L’estate romana era un festival diffuso nato quarantacinque anni fa da un’idea di Renato Nicolini, l’assessore alla cultura della giunta di Giulio Carlo Argan, storico dell’arte e sindaco comunista di Roma. Era un’iniziativa promossa e sostenuta dal Comune, che ci metteva dei soldi per riempire gli spazi pubblici con cinema, musica, teatro: la città come quinta, la piazza come palco e platea, le finestre di casa come galleria. L’estate romana c’è ancora, anche se di quelle estati romane resta quasi nulla. Nome che funziona non si cambia; nome che funziona diventa abitudine o brand, per i più scaltri. La giunta attuale ha ereditato un carrozzone sempre più malandato e impoverito, esaurendo l’energia scaturita dalla destabilizzante occupazione degli spazi pubblici della città nell’estate del ‘77. C’è chi dice che a darle il colpo il grazia siano state le misure contro il Covid, ma già da tempo la manifestazione sembrava ridotta a un’ombra sbiadita di quello che fu, affidata a impresari della somministrazione più che dello spettacolo, o al volontarismo peloso di quanti – tra questi la giunta Raggi o il ministro Franceschini – sono convinti che il lavoro culturale non sia, in fondo, un vero lavoro; e che a ripagare il tempo, lo studio, la fatica, i sacrifici che stanno dietro la performance artistica possano bastare gli applausi del pubblico e il compiacimento degli amministratori, tutt’al più il cappello. Insomma lo spettacolo inteso come “marchettone”, come grande opportunità, come comparsata irrinunciabile da inserire nel curriculum alla voce “lavoro gratuito ma tanta visibilità”.
Abitudine o marchio, l’estate a Roma va comunque riempita di eventi ma senza oneri per l’amministrazione; così, piazze e parchi della capitale vengono messi a bando per assegnare la gestione estiva di spazi pubblici ai più intraprendenti organizzatori di eventi, con immancabile contorno di stand enogastronomici, vero core-business per il sottofondo culturale modello piano-bar. Nulla di nuovo sotto il sole; ma il fatto che d’estate il sole scotti di più spinge gli amministratori a essere particolarmente spregiudicati nel perseguire la loro idea di città-giacimento, da cui “concessionari” individuati con criteri opinabili possano, in cambio di un cartellone d’intrattenimento, estrarre un qualche valore misurabile in fatturato.
NON SON SOLO CANZONETTE
L’assegnazione della gestione estiva di quattro importanti aree nel quartiere romano di San Lorenzo – un quadrilatero quasi regolare tra la città universitaria, la ferrovia e il cimitero del Verano – ben rappresenta la strategia in atto, ultima forma di enclosures, di spoliazione degli spazi pubblici e della libera iniziativa della cittadinanza. Ovviamente l’operazione è sottile: di recinzioni non c’è l’ombra e tutto viene fatto richiamando di continuo i problemi reali del territorio e il disagio di chi vive in un quartiere offeso quotidianamente proprio dalle scelte politiche ed economiche (pubbliche e private) che hanno consentito la sua trasformazione in uno di quei non-luoghi – ormai presenti in molte città europee – in cui trovare, a buon mercato, quel genere di divertimento che sociologi o giornalisti definiscono “movida”.
San Lorenzo è un quartiere segnato da una vita diurna piuttosto tranquilla e molto “di quartiere”, e da una vita notturna movimentata dai consumatori di movida, che si riversano nelle vie di San Lorenzo come i turisti che sbarcano dalle navi da crociera a Venezia. La vicenda del festival estivo di San Lorenzo non è altro che un tassello di questo processo di trasformazione dello spazio urbano da ambiente della vita sociale a luogo di consumo, un tassello che risponde a funzioni di “cultural washing” che sembrano prevalere anche sulle concrete possibilità di fare cassa.
Le promesse di “rigenerazione” sono infatti centrali nella comunicazione istituzionale: in tutta l’operazione il lessico è tutt’altro che accessorio e si articola tra le retoriche della valorizzazione (della messa a valore, a reddito) e della riqualificazione e quelle del degrado, con l’intento di raccogliere il consenso anche di quei fanatici delle appartenenze micro-identitarie che, anche qui, finiscono per esprimersi in atteggiamenti “noi-contro-loro-chiunque-
UN BANDO, ANZI UN’INDAGINE CONOSCITIVA
Al principio (o quasi) di questa vicenda locale (ma tutt’altro che unica) c’è un bando, o meglio: una “indagine conoscitiva per acquisizione di manifestazioni di interesse tramite avviso pubblico”. Nel giro di poco più di una settimana (il bando è rimasto aperto dal 29 aprile al 6 maggio) imprese, associazioni, consorzi o associazioni temporanee d’impresa potevano rispondere alla “indagine conoscitiva” con cui il Municipio II (da decenni in mano al partito democratico) metteva di fatto in palio, per tre anni, la gestione di quattro aree del quartiere San Lorenzo. Le quattro aree sono: Villa Mercede, un giardino solo parzialmente fruibile dopo il rovinoso crollo, parecchi anni fa, del muro di contenimento del terrapieno su cui sorge; il Parco dei Caduti del 19 luglio (l’unico giardino pubblico del quartiere, dedicato alla memoria del bombardamento del 1943); largo degli Osci (in post-pandemia occupato dai tavolini in assetto riviera romagnola); e l’adiacente piazza dell’Immacolata, la piazza pedonale del quartiere, centro della vita notturna e una delle principali piazze di spaccio.
Il bando era un susseguirsi di riferimenti alla riqualificazione, valorizzazione, partecipazione delle realtà associative del quartiere (che davvero sono molte). E però per ambire all’assegnazione bisognava essere un organismo in grado di garantire, con attività commerciali, la copertura dei costi di ogni iniziativa (nonché la stipula di un’assicurazione adeguata). Nessuna delle associazioni del quartiere – salvo forse i finti circoli culturali – ha nello statuto il necessario riferimento alla possibilità di svolgere attività commerciali né, tanto meno, i mezzi per ottemperare alle richieste di un bando evidentemente pensato per escludere soggetti indipendenti. E, infatti, a vincere il concorso è stata la Lux Eventi, divisione di una holding attiva nell’ambito dell’intrattenimento con una certa esperienza nella trasformazione di piazze cittadine in sagre del kitsch, come già avvenuto con il villaggio natalizio allestito intorno all’Auditorium Parco della musica lo scorso inverno.
L’esordio dell’estate romana in salsa sanlorenzina ha visto uno sfortunato concerto di cover di Venditti, in piazza dell’Immacolata, e un evento di “riqualificazione” nella villa da anni semichiusa al pubblico: la realizzazione di un’opera di street art sul pavimento del playground (che avrebbe bisogno di ben altro intervento di restauro che una mano di colore, seppure griffata), anche in vista di un super torneo di basket sponsorizzato Red Bull inserito nel programma estivo.
UN TITOLO RUBATO
Un programma un po’ fantasma – almeno per ora – che si può rintracciare sui canali social ma di cui non c’è traccia in quartiere. Non ne sanno nulla nemmeno alla libreria attigua a piazza dell’Immacolata, la cui bacheca esterna non manca di segnalare, tramite locandine e avvisi, le iniziative culturali locali e cittadine. E proprio venendo al programma estivo si giunge al nodo dell’operazione in corso, al passo ancora non intentato a Roma ma già noto altrove: il tentativo da parte delle istituzioni cittadine e dei loro “concessionari” di appropriazione esplicita della dimensione libera e libertaria, autonoma e conflittuale del tessuto sociale del quartiere. Sì perché il festival messo su in fretta e furia dalla divisione eventi di Lux Holding era stato intitolato – salvo un successivo ripensamento – “Repubblica di San Lorenzo”, titolo che riprende il nome della Libera Repubblica di San Lorenzo, un collettivo di cittadini, associazioni, spazi sociali che da una decina d’anni mantiene alta l’attenzione sui processi speculativi che investono il quartiere. Non è la prima volta che avviene qualcosa del genere: Viva San Lorenzo, il nome del festival della cultura diffusa che la Libera Repubblica di San Lorenzo aveva organizzato nella primavera del 2019 con le realtà culturali e sociali del quartiere, era stato ripreso paro-paro da un comitato – o pagina social – poco fantasioso, di quelli in stile “padroni a casa nostra”.
Da residente di San Lorenzo, ho partecipato alle iniziative che la Libera – come viene chiamata più comunemente – ha promosso in questi anni, accompagnando i comitati di residenti nelle lotte contro i cantieri che facevano tremare i muri e toglievano aria ai cortili, nelle iniziative di solidarietà e progettando soluzioni dal basso ai problemi causati dalla mancanza di pianificazione e di senso nella progettazione di quadranti del quartiere lasciati per decenni in stato di abbandono. Una compagna della Libera ha commentato l’operazione come il tentativo di «generare un grande silenzio assordante», ricordando che «la Libera Repubblica di San Lorenzo è sempre libera»: o è libera o non è. E infatti, a una settimana dall’avvio (in sordina) del festival, la comunicazione social di Lux Eventi ha cambiato il titolo da “Repubblica di San Lorenzo” a “Generazione San Lorenzo”.
INTANTO A BOLOGNA
L’operazione di Lux Eventi (e del II Municipio che la avallava) corrisponde a due obiettivi più generali che le amministrazioni cittadine perseguono. Il primo è quello di zittire i conflitti, diluendo nella narrazione sorridente dell’estate romana le pratiche di resistenza che disturbano l’altrimenti incontrastato allungarsi sulla città di mire speculative grandi e piccole. Per allargare un po’ lo sguardo si può osservare quanto avviene in queste settimane a Bologna, dove un’altra amministrazione democratica ha lanciato, nel quartiere Bolognina, un “Dimondi festival” che prende (non a prestito) il nome di un torneo – il Dimondi appunto – che da otto anni viene organizzato dal basso e che coinvolge anche la Bolognina, quartiere che il Comune definisce come “teatro di conflitti irrisolti che ora [col festival?] cambia pelle”. In una nota pubblicata sulla sua pagina Fb, Torneo Dimondi ricorda al comune di Bologna che, in quanto a portare sport e socialità alla Bolognina, arriva in ritardo e che, quanto ai conflitti irrisolti, il torneo “li attraversa perché sono parte essenziale di molti territori, spesso ne sono anzi il motore, e non si estinguono certo con una targa su una piazza o con il lancio dell’evento di turno”.
Il tentativo di appropriazione del nome della Libera Repubblica di San Lorenzo si giocava sull’omissione dell’aggettivo qualificativo, da dimenticare insieme a quell’ostinato collettivo sorto sulla scia di un’altra libera repubblica, quella valsusina della Maddalena, che aveva trovato casa, per quasi dieci anni, al Nuovo Cinema Palazzo, occupato per impedire l’apertura di un casinò che puzzava di criminalità lontano chilometri (sospetto confermato dalla magistratura) ma che per gli amministratori aveva tutte le carte in regola. Il Cinema Palazzo è stato sgomberato manu militari dalla questura nell’autunno del 2020, e il giardino che sorgeva di fronte, in piazza dei Sanniti – un paio di alberi cresciuti nel cemento, panche e giochi strappati alle auto – è stato raso al suolo, poco prima dello sgombero, dal Municipio che prendeva così posizione tra cittadinanza e speculatori.
Le analogie tra San Lorenzo e Bolognina ci permettono di arrivare al secondo obiettivo perseguito dalle amministrazioni progressiste delle città: garantirne lo sviluppo inteso come estrazione di ricchezza e misurato in termini di presenza di investimenti e investitori. La piazza che ospita il festival bolognese, scrive Torneo Dimondi, “si trova in un luogo pregno di significato, e cioè di fronte all’ex-Telecom, sgomberata per ospitare lo Student Hotel, e accanto all’XM24 […]. La piazza Lucio Dalla costituisce solo l’ultimo tassello di una grande opera di gentrificazione che ha l’obiettivo di raccontare in modo nuovo il quartiere, a spese di quei presidi che, dal basso, tentano di farsi carico della marginalità che, in Bolognina più che in altri luoghi, esistono e continueranno a farlo”.
PER ROMPERE IL SILENZIO
San Lorenzo conosce dinamiche del tutto simili agite da soggetti analoghi quando non gli stessi – l’amministrazione democratica, l’holding olandese The Student Hotel che ha acquisito da Cassa depositi e prestiti (per una pipa di tabacco) l’area dell’ex-dogana su viale dello scalo San Lorenzo dove è già aperto il cantiere dello studentato-hotel romano. E però ciò che avviene a San Lorenzo è qualcosa di diverso dal consueto processo di gentrificazione di cui, per anni, ci si aspettava di osservare la maturazione. Infatti non è visibile un mutamento radicale delle caratteristiche socio-demografiche del quartiere (da decenni abitato prevalentemente da famiglie e studenti), nemmeno a seguito della costante espulsione di residenti e di attività artigianali e commerciali di vicinato causata da un costo degli affitti che non vuole fare i conti con la riduzione dei redditi. Allo stesso modo, gli sgomberi delle occupazioni abitative, l’attacco agli spazi sociali del quartiere (Esc Atelier minacciato dal Comune, Communia sotto sfratto da parte dei fondi speculativi che fanno incetta di immobili e terreni nelle aste fallimentari) e la realizzazione di nuove palazzine residenziali in ogni spazio vuoto (si costruisce ancora nei cortili, tra i palazzi) non sembrano preludere alla trasformazione di San Lorenzo in un quartiere per gentry.
Né tutto ciò sembra incidere sul ritmo circadiano di chi ci vive, segnato dall’alternanza tra la calma del villaggio e l’euforia distorta del non-luogo dello sballo. Quello che si profila – e di cui anche il piccolo festival estivo è un tassello – è qualcosa che con un altro termine orribile possiamo chiamare “distrettificazione”. San Lorenzo è pronto a diventare distretto dell’hic et nunc, sede di residenze studentesche di lusso e di hub per danarosi sedicenti artisti (come la Soho House fresca di inaugurazione): un parco a tema per loro e per chi, anche con meno soldi in tasca, voglia respirare l’aria di tutto ciò che San Lorenzo rappresenta e che dunque smette di essere proprio a forza di voler imitare l’improbabile essenza – popolare, radicale, alternativa, criminale – di se stesso.
Insomma, a Roma e sul breve periodo l’estrattivismo è più facile e redditizio della gentrificazione. La gentry non è disposta a trasferirsi in un quartiere dove la notte non si dorme, quindi meglio esasperare la turisticizzazione apparecchiando tavolini in ogni spazio lasciato libero dalle automobili, trasformando le abitazioni in residenze temporanee, costruendo hotel, residence, guest house e per assicurarsi la riuscita dell’operazione, commissionare graffiti giganti sulle pareti dei palazzi semidistrutti dal bombardamento del 19 luglio 1943 (il cui anniversario celebrato dall’Anpi e dalla Libera Repubblica di San Lorenzo è finito anch’esso nel tritacarne qualunquista della Lux Eventi).
La distrettificazione non comporta affatto la necessità di affrontare i problemi concreti, a partire dalla liberazione delle piazze dalle narcomafie che ne detengono, indisturbate, il controllo, esercitando apertamente il loro potere non solamente sulle vite dei residenti, ma anche sulle possibilità di uno sviluppo economico differente.
Alla distrettificazione fa il paio il processo di allontanamento di ciò che eccede anche l’immagine di San Lorenzo alla Kreuzberg addomesticata. Roma ha una lunga esperienza di espulsione oltre raccordo di quelle vite in eccesso di cui è meglio non avere coscienza e degli eterni problemi irrisolti, a partire dall’accesso alla casa (la Roma dei richiedenti asilo che trovano rifugio dove possono, la Roma degli abominevoli “uffici speciali rom e sinti” e degli ipocriti “villaggi della solidarietà”). La politica di sfruttamento intensivo del territorio ha bisogno di un consenso che viene cercato scavando nelle retoriche del “degrado” in cui tutto si confonde, mettendo cittadini che non dormono per via del rumore contro cittadini che non hanno un posto in cui dormire. Un consenso costruito tramite la narrazione di un cambiamento imminente, di un futuro sostenibile, equo e solidale, annunciato da nuove misure e interventi che non si rivelano mai all’altezza degli obiettivi. Nemmeno, a quanto pare, da quelli minimi di un festival estivo che non sembra far cultura, sport e aggregazione meglio di quanto già non si faccia, a San Lorenzo, senza bisogno di holding dello spettacolo. (benedetto fassanelli)
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