Lo scorso 21 giugno il Silos di Trieste, il grande magazzino ottocentesco che per anni ha ospitato buona parte delle persone arrivate dalla rotta balcanica nel capoluogo giuliano, è stato sgomberato. Intorno alle otto di mattina la polizia si è presentata a uno degli ingressi dell’enorme struttura in parte diroccata e, dopo una breve interlocuzione con alcune attiviste presenti, è entrata nell’edificio insieme ai carabinieri, alla polizia locale e alla guardia di finanza per identificare le persone presenti e trasferirle altrove. Nel corso della giornata si è scoperto che la destinazione era la Lombardia. Erano presenti all’interno poco meno di cento persone che sono state separate in file tra “regolari” (cioè chi aveva i documenti e/o aveva presentato una richiesta di asilo) e “irregolari” (senza documenti). Questi ultimi sono stati accompagnati per primi in Questura per formalizzare la richiesta di asilo.
Nel giro di poco tempo nel Silos non rimane più nessuno. In mezzo al fango e alle pozzanghere ci sono però ancora decine di tende, sacchi a pelo, teli e tantissimi altri oggetti sparsi: cartoni del latte rosicchiati dai topi, scarpe, abiti, pezzi di mantelline metalliche, involucri di plastica, posate, stoviglie, vecchie biciclette, lattine. Si possono considerare rifiuti, ma sono anche la traccia della vita di tante persone che per anni hanno trovato nel Silos l’unico spazio in cui avere un rifugio a Trieste.
Nel frattempo fuori le persone sono state divise per nazionalità dai mediatori dell’Unhcr che hanno dato anche delle spiegazioni, prima di procedere alla visita medica effettuata dal personale dell’azienda sanitaria (Asugi) sotto ai gazebo situati in un piazzale poco distante. Poi si rimaneva in attesa dell’arrivo dei pullman per il trasferimento. Nel corso della giornata da altre parti della città sono arrivate altre persone, comprese alcune famiglie, interessate al trasferimento. Per tutto il tempo alcune attiviste sono rimaste sul posto.
INTERESSI SULL’AREA
Da diversi giorni in città si parlava dello sgombero della struttura. La prospettiva ha assunto concretezza dopo che il 7 giugno il sindaco Dipiazza ha emanato un’ordinanza che imponeva alla Coop 3.0, la proprietaria della struttura, di procedere entro quindici giorni allo sgombero. Leggendo l’ordinanza si capisce che la decisione sarebbe stata motivata da ragioni igienico-sanitarie, visto che il sito sarebbe “assolutamente non idoneo ad accogliere persone nemmeno temporaneamente in quanto l’assenza d’acqua, di energia elettrica e servizi igienici non garantisce l’osservanza delle più elementari regole di igiene, con conseguente grave pregiudizio per l’incolumità e la salute degli occupanti e della popolazione”. Questo era da tempo noto in città e non solo, vista anche la quantità di servizi giornalistici realizzati solo nell’ultimo anno sulle condizioni del Silos. È probabile che la data dello sgombero sia stata determinata anche da alcuni appuntamenti che interessano la città in questo periodo come il G7 sull’istruzione, la visita del presidente della Repubblica e quella del papa. Il rischio che Francesco potesse visitare il Silos potrebbe essere stata una delle ragioni per non rinviare lo sgombero.
Sembra che la Coop sia ora intenzionata a vendere l’immobile. Pur versando in condizioni pessime, la struttura è storica e soprattutto si trova in posizione strategica, vicina al porto vecchio, un’ampia area rimasta abbandonata per decenni e ora al centro di diversi interessi, con conseguente rivalutazione degli immobili e concreti rischi di speculazione.
Pochi giorni prima dello sgombero la strada che separa il Silos dalla stazione centrale di Trieste è stata trasformata in un parcheggio privato che dovrebbe entrare in funzione a breve. In una città in cui i parcheggi determinano una parte non marginale dell’assetto urbanistico questo era un segno chiaro che la gestione dell’area stava per cambiare. Proprio nel parcheggio staziona ora una macchina di un servizio di sicurezza privato che deve evitare nuovi ingressi nell’edificio.
Rimangono ancora poco chiari i piani delle istituzioni per il futuro. La prefettura sostiene di aver allargato la disponibilità di posti di una struttura a Campo sacro, sull’altopiano del Carso, e di poterla aumentare grazie ad alcuni moduli prefabbricati forniti dall’Unhcr. Pochi giorni prima dello sgombero quattro enti attivi nell’assistenza alle persone in movimento come il Consorzio italiano di solidarietà (Ics), No Name Kitchen, Linea d’Ombra e la Diaconia Valdese hanno rilasciato un comunicato in cui valutano in modo positivo l’aumento, pur tardivo, dei posti disponibili a Campo sacro, ma ne denunciano anche l’insufficienza, chiedendo che le persone in arrivo dalla rotta balcanica non siano più abbandonate per strada e che venga allestita una struttura di accoglienza a bassa soglia (quindi senza richiesta di particolari condizioni per l’accesso) per chi non ha interesse a fermarsi a Trieste. Circa il settanta per cento di chi arriva, infatti, vuole proseguire il viaggio verso altri paesi. Da tempo diverse realtà cittadine chiedono che a questo scopo venga aperto l’ex mercato di via Flavio Gioia, a pochi passi dal Silos, senza trovare appoggio da parte del Comune che pure quasi due anni fa era sembrato intenzionato ad allestire la struttura a questo scopo.
VITE ABBANDONATE
Il giorno dopo lo sgombero del Silos in piazza Libertà, l’area di fronte alla stazione dove da anni i volontari di Linea d’Ombra si prendono cura delle persone in transito, si è svolta una manifestazione che è tornata a chiedere chiarezza rispetto ai piani delle istituzioni. Lo sgombero, nelle sue modalità “gentili”, è stato definito da una delle persone intervenute al microfono una sceneggiata che stride con l’aperto disinteresse che le istituzioni avrebbero per anni riservato a chi arriva dalla rotta balcanica. Proprio in questi giorni il Comune ha rimosso i pochi bagni che aveva, sempre troppo tardi, installato in un’altra area di piazza Libertà, sostenendo che questi sarebbero stati vandalizzati. Nella stessa piazza, proprio dove opera Linea d’Ombra, la statua di Sissi è da un anno circondata da una recinzione, messa per evitare che il retro del monumento, prima in parte coperto da alcune piante, venisse usato come bagno a cielo aperto. Sembra un dettaglio ma, oltre a limitare la fruizione della piazza, rispecchia quanto le istituzioni non riescano a realizzare delle soluzioni di lungo periodo di fronte a problemi prevedibili. La manifestazione si è poi conclusa con un corteo spontaneo che ha raggiunto la Prefettura, nella centralissima piazza Unità.
Da oriente continuano intanto ad arrivare nuove persone che, in mancanza di posti sufficienti in accoglienza o avendo altri piani, cercano di passare la notte in spazi alternativi al Silos.
È stato appena pubblicato l’opuscolo Vite abbandonate, realizzato da Linea d’Ombra, dall’Ics, da Donk, dalla Diaconia valdese, dalla Comunità di San Martino al Campo e dall’International Rescue Committee in cui si forniscono i dati sulle persone arrivate a Trieste nel 2023. Rispetto al 2022 ci sarebbe stato un aumento nel numero di arrivi (da 13.127 a 16.052). Gli arrivi variano di mese in mese, ma si segnala che proprio tra luglio e settembre si assiste al picco annuale, con oltre duemila arrivi mensili registrati di media. A fronte di questi numeri la rete di volontari e il Centro diurno, gestito dalla comunità di San Martino al Campo con l’Ics, situato a sua volta vicino alla stazione, fanno fatica a rispondere a tutte le esigenze.
La rete che ha redatto l’opuscolo chiede pertanto al comune di Trieste di sostenere le attività del Centro diurno, di approntare un centro a bassa soglia con almeno cento posti letto e di attrezzarsi per assistere i minori stranieri non accompagnati, ampliando allo stesso tempo il sistema di accoglienza dei richiedenti asilo. Si raccomanda inoltre alla prefettura di porre in essere un sistema di trasferimenti regolari verso altre aree del paese e all’Asl di occuparsi dell’assistenza sanitaria nella struttura a bassa soglia. (alessandro stoppoloni)
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