Paolo Pileri, ricordando in uno dei suoi ultimi scritti come “i consumi di suolo nascono da una manomissione delle parole dell’urbanistica”, conclude affermando che “la lingua dell’urbanistica è diventata una lingua straniera: il suo vocabolario, ormai incomprensibile, è composto di parole manomesse e di varianti linguistiche”. Varianti linguistiche perché, in assenza di definizioni univoche a livello nazionale, le definizioni e le relative prescrizioni che riguardano il suolo e il suo consumo discendono da ordinamenti tra loro sensibilmente differenti, vale a dire i venti ordinamenti regionali. Parole manomesse perché queste definizioni, e le connesse prescrizioni, finiscono con l’essere sideralmente lontane dal senso comune, oltre che dalla scienza. La principale delle manomissioni riguarda proprio la definizione stessa del suolo che, ci ricorda Pileri, nell’ordinamento del nostro paese ancora non comprende né il riconoscimento dello status di risorsa ecosistemica né quello formale ed esplicito che il suolo è una risorsa non rinnovabile, scarsa, vulnerabile e strategica per la sovranità nazionale.
Nel territorio emiliano-romagnolo la legge regionale (24/17) è l’unica disciplina vigente in proposito. In queste condizioni di indiscutibile debolezza normativa, aiuta richiamare il quadro degli orientamenti che, ai diversi livelli istituzionali, caratterizzano i comportamenti in campo urbanistico su questo tema. Nonostante il continuo richiamo delle leggi regionali, della disciplina, della politica e della stampa alla fatidica data del 2050, entro la quale dovrebbe essere “azzerato il consumo netto del suolo”, in realtà non esiste una Direttiva Ue sui suoli, e la proposta più accreditata per la sua approvazione è caduta nel 2016, per scadenza dei tempi. Pertanto, l’obiettivo da raggiungere al 2050 si riduce a un semplice orientamento comunitario, che non comporta alcuna denuncia di infrazione qualora non venga raggiunto. Nel 2015, però, le Nazioni Unite, attraverso l’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile, hanno collocato l’annullamento del consumo di suolo in un quadro di obiettivi da raggiungere entro il 2030 attraverso veri e propri Piani di transizione ecologica (Pte), anticipando dunque di venti anni la data a cui traguardare l’attenzione sul tema del suolo.
L’Italia non ha ancora una legge sul suolo. Il tentativo del governo Renzi, “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”, è naufragato nel dicembre 2016. I contrasti nella maggioranza nel primo governo Conte e l’incombere della pandemia nel secondo, hanno di fatto impedito una ripresa del dibattito e quando il governo Draghi ha varato la definitiva stesura del Pnrr, nel luglio 2021, una legge sul suolo e una nuova legge urbanistica apparivano politicamente improponibili.
Il Pnrr finirà così con l’appoggiarsi su di una legge urbanistica nazionale del 1942 e su di una pletora di leggi regionali, nessuna delle quali ha il coraggio di affrontare con radicalità l’occasione offerta dalla profonda crisi del mercato immobiliare, dall’ingente disponibilità di risorse e dalla ripetuta richiesta di attenzione al clima e alla centralità del tema del suolo. Nelle trecento e più pagine del Piano il suolo viene citato, titoli e tabelle comprese, non più di una dozzina di volte, e sempre inteso come supporto per impianti di produzione energetica, naturalmente green.
Parallelamente, anche a livello nazionale, ha però prodotto effetti l’iniziativa strategica comunitaria del Green Deal. Lo strumento specifico di questa strategia è il Pte, che in Italia viene adottato nel giugno 2022. Il Piano (2021/2050) si declina in otto ambiti di intervento, uno dei quali è il “contrasto al consumo di suolo e al dissesto idrogeologico”. In merito al consumo di suolo, il Piano formula impegni significativi, anticipando al 2030 l’obiettivo dell’azzeramento. Di tale Piano, però, non ha parlato nessuno, nemmeno la stampa.
Il calcolo del consumo di suolo a oggi è affidato all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), istituito con legge 133/2008 e sottoposto alla vigilanza del ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Ispra fa parte del Snpa (Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente), che ogni anno realizza il rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici”. Il primo rapporto annuale è stato pubblicato nel 2014 e i dati di questo primo rapporto registrano una considerevole “frenata” del fenomeno di consumo di suolo rispetto al decennio precedente, come effetto della crisi economica del 2008: si passa da un consumo di circa 100 km quadrati l’anno a circa 55/65, rimanendo quest’ultimo lo standard per i successivi nove anni, come testimonia l’ultimo rapporto.
Il significativo (per quanto diminuito) fenomeno di consumo del suolo è meticolosamente descritto e valutato da Ispra attraverso complessi parametri di calcolo, talvolta difficilmente comprensibili e apparentemente ispirati più a un taglio accademico che amministrativo, e spesso progressivamente soggetti ad affinamento (di anno in anno) e dunque di difficile comparazione.
Alla fine del 2017 viene approvata la annunciata nuova legge urbanistica regionale dell’Emilia-Romagna, “Disciplina regionale sulla tutela e uso del territorio”. Nella dotta e puntuale relazione illustrativa, nell’intento dichiarato di “assumere quali cardini la competitività del sistema economico e la sostenibilità ambientale”, si propone così di “stabilire una quota particolarmente limitata alle espansioni in modo da evitare le concorrenzialità per sostenere i processi di rigenerazione urbana auspicati, ma tale da consentire di soddisfare alcuni bisogni, riservando questa quota prioritariamente alle attività capaci di far crescere l’economia regionale”.
Tali buoni propositi verranno tradotti in articolato di legge, a seguito di determinate pressioni politiche, nel cosiddetto “processo partecipativo” degli stakeholder, vale a dire dei costruttori. In particolare l’art. 5 si occupa del suo “contenimento” e l’art. 6 del “consumo ammissibile”.
Come è noto, la legge è stata approvata non tenendo in alcuna considerazione le documentate critiche formulate dalla minoranza facente capo al gruppo consigliare dell’Altra Emilia Romagna e a quello dei Cinque Stelle, che poi votò contro. Possono essere qui brevemente riassunte le ragioni di questo dissenso, almeno di quello relativo alla questione del consumo del suolo:
a) La scarsa chiarezza e assenza di documentazione giustificativa della scelta del parametro di riferimento (superficie del Territorio Urbanizzato) e della quota massima di ammissibilità di consumo di suolo (3% del TU);
b) L’opinabile scelta dei citati parametri in riferimento esclusivo alla natura distruttiva dell’occupazione del suolo e al danno da questa provocato esclusivamente all’esterno del TU;
c) Le inevitabili difficoltà e incertezze derivanti dall’assenza di un programmato e ordinato utilizzo della quota massima di consumo di suolo ammissibile, con i conseguenti effetti di iniquità, sempre in riferimento all’attuale debolezza del sistema di pianificazione territoriale di scala sovracomunale e ai tempi previsti per il rinnovo della sua strumentazione, nonché in riferimento alla prospettiva, molto lontana, del “saldo zero” al 2050;
d) I dubbi sull’efficacia, in relazione alle caratteristiche “ordinatorie” e non “perentorie” delle disposizioni e in relazione alle numerose eccezioni al limite stabilito.
Nessuno di questi rilievi è stato preso in considerazione, in nome di un solido patto sottoscritto dall’amministrazione regionale con le organizzazioni dei costruttori. La delibera, in proposito, recita: “considerato il valido contributo fornito dal ‘Tavolo di coordinamento tecnico per le politiche sul governo del territorio’ […] si ritiene opportuno continuare ad avvalersi dello stesso tavolo anche ai fini del monitoraggio dell’applicazione della LR 24/17”. Ma da chi è composto il tavolo?
1. Da dieci rappresentanti delle autonomie locali (dei quali uno della Città Metropolitana di Bologna e nove rappresentanti di comuni, unioni di comuni e province);
2. Da un rappresentante ciascuno degli ordini degli Architetti, degli ingegneri, dei geologi, degli agronomi, uno ciascuno dei Collegi dei geometri, dei periti industriali e dei periti agrari;
3. Da quattro rappresentanti delle associazioni imprenditoriali, dei quali uno designato da Ance Emilia-Romagna, uno da Confindustria Emilia-Romagna e due designati dal Tavolo regionale dell’imprenditoria;
4. Da un rappresentante di Legambiente;
5. Da tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali intercategoriali dei lavoratori maggiormente rappresentative a livello nazionale;
6. Da un dirigente regionale con funzioni di coordinamento del Tavolo.
Ovvero, non un rappresentante del mondo scientifico dell’analisi territoriale, dell’insegnamento della disciplina, della valutazione tecnica delle conseguenze di una strategia di governo territoriale ispirata prevalentemente allo sviluppo economico. Verrebbe da chiedersi come, con una composizione siffatta, la maggioranza dei componenti del Tavolo possa mai promuovere e difendere una politica che persegue il contenimento del consumo del suolo e un futuro dedicato esclusivamente alla pianificazione sostenibile e alla rigenerazione urbana. In sintesi, è possibile sapere se, in conseguenza della legge, gli attuali ritmi di consumo del suolo verranno progressivamente ridotti, fino ad annullarsi al 2050 come promesso?
I report annuali pubblicati da Ispra contengono dati sul consumo di suolo riferiti alla dimensione regionale e provinciale e gli ultimi, quelli del Report 2022 (riferito al 2021) anche quelli relativi al livello comunale. Va innanzitutto evidenziato che la differente definizione del termine “consumo di suolo” fornita dalla legge regionale e dall’ente statale preposto alla sua documentazione (Ispra) comporta una sostanziale difficoltà di comparazione. La definizione regionale, che potremmo chiamare “urbanistica”, misurando il consumo di suolo tramite il perfezionamento di atti di valore giuridico/amministrativo (accordi, convenzioni) non definisce quello che, in senso corrente, può essere ritenuto “effettivo consumo di suolo” bensì fornisce la misura potenziale dell’incremento del territorio urbanizzato, individuandolo non nel momento in cui il suolo viene effettivamente consumato ma in quello in cui viene decisa in modo irreversibile la sua trasformazione, attraverso gli atti amministrativi di approvazione degli accordi e delle convenzioni. Diversamente, la definizione di consumo di suolo utilizzata da Ispra, che potremmo definire “effettiva” e “onnicomprensiva”, si riferisce ai dati oggettivi rilevabili tramite satellite. Viene da chiedersi: perché la legge regionale non ha voluto rinunciare a questa differenza (tra consumo “urbanistico” ed “effettivo”)?
I dati Ispra documentano il consumo di suolo fin dal primo rapporto del 2014. Il fatto di grande interesse è che la diminuzione di questi ritmi non è l’effetto della legge ma, al contrario, è la legge a risultare l’effetto della difficoltà del mercato. Anche per questo, negli anni successivi, si costituisce la Rete di emergenza climatica e ambientale (Reca), che coordina a livello regionale una settantina di associazioni ambientaliste e di comitati locali. L’occasione è costituita dalla discussione sui temi proposti dal Patto per il lavoro e il clima promosso dalla giunta regionale nel febbraio del 2020, dopo la rielezione di Stefano Bonaccini alla presidenza della regione. La Rete oggi promuove l’iniziativa di presentare quattro proposte di legge regionale di iniziativa popolare, tra cui “Norme per l’arresto del consumo di suolo e per il riuso dei suoli urbanizzati”.
Infine, il Piano territoriale metropolitano (Ptm), approvato nel maggio 2021, dedica alla questione del consumo del suolo uno specifico documento. L’analisi constata la radicale diminuzione dell’occupazione di suolo nel secondo decennio degli anni Duemila, a seguito della crisi del settore edilizio e della caduta del mercato immobiliare; ovvero un andamento in diminuzione, che tuttavia non lascia intendere di poter ulteriormente diminuire né di risultare dipendente dalle prescrizioni della legge regionale.
Per questo oggi è utile indagare sugli effetti, in ambito nazionale, regionale e locale dell’obbligo di rispetto degli obiettivi stabiliti dall’Agenda globale dello sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030 e verificare quanto si stia facendo, in sede comunitaria, per approvare una vera e propria legge sulla salute del suolo, in coerenza con l’impegno assunto di approvarla entro il 2023. (osservatorio urbano bologna)
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