho fatto io in questi dieci anni: sono stato assolto diciannove volte da tutte le accuse che hanno gettato fango su di me. Ora ho un’immagine pulita e intendo restare in questo candore fino alla fine del mio mandato. Ricordo ancora quando nel ’93 Occhetto mi chiese di fare il commissario qui a San Giacomo: in città mancava l’acqua, i napoletani erano inghiottiti nel traffico dalla mattina alla sera e nessuno voleva governare la città. Napoletani, io ho un nome costruito con la credibilità di decenni di governo, a tutti i livelli, e voglio che quel nome lo gridiate… Esatto, Bassolino. Ora vi spiego.
«Le mie capacità politiche sono sempre state al servizio di tutti voi, anche se non ve ne siete accorti. Pensate che prima di accettare questa sfida elettorale stavo per aprire una scuola politica per giovani. Già avevo individuato una sede al Corso Malta. Poi sono stato contattato da una produzione televisiva per realizzare un reality chiamato “Il comizio”, in cui giovani e vecchi politici si sfidano a chi tiene il comizio più lungo. Avevo deciso di partecipare ma la produzione ha rigettato la candidatura dopo che i miei gatti hanno aggredito la dirigente venuta a casa per firmare il contratto, perché somigliava incredibilmente a Valeria Valente… Infine ho fatto un sogno, esattamente un anno fa. Ho sognato che era l’alba, e scendevo dal Monte Echia. Il sole era pallido, io sentivo il sangue fluire, l’aria di mare mi gonfiava i polmoni. Ero vivo e il giorno stava sorgendo per me. La presenza del fantasma di Nicola Amore tra le nuvole non mi sorprendeva. “Antonio, Antonio. La città si sta svegliando – diceva Amore –. E tu devi portare a termine il tuo rinascimento napoletano”. Poi spariva, lasciandomi scorgere alle sue spalle Mario Martone che aveva ripreso tutto con una vecchia macchina da presa ammaccata. Ho capito allora che alcune cose hanno impedito il completamento di un disegno, e che era compito mio tornare qui, ora, a fare questo discorso, ad annunciare i miei piani sul futuro grandioso che ci aspetta. Voglio iniziare lasciando un segno opposto rispetto a chi mi ha preceduto, un segno che non sia fumo negli occhi di chi ci guarda da lontano ma abbia valore per chi in questa città ci vive. Non mi interessa più nulla dell’immagine di Napoli, niente. Mi interessa che piaccia a voi, che vi faccia stare bene. Da domani piazza del Plebiscito riaprirà alle auto, e già questa notte una squadra di operai è in azione per disegnare i nuovi posteggi. Gridiamo al mondo, ancora una volta, che questi territori sono del popolo, e non dei turisti. Riapriremo alle auto il lungomare. Sfogliatelle, frittatine, cuoppi e pizze a portafoglio potranno essere venduti solo fuori dalle mura. I prodotti venduti illegalmente nel centro storico verranno sequestrati e bruciati in enormi inceneritori che farò costruire ai quattro angoli della città e che produrranno ecoballe h24, da sotterrare poi nell’ex Italsider, creando migliaia di posti di lavoro… Concittadini, napoletani, sono nato il 20 marzo, e non è un caso. Preparatevi a una nuova primavera!».
Fu a questo punto che il corpo di Bassolino cominciò a sollevarsi dal suolo, di qualche centimetro appena, ma tanto bastò perché tutti capissero. Una misteriosa luce circondava il suo capo e si proiettava sul Maschio Angioino. La città ammutolì e una sensazione di benefico calore fu avvertita da tutti i presenti. Don Antonio era tornato.
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