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Via principe di San Nicandro è una delle strade perpendicolari al corso di San Giovanni a Teduccio. ‘A cupa ‘e Sannicandro, come mi suggerisce un anziano del quartiere mentre chiedo indicazioni, non è lontana quindi dal lungomare di via Marina, la strada che conduce dal cuore di Napoli fino al vecchio quartiere operaio. Allo stesso tempo è vicina a Barra, dato che sbuca su Via della Villa romana, e quindi direttamente all’interno dell’antico casale angioino. Se c’è qualcosa a cui, almeno a un primo impatto, invece, via San Nicandro non sembra essere vicina, è il teatro di Brecht. Eppure nell’ultimo anno è proprio qui, sul palcoscenico del teatro Ichos, che una compagnia di attori napoletani ha messo in scena prima Baal, e poi l’Opera da tre soldi.
L’esperienza della sala Ichos nasce dodici anni fa, quando il gruppo teatro “Zoe”, che già da tempo girava per le strade d’Italia e d’Europa, torna a San Giovanni per una rappresentazione, in occasione dei duecento anni della rivoluzione giacobina. Da allora non è più andato via, anzi, si è stabilito in una ex camiceria, dove dal 2000 porta avanti con costanza un progetto teatrale molto impegnativo. Impegnativo perché a gestire la sala, e a recitare nella compagnia, sono tutti attori non di professione. C’è Salvatore, il regista, che ha cinquant’anni e, così come Gennaro, fa il ferroviere. C’è Peppe, che lavora in un centro di igiene mentale, e c’è Ciro, che fa il pompiere, ma solo per una manciata di giorni l’anno. Per il resto è uno dei tanti lavoratori precari che ci sono in giro, e alla sala Ichos ha imparato a costruire una scenografia, oltre che a occuparsi delle luci, e di tutti gli aspetti tecnici di una messa in scena.
Sala Ichos è un progetto impegnativo anche perché è in costante, ma lenta crescita. «È una crescita che si è accentuata, in realtà – racconta Salvatore – soprattutto negli ultimi due anni, in particolare dopo che abbiamo rappresentato alcuni spettacoli al teatro Instabile di Napoli, a via Tribunali. Quando passi per il “centro”, poi il nome gira con più facilità, e oggi il nostro pubblico si è allargato. C’è anche chi viene apposta fin qui da Avellino o Benevento». Nessuno, però, sembra essere divorato da chissà quali ambizioni, anzi. Se tutti si rendono conto di quanto crescere sia importante, allo stesso tempo sono coscienti di quella che Salvatore definisce “la nostra dimensione”. «Non potendo vivere con il teatro, nessuno di noi pensa di poter mettere su una compagnia che va in giro per l’Italia a fare rappresentazioni. Quello che ci interessa è tenere vivo questo posto, e nell’ambito delle nostre capacità, aprirlo quanto più possibile alle persone». Alle cinquanta-sessanta che arrivano a riempire la sala quando c’è il pienone, e ancor di più ai dieci, fedelissimi abbonati, ai quali è assicurata una lunga stagione che va da ottobre fino a maggio, anche grazie all’appoggio di altre compagnie, non solo napoletane.
La prima cosa che mi ha raccontato Salvatore, mentre ancora si sfilava il giaccone con il logo delle Ferrovie dello Stato, e si accingeva a preparare un caffè, è stata l’esigenza di fare teatro. Qui tutti hanno una voglia incontenibile di andare in scena, andando talvolta anche a discapito della perfezione: «Ci sono volte in cui magari non ti senti prontissimo per una rappresentazione, ma non si può tergiversare. Per chi fa teatro nel modo in cui lo facciamo noi, venendo di corsa a provare dopo il lavoro, o scappando via subito alla fine delle prove, perché il giorno dopo c’è la sveglia all’alba, è necessario andare in scena. È un’esigenza, un desiderio, forse collegato anche alla necessità di vedere i frutti di quello che fai con tanto sacrificio».
Allo stato attuale, la sala Ichos ha un cartellone decisamente ricco, fatto di ventisei spettacoli, di cui quattro messi in scena proprio dalla “Ichos Zoe Teatro”. Le rappresentazioni da quest’anno sono state estese anche al venerdì, mentre prima erano limitate al fine settimana, anche se l’obiettivo sarebbe, per le prossime stagioni, di andare in scena durante l’intera settimana. Anche perché, tutto sommato, la sala sta cominciando a fare “concorrenza” agli altri teatri cittadini. Non che qualcuno si sia montato la testa, per carità, ma la percezione è che anche il teatro “ufficiale” partenopeo, stia cominciando a guardare in modo diverso all’esperienza di San Giovanni. «Non ti parlo del modo in cui facciamo teatro – racconta Salvatore –. L’esperienza della sala è forte perché è nata in un certo modo, dal non professionismo, e partire da lì non può che essere stato un vantaggio. Ciò non toglie che siamo riusciti a portare qui spettacoli impegnativi, anche dal punto di vista dell’adattamento dei testi. Però da qualche tempo ci accorgiamo che la percezione è un po’ cambiata: per dirne una, abbiamo avuto Renato Carpentieri ad assistere a uno degli spettacoli, abbiamo avuto Isa Danieli che è venuta qui per fare alcune registrazioni per lo spettacolo Ferdinando. La sensazione è che qui c’è ancora un rapporto vero con il teatro, cosa che si va perdendo altrove». In quello che Salvatore chiama il teatro ufficiale, per esempio. Pur non calcando troppo la mano, un’idea a riguardo ce l’ha: «Quello che accade oggi, con la crisi di molti teatri cittadini, non è solo una questione culturale. È anche una questione economica, dal momento che se c’è chi ha dovuto sempre lavorare con poco, c’è anche chi i finanziamenti li ha avuti eccome, e quei soldi, con cui si poteva fare molto, sono stati spesi nella maniera peggiore». Salvatore, però, non sembra appassionarsi troppo alla polemica, e si prosegue.
Da un punto di vista economico, per esempio, è interessante capire se dopo dodici anni di lavoro, il mantenimento della sala prosegua in maniera autosufficiente. «Di solito, con le compagnie si divide l’incasso, nessuno si aspetta chissà che, ma chi viene qui sa che noi gli offriamo la possibilità di far parte di un cartellone vero. Gli si offre qualcosa di organico, e una buona qualità». Perla Ichos ZoeTeatro, peraltro, c’è qualche lavoro anche fuori Napoli, ovviamente compatibile con gli impegni lavorativi di tutti. «Di solito a Formia, dove da un po’ di anni mettiamo in scena i nostri spettacoli. Un paio di anni fa è capitato che l’assessore che seguiva la cosa, dopo aver visto lo spettacolo si consultò con i suoi e disse: “Ma quanto gli diamo a ‘sti ragazzi?… Così poco! Noi abbiamo dato un sacco di soldi per pagare roba che faceva schifo, questi devono avere di più!”. Da allora, la collaborazione è andata avanti, e quest’anno metteremo in scena due spettacoli di Annibale Ruccello».
È quando si parla di Brecht, tuttavia, che gli occhi di Salvatore si illuminano, e sembrano quasi raccontare di una sorta di spirito guida, per il lavoro non solo della compagnia, ma per l’intera gestione del teatro: «Diciamo, senza esagerare, che un certo tipo di impostazione si nota sempre, in tutto quello che facciamo. Quando abbiamo messo in scena Conversazioni (da Conversazione in Sicilia di Vittorini), per esempio: per quanto riguarda alcune scelte di regia, nell’impostazione dei personaggi e così via. Ma anche nel lavoro che proviamo a fare con la gente che arriva qua». La parola “didattico”, Salvatore sembra cercare di evitarla a ogni costo, ma il senso è quello. Quando lo spettatore si siede sulla panca del teatro Ichos, infatti, ad assistere magari per la prima volta a uno spettacolo di Brecht, sarà proprio Salvatore a raccontargli di cosa si parla, entrando in scena prima che tutto abbia inizio, e fornendo al pubblico gli elementi necessari per incominciare: “Io sono Bertolt Brecht – racconta – e vengo dalla foresta nera”. «La necessità – spiega – è quella di non dare nulla per scontato, a differenza di quanto avviene in un teatro “normale”. Qui può venire anche chi non ha mai sentito parlare di Brecht, ma l’importante è metterlo, senza alcuna soggezione, nelle condizioni migliori possibili per assistere allo spettacolo». (riccardo rosa)
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