Torino in questi giorni è una città militarizzata. All’alba del 7 febbraio sono iniziate le operazioni di sgombero dell’Asilo, storica occupazione anarchica in via Alessandria, durate più di un giorno per via della resistenza degli occupanti, asserragliatisi sul tetto dell’edificio. Sette persone sono state fermate, accusate di reati di associazione eversiva e detenzione di ordigni esplosivi. Subito dopo essere entrati, i nuovi occupanti si sono impegnati a rendere il posto completamente inagibile, murando le porte, e a cancellare ciò che era stato costruito in quel posto smantellando cucine, banconi, stanze, bruciando i mobili in cortile. Da quel giorno camionette di polizia e carabinieri bloccano tutte le strade che portano allo spazio che era gestito dagli anarchici. Sono diventate una presenza fissa nel quartiere, la mattina si attraversa il posto di blocco per andare a lavorare, e se si deve passare di lì servono i documenti a portata di mano. I cortei di solidarietà svoltisi giovedì e sabato si sono trovati a fronteggiare un dispiegamento di forze eccezionale che ha impedito ai manifestanti, sabato molto numerosi, di superare il fiume Dora. Camionette correvano all’impazzata lungo il fiume a sirene spiegate, i fumi dei lacrimogeni rendevano l’aria irrespirabile. I giornali hanno narrato di guerra civile con un linguaggio di odio che ben si accompagnava alle parole militari del Comune e della Prefettura.
Ieri, 13 febbraio, anche piazza della Repubblica è stata occupata dalle forze dell’ordine. Era previsto un presidio lanciato dall’area anarchica sotto il palazzo del Comune. Il presidio è stato impedito da numerose camionette dei carabinieri e della polizia che si sono schierate all’imbocco di via Milano – che dalla piazza immette nel centro di Torino e porta fino al Comune –, bloccando i mezzi pubblici e facendo scendere i passeggeri. Dei poliziotti della Celere, armati di tutto punto, sono entrati sul tram, esponendo gli scudi con su scritto Polizia a lettere bianche e azzurre, spintonando per farsi largo verso i presunti manifestanti, chiudendoli con la forza verso il fondo del mezzo. Hanno fermato una persona, fatto scendere le altre. Hanno urlato il linguaggio dell’ordine. Lo stesso che sentivano le centinaia di persone che, come ogni giorno, si trovavano in quel momento in piazza della Repubblica, principalmente per il mercato. La Celere si muoveva rapidamente, convulsamente tra i banchi, affrettandosi in gruppuscoli di cinque, sei, sette persone per portarsi verso l’incrocio e bloccare una macchina o un bus, spingendo leggermente o chiedendo bruscamente permesso a chi passeggiava, curiosi sorpresi o spaventati. O, come molti, noncuranti.
I manifestanti si sono radunati dietro uno striscione, di fronte allo sbarramento di via Milano. I cori denunciavano la natura repressiva delle azioni della sindaca; le persone erano poche, molte meno di sabato, meno di giovedì, molte meno delle forze dell’ordine. Vista l’oggettiva impossibilità di provare ad avvicinarsi al Comune, si è deciso di muoversi in direzione opposta, attraversando la piazza per tutta la sua lunghezza lungo i binari, e di imboccare infine corso Giulio Cesare. Nel frattempo, i tram continuavano a essere fermati. Uno a uno scendevano tutti i passeggeri, infine i conducenti. Uno di loro, con il giacchetto e il cappello della Gtt, si accendeva una sigaretta fermandosi a guardare il corteo che si avvicinava al mezzo, superandolo lentamente. Gli abbiamo chiesto se sapeva chi fossero. Certo, gli anarchici. Quelli dei casini dei giorni scorsi.
Dopo il corteo, sono sfilati polizia e carabinieri. Digos, Celere, camionette sotto il sole delle rare e luminose giornate di bel tempo nell’inverno torinese. Lentamente, la piazza si è svuotata degli inusuali occupanti, è tornata al caos ordinario. Viene da chiedersi a che tipo di parata abbiamo assistito. A quale scena di teatro abbiamo partecipato. (edoardo girardi)
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