Al corteo arrivo tardi, verso le 16, quando ormai i cortei si avviano verso la fine. In questo 16 marzo a Parigi ve n’erano addirittura tre, un incubo per la polizia parigina. C’è l’imbarazzo della scelta: marcia per il clima, marcia delle solidarietà, contro le violenze della polizia e il razzismo, gilet gialli. Traffico impazzito, una decina di stazioni della metro chiuse, autobus e turisti bloccati. Vado a Saint Lazare e risalgo il fiume di gilet gialli diretti verso la stazione e ai treni che portano fuori Parigi. Atmosfera da trasferta di campagna, gilet gialli sparsi nei bistrot dei boulevard, pinte alla mano, c’è il sole.
Eeeee-mmmanuel Macròòòn
Aaaaami des patrooons (oppure: grosse teeeete de con)
On va te chercher chez toi
(Emmanuel Macron / Amico dei padroni (oppure, grossa testa di c…o) / Veniamo a prenderti a casa).
Mi imbatto nel corteo dalle parti del boulevard Haussmann (In mattinata i manifestanti erano più di diecimila, secondo Le Monde. Ora meno, ma comunque tanti). I manifestanti avanzano riempiendo il boulevard, al ritmo dei rumori e degli scoppi prodotti dai pali da cantiere, dai pavés, dalle grate, dalle mazze che si infrangono contro vetrine e negozi. Le boutique di lusso sono regolarmente prese di mira, così come le banche, i negozi di catene come Starbucks, le brasserie e i ristoranti haut de gamme. Siamo nei bei quartieri, a due passi dagli Champs-Elysées.
A volte sono dei gruppetti di giovanissimi supereccitati ad accanirsi sulle vetrine. Corrono veloci, zigzagando tra la gente. Alcuni sono a volto scoperto. Altre volte adulti, gente attrezzata o meno. Sono vetrine molto belle. Alcune minimaliste, bianche e piene di luci brillanti, altre retrò, in legno laccato e con le luci soffuse.
Emmanuel Macron,
President des patrons
On va tout casser chez toi
(Emmanuel Macron / presidente dei padroni / veniamo a scassare tutto a casa tua).
Un negozio di camice di lusso viene preso di mira con dei sanpietrini, saltano i vetri e le porte, nel giro di qualche secondo alcuni manifestanti s’infilano dentro e si mischiano ai clienti terrorizzati. I commessi e le guardie, impotenti, lasciano fare. Alcuni, veloci, arraffano dei capi da centinaia di euro e si reimmettono nel corteo. Altri esitano, un cliente capisce l’antifona e s’infila una camicia blu sotto la giacca, uscendo di fretta con l’aria di chi deve andare a un appuntamento importante.
Un ragazzo (o ragazza?) vestito di nero sfonda una vetrina dall’aspetto antico di un negozio di scarpe e cravatte di lusso. Il masso rotola dentro, sul panno verde che ricopre la mensola. Un tizio infila rapido la mano e prende una serie di cinture. Un altro dei calzini, poi corre via, gridando: «Queste sono per mio nonno!».
A ogni cantiere, centinaia di persone, più o meno black e molto poco bloc si danno da fare per trasformare le barriere in metallo in scudi contro le flashball della polizia, i pali e i sostegni in barricate. L’intera lunghezza del corso è bloccata. Barricate in metallo si alternano ogni qualche decina di metri.
Chi c’è ora accanto a me? La domanda ritorna spesso in queste manifestazioni. Ci sono persone da fuori Parigi, sindacalisti di base, gente dei movimenti, melenchonisti, qualcuno che mi sembra un fascio, un tizio lo vedo sicuro, con l’ananas e lo slogan della quenelle di Dieudonné, il comico antisemita e complottista, figura della neo-estrema destra francese. Ci sono tre signore quarantenni dall’aspetto normalissimo, stivaletti neri e piumino, che portano al collo ognuna una maschera antigas. Neri, bianchi, donne, uomini.
Su di un muro, qualcuno ha scritto uno slogan che potrebbe essere di destra, ma non ne sono sicuro: “France partout”, Francia ovunque; ma qualcun altro ha scritto subito sotto: “Justice nulle part”, giustizia da nessuna parte, eco di uno slogan molto comune: “Police partout / justice nulle part”.
C’è una certa sensazione di “nebbia ideologica”, come constatato anche da Samuel Hayat, che lascia in un certo senso impotenti. “Una volta riconosciuto che si è impotenti – scrive –, che i nostri discorsi critici non fanno più presa”, bisogna soprattutto rendersi conto di non avere il diritto di chiamarsi fuori dalla nebbia. L’unica uscita “è il lavoro politico”, “riflettere ai mezzi di riarmarsi [politicamente], e di disarmare i fascisti, che tentano di riprendere terreno”. E siccome nessuno ha la soluzione in tasca, “bisogna lasciare spazio alle sperimentazioni, all’invenzione di nuove ricette”.
Una delle poche cose chiare è il contrasto bruciante con le persone sedute ai tavolini dei bar di lusso davanti ai quali sfila il corteo. Vestiti bene e increduli, guardano un po’ impauriti i gilet gialli sfilargli davanti, e questi ultimi sono ben coscienti del contrasto, e non esitano a rimarcarlo ad alta voce.
In alcuni dehor scatta il panico, ma non vedo scene di violenza contro clienti. Un gruppo di manifestanti si fionda contro una brasserie, le sedie volano in mezzo alla barricata, dei sassi partono contro le vetrine, poi il gruppetto passa velocemente oltre. Una manifestante si avvicina al cameriere ancora tremante, intento a recuperare una sedia, e gli chiede: «Hai bisogno di una mano?». Il tizio, incredulo, la guarda come fosse un’aliena.
#Paris #acte18 des #GiletsJaunes #Urgent le Fouquet's en feu. pic.twitter.com/9XTHc5Yxsd
— LINE PRESS (@LinePress) March 16, 2019
L’hotel-ristorante Fouquet’s, 99 Avenue des Champs-Elysées, costo della Suite Prestige per una notte, 2.180 euro; costo di 125 gr. di caviale imperiale della Sologne, 360 euro; costo del brunch, senza bibite, 95 euro a testa – “è raccomandata la prenotazione, tutte le domeniche nei nostri saloni storici”.
Le immagini della distruzione e dell’incendio a cui è stato sottoposto sono impressionanti. I gilet gialli, spesso, riescono a cristallizzare i simboli, a delucidare il dibattito, rivelando i reali interessi in gioco. Il Fouquet’s è un simbolo, ma non tutti vi vedono lo stesso significato. Il giorno dopo il corteo, il settimanale di economia Challenges ha dedicato ampio spazio ai ricordi di una cliente storica del Fouquet’s, per ritornare “sull’età dell’oro di questa venerabile brasserie parigina”. Non si può che immaginare la disperazione di tale “cacciatrice di teste” di fronte a simile scempio. Il prestigioso ristorante le ha addirittura riservato un anello per tovaglioli con incastonato il suo nome – “siamo in 850 […] ad avere questo privilegio”, scrive sul settimanale proprietà al quaranta per cento del gruppo Renault. “Quando arrivo, trovo il portatovaglioli appoggiato sul mio tavolo, […] mi dà l’impressione di esistere!”.
Al telegiornale della sera di TF1, una gilet gialla con in mano un portapepe dice: «Almeno potrò dire ai miei bambini che una volta nella vita, ho messo i piedi dentro al Fouquet’s». Un altro gilet giallo si dice soddisfatto: «È stato distrutto simbolicamente». In questo stesso posto, frequentato da star del cinema e grandi imprenditori, Sarkozy festeggiò la vittoria elettorale del 2007, in compagnia dei più importanti padroni e giornalisti del paese. Ormai solo poliziotti e pompieri possono entrarvi, ma sul sito potete ancora prenotare per stasera. (filippo ortona)
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