“Signorina, lei non capisce, non c’è più un modo per proporre un’idea. Noi come Teatro di Roma vogliamo eliminare alla base questa possibilità, per poter lavorare tra di noi, tra persone che si conoscono da sempre, tra pochi amici fidati. Lei vada all’estero, Londra Parigi, vada dove vuole ma vada via!”. [Boris 3]
5 settembre 2013. Ore 21:05. Su la maschera! Al teatro San Carlo di Napoli Tullio Solenghi presenta il premio “Le maschere del teatro italiano”: la breve panoramica della sala permette di apprezzare la caratura di questo evento, che vede nel pubblico il gotha del teatro italiano, tra i quali anche Patrizio Rispo e Luca Barbareschi. Trattandosi di un evento culturale italiano, con tanto di diretta su Rai Uno, è necessario che presentatore e premiati facciano qualche discorso morale sulla cultura e qualche battuta di sinistra degna dell’acuta satira alla Luca & Paolo.
Ore 21:08. Solenghi sale sul palco e attacca con una storia di vita vissuta il cui succo ha sempre lo stesso sapore: l’Italia viene derisa all’estero per colpa dei politici immorali ma rimane ancora la nostra grande cultura a rappresentarci nei veri valori.
Ore 21:09. Senza alcuna vergogna di contraddirsi in meno di trenta secondi, Solenghi saluta il presidente della giuria del premio “Le maschere”: Gianni Letta. Applausi. Segue originalissima battuta sull’altezza di Brunetta. Risate.
Zio Letta, però, l’uomo ombra di Berlusconi nel disastro italiano, «non può presenziare alla serata per impegni istituzionali». Il resto della giuria conta tra gli altri Caterina Miraglia, assessore regionale alla cultura e presidente della “Fondazione Campania dei Festival”, Giancarlo Leone, direttore di Rai Uno, Giulio Baffi, critico teatrale de “la Repubblica Napoli”.
Ore 21:13. Fa il suo ingresso con pantalone bianco, cravatta bianca, camicia bianca e giacca bianca “uno dei fondatori del premio: Luca De Fusco!”. Clap-clap. Siamo sicuri che sia per questioni di tempi televisivi che Solenghi non lo abbia presentato dicendo: «Entra sul palco uno dei fondatori del premio Le maschere, presidente del Teatro Festival di Napoli, direttore del Mercadante Stabile di Napoli, candidato alla presidenza del Forum delle Culture, impegnatissimo regista e promotore di spettacoli teatrali sempre presenti in cartellone…».
Ore 21:15. Cominciano le premiazioni. Piovani riceve il premio per le musiche di “Una serata a Colono” di Elsa Morante per la regia del napoletano Mario Martone, spettacolo che però non sembra aver trovato da più di un anno e mezzo uno spazio nei teatri partenopei. Si può comunque raggiungere comodamente “la Pergola” di Firenze per vedere rappresentato il testo che all’epoca la Morante affidò nelle mani di Eduardo De Filippo.
Ore 21:45. Veloce carrellata di premi, perché i tempi pubblicitari della Rai premono, o forse perché in Italia costumi e scenografie stanno alla regia e ai protagonisti come il basket e la pallavolo stanno al calcio (i giornalisti usano la simpatica espressione “discipline minori”).
Ore 21:50. Arrivano i momenti più attesi: il premio miglior autore di novità italiana va a Valeria Parrella per il suo “Antigone”. La giovane scrittrice afferma di essere felice ma anche meravigliata dal premio trattandosi del suo primo incontro con la drammaturgia teatrale, lontana dal suo stile letterario. Solenghi, sempre per la fretta, sottolinea solo che il testo verrà rappresentato a Parigi e si complimenta per questo successo, ma non trova il tempo per aggiungere che l’adattamento di Antigone è stato commissionato alla Parrella dallo stesso De Fusco, fondatore del premio che le viene consegnato, direttore del Mercadante e del Teatro Festival, nonché regista di “Antigone” della Parrella, spettacolo “selezionato” proprio per il cartellone del Mercadante e del Teatro Festival. Maledetti tempi televisivi.
Dalle 22 in poi standing ovation continua per Toni Servillo nel suo anno di gloria teatrale e di svariati brutti film, che si aggiudica per “Le voci di dentro” il premio miglior attore protagonista e migliore regia; il suo spettacolo si aggiudica anche i premi “miglior attrice non protagonista” (Chiara Baffi, figlia del giurato Giulio), “miglior attore non protagonista” (Peppe Servillo) e “miglior spettacolo di prosa”.
Servillo smorza l’antipatia che si potrebbe generare verso chi vince tutto dedicando i premi alle spettatrici, «perché se le donne smettessero di venire a teatro le sale sarebbero vuote». Poi finalmente accenna una mezza frase sul Teatro, «che non è solo un discorso di finanziamenti alla cultura», ma il discorso ricade subito sulla presenza delle donne e tutto fila liscio per la conclusione.
Ore 23. Il clou della serata: entra in sala per consegnare un premio il vicepresidente del San Carlo Maurizio Maddaloni (già presidente della Camera di commercio di Napoli, noto per le dure critiche alla ZTL ma per la difesa dei grandi eventi, e da poco per essere indagato nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti della Coppa America). Solenghi: «C’è solo il vicepresidente, perché il presidente è il sindaco de Magistris, che non è potuto venire (sorrisino), non poteva mandare il fratello?». Applausi e risate. Maddaloni precisa: «Io non sono il fratello del sindaco, sono il presidente della Camera di commercio di Napoli e sono fratello di me stesso, non ho certo parenti…». Applausi. Applausi.
Sigla. Pubblicità.
Manca a completamento della serata una panoramica esterna al teatro San Carlo, presidiato da forze dell’ordine come se ci si attendesse chissà quali contestazioni. In fondo sarebbe stata la migliore immagine per marcare la distanza tra un cerchio chiuso e tutto ciò che lo circonda. Questa serata del premio Le maschere, più che essere discutibile per questioni artistiche, sembra la felice conclusione di anni di problematiche irrisolte nell’ambito della gestione della cultura in Campania. Ma ci dice anche di più. Posizioni di imbarazzante e sfacciato conflitto di interessi non si sarebbero potute consolidare senza un’amministrazione comunale così debole, e senza il vuoto politico che si va allargando attorno al nostro disastrato sindaco, che pure si è spesso espresso in termini netti contro De Fusco e la gestione dello Stabile e del Teatro Festival. Eppure, ridurre tutto a un problema di gestione politica può far cadere in errore. Sulla mediocrità della vita culturale della città e sulla solidità dell’oligarchia che la gestisce pesa anche la mancata presa di posizione da parte di molte personalità della cultura, critici, attori, docenti, scrittori, registi. Si ricevono premi, ci si siede nei comitati artistici e nei consigli di amministrazione magari cercando di fare bene il proprio lavoro, ma senza mai aprire la ferita. Un comico malandato un giorno scrisse che per capire nel complesso il conflitto di interessi non bisognava guardarlo solo dall’alto, ma anche dal basso e dal lato. E questo vale specialmente per il mondo dello spettacolo.
Sono passati cinquant’anni da quando Eduardo, denunciando in una lettera “la camorra teatrale e i parassiti dello spettacolo”, si era dato una risposta al perché certe critiche alla gestione del Teatro le poneva soltanto lui: “La paura. Ecco perché solo io ho rotto il cerchio di silenzio e di omertà. Io parlo per quelli piccoli che essendo alla mercé di chi ha il coltello dalla parte del manico non sono nella condizione di aprire la bocca”.
Oggi personalità del genere non se ne intravedono (Servillo, nella serata di cui sopra, ha perso un’altra buona occasione), ma la crisi economica ha imposto ai molti che non si sono accodati al carro del vincitore di cominciare a muoversi in autonomia. Di costruirsi la propria realtà in altri luoghi anche periferici senza nessun aiuto pubblico. Altri lo hanno sempre provato a fare. E sono proprio i luoghi meno centrali ad avere partorito negli anni le esperienze più interessanti. C’è chi ha trasformato case, terrazze e scalinate abbandonate in palcoscenici, chi ha aperto teatrini in capannoni, chi ha lavorato con i ragazzi nei progetti sociali facendo nascere esperienze teatrali.
Fuori da questo c’è poi una terra di mezzo, composta da quelli che tacciono perché magari una scarpa dentro potrebbero sempre mettercela, e sono quelli che in fondo provano invidia e non rabbia. Specie in una città dove tutti si conoscono. Forse bisognerebbe fare molta attenzione ad applaudire generici discorsi contro i tagli alla cultura, e fare delle distinzioni. Per molti i tagli alla cultura hanno minato l’assistenzialismo sul quale avevano adagiato la loro capacità e passione artistica, per altri hanno intaccato i carrozzoni clientelari. Infine, qualcuno invece alza la voce perché vede nella propria città morire i quartieri, le scuole, i progetti sociali, gli edifici pubblici abbandonati e non sopporta l’idea che esistano grossi eventi gestiti da pochi a canalizzare gli esigui finanziamenti rimasti, senza lasciare nulla alla città. E non sopporta che si applauda a tutto questo. (fabio germoglio)
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