Il 20 ottobre scorso l’anarchico Alfredo Cospito, detenuto nella casa circondariale di Bancali (Sassari) in regime differenziato ex art. 41 bis, ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro la disciplina detentiva a cui è sottoposto. Cospito è detenuto da più di dieci anni, accusato e condannato come esecutore e ideatore di diversi attentati – tra cui il ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, Roberto Adinolfi (Genova, maggio 2012) – e per strage contro la pubblica incolumità, a causa di due ordigni a basso potenziale esplosi nel giugno 2006 alla Scuola allievi carabinieri di Fossano (che non causarono ferimenti o decessi). È inoltre uno dei condannati del processo Scripta Manent, che ha visto pesanti interventi da parte della magistratura contro militanti rei, tra le altre cose, di avere “scritto e diffuso” su diverse testate web della galassia libertaria testi di informazione, critica e riflessione.
La scelta di deportare Cospito a Sassari in regime di 41 bis dalla sezione di Alta Sicurezza di Ferrara, dove era precedentemente detenuto, è motivata dalla volontà di escluderlo da qualsiasi contatto con l’esterno, di vietare ogni possibile diffusione di suoi testi, di proibire visite e corrispondenza senza censura, di ricevere libri e altro materiale. “Il detenuto – scrivono i suoi avvocati – è privato di ogni diritto e in particolare di leggere, studiare, informarsi su ciò che corrisponde alle sue inclinazioni e interessi (un paese liberale tutela tutte le ideologie, anche le più odiose, nonché il diritto allo studio e all’informazione quale strumento necessario sia al trattamento penitenziario in vista della rieducazione del reo […], che allo sviluppo stesso della personalità umana). Non riceve alcuna corrispondenza: quelle in entrata sono tutte trattenute e quelle in uscita soffrono dell’autocensura del detenuto stesso. Le ore d’aria si sono ridotte a due, trascorse in un cubicolo di cemento di pochi metri quadri, il cui perimetro è circondato da alti muri che impediscono la visuale o semplicemente di estendere lo sguardo all’orizzonte, mentre il cielo è oscurato da una rete metallica. Un luogo caratterizzato in estate da temperature torride e in inverno da un microclima umido e insalubre. La mancanza di profondità visiva incide inoltre sulla funzionalità del senso della vista mentre la mancanza di sole sull’assunzione della vitamina D. La socialità è compiuta una sola ora al giorno in una saletta insieme ad altri tre detenuti […] di cui uno è sottoposto a isolamento diurno da due anni e un secondo tende a non uscire più dalla cella”.
Il regime detentivo del 41 bis nasce nel 1986 come strumento di governo interno delle carceri, “in casi eccezionali di rivolte o altre gravi situazioni di emergenza”. Nel 1992 viene ampliato da un secondo comma (decreto Martelli-Scotti poi divenuto legge n. 356/1992) per colpire i condannati per mafia successivamente alla strage di Capaci. Se in entrambi i casi vi è l’obiettivo di annientare la soggettività del detenuto, in poco tempo il 41 bis diventa la forma di vendetta dello Stato contro quelle persone che hanno deciso di non intraprendere una collaborazione con la magistratura. Un’idea – inconciliabile con quella di “rieducazione” della pena – che in questi giorni le aree più in vista della sinistra democratica e del mondo dell’antimafia rivendicano apertamente, plaudendo all’iniziativa del governo che ha approvato un decreto-legge apportante minime modifiche alle legislazioni sull’ergastolo ostativo (il regime detentivo che impedisce alla persona condannata di accedere a misure alternative e altri benefici), ritenuto incompatibile con la Costituzione dalla Corte Costituzionale.
Nel caso di Alfredo Cospito il ricorso al regime di 41 bis è motivato dall’intenzione di interrompere la sua attività politica, di isolarlo dalla propria area di riferimento in un’aperta minaccia dello Stato a un’intera comunità politica, quella anarco-insurrezionalista, che da più di un decennio viene utilizzata come spauracchio nei confronti dell’opinione pubblica. Sono decine i militanti anarchici perseguiti e condannati per danneggiamenti o semplicemente per aver diffuso le proprie idee; condanne pesantissime come quelle che hanno colpito Cospito sono state comminate ad Anna Beniamino (sedici anni, anche lei per i fatti di Fossano), Juan Antonio Sorroche Fernandez (ventotto anni per un attentato alla sede della Lega a Treviso nel 2018, anche quello senza conseguenze letali) e altre decine di anarchici, condannati talvolta anche solo per manifestazioni non preavvisate o imbrattamenti.
Come segnala un appello redatto e sottoscritto da decine di avvocati, la natura delle misure adottate contro gli anarchici appare decisamente spropositata: “Il 6 luglio la Corte di Cassazione ha deciso di riqualificare da ‘strage contro la pubblica incolumità’ a ‘strage contro la sicurezza dello Stato’ (una fattispecie di reato a cui non si era fatto ricorso nemmeno nei casi degli attentati siciliani a Falcone e Borsellino, ndr) il duplice attentato contro la Scuola allievi carabinieri di Fossano (due esplosioni in orario notturno, che non avevano causato nessun ferito) […] attribuito a due imputati anarchici. L’originaria qualificazione di strage prevedeva l’applicazione di una pena non inferiore a quindici anni di reclusione, mentre l’attuale la pena dell’ergastolo. […] Nel mese di aprile Cospito è stato inoltre destinatario di un decreto applicativo del cosiddetto carcere duro, ai sensi dell’art. 41bis comma 2O.P., introdotto per combattere le associazioni mafiose e che presuppone la necessità di impedire collegamenti tra il detenuto e l’associazione criminale all’esterno per fini criminosi: un’altra vicenda singolare, essendo notorio che il movimento anarchico rifugge in radice qualsiasi struttura gerarchica e/o forma organizzata, tanto da far emergere il serio sospetto che con il decreto ministeriale si voglia impedire l’interlocuzione politica di un militante con la sua area di appartenenza, piuttosto che la relazione di un associato con i sodali in libertà”.
Lo sciopero della fame da parte di un detenuto è uno strumento estremo, l’unico a disposizione per reagire al proprio annientamento, una pratica che il mondo dell’informazione tende da sempre a occultare, a differenza delle iniziative mediatiche e propagandistiche come quelle messe in atto negli anni nel nostro paese da soggetti politici come i dirigenti del partito radicale. Una pratica che fa del proprio corpo un’arma, utilizzando l’auto-annientamento come strada per sottrarsi al potere, è una pratica pericolosa. Innumerevoli precedenti storici ne sottolineano la drammaticità, a partire dal destino incontrato dal militante del Sinn Féin irlandese Terence McSwiney, morto in una galera inglese nel 1920; quello di Bobby Sands, deceduto il 5 maggio 1981 dopo sessantasei giorni di sciopero della fame nel blocco H (le sezioni speciali di annientamento) del carcere di Long Kesh; quello dei militanti della Raf tedesca, come Holger Mains, morto il 9 novembre 1974 dopo due mesi di sciopero della fame nel carcere di Wittlich, e dei militanti dell’Eta basca, che hanno utilizzato questo strumento di resistenza negli anni Ottanta e Novanta.
A partire da questo lunedì anche Anna Beniamino ha intrapreso lo sciopero della fame in solidarietà con Alfredo Cospito e con gli altri detenuti anarchici oggetto della vendetta istituzionale. Il garantismo di facciata (una interrogazione parlamentare sul caso Cospito è stata presentata il 3 novembre e non ha ancora ricevuto risposta) espresso dal ministro della giustizia del governo Meloni è già davanti a una totale contraddizione, che rispecchia l’ipocrita dibattito che sta emergendo in questi giorni rispetto alla revisione delle normative su ergastolo ostativo e 41 bis, dei quali invece pochi e isolati attivisti che lottano per i diritti dei detenuti e per il superamento del carcere chiedono l’immediata eliminazione.
Per la cancellazione di questo disumano istituto di punizione e vendetta, in solidarietà con Alfredo Cospito, con tutti gli altri anarchici prigionieri e in definitiva con tutti i detenuti e le detenute, è stata indetta per il 12 novembre a Roma una manifestazione nazionale. (redazione monitor)
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