È il tardo pomeriggio di un sabato che potrebbe sembrare ordinario nel centro di Ancona: il passeggio tra i negozi, le persone nei bar, il mercatino di piazza Cavour, la ruota panoramica e la musica sparata altissima. Su un lato della piazza, però, sotto l’ufficio del garante per i detenuti, un nutrito gruppo di persone è raccolto intorno a uno striscione: “Verità e giustizia per Matteo Concetti”. Il presidio è stato convocato da Edizioni Malamente per denunciare pubblicamente le condizioni in cui è stato lasciato morire il detenuto, suicidatosi il 5 gennaio nel carcere di Montacuto, Ancona.
Condannato per reati contro il patrimonio, Concetti soffriva di una profonda fragilità psicologica, incompatibile con la detenzione. Il regime di semilibertà gli era stato revocato perché in una sola occasione, nel tornare in carcere dal lavoro, aveva fatto un’ora di ritardo rispetto all’orario prestabilito dal giudice.
La sera del 5 gennaio Matteo si è ucciso nel bagno della cella di isolamento in cui era finito per motivi disciplinari (sugli strumenti utilizzati nella riformata Media sicurezza per allontanare i detenuti più “scomodi” dai reparti, si può leggere in questo articolo). Solo poche ore prima del decesso i genitori avevano potuto vederlo. In quella circostanza Matteo aveva detto alla madre: «Mamma, non mi lasciare, se mi portano di nuovo laggiù io mi impicco».
L’intento del presidio è quello di richiamare alle proprie responsabilità chi, per negligenza o accanimento, ha reso possibile questo tragico finale. Come sempre non è solo una questione di responsabilità individuali, ma di un microcosmo in cui numerose figure si muovono senza troppi scrupoli, e che nel caso specifico vede sicuramente presenti il giudice che ha tolto Matteo dal programma di recupero, il medico che ha emesso il nullaosta sanitario per l’isolamento e chissà quanti altri. I manifestanti chiedono inoltre le dimissioni del garante per i detenuti delle Marche, Giancarlo Giulianelli, che ha detto, al momento della morte di Concetti, di non essere a conoscenza del caso.
Molta la rabbia, e il dolore, nella voce di chi prende parola. C’è però anche la consapevolezza di chi sa che quello di Matteo «non è un caso isolato, frutto di tragiche circostanze», ma una storia comune che ha visto suicidarsi nelle carceri ben sessantasette persone solo nel 2023. Nel corso degli interventi vengono ricordate anche le condizioni in cui vivono i reclusi e le recluse all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), migliaia di persone che subiscono una detenzione di tipo amministrativo senza aver commesso alcun reato, ma solo perché la loro presenza sul territorio non è riconosciuta dallo stato italiano. Viene evocata a tal proposito un’altra tra le tante storie assurde di morti in luoghi di detenzione, quella di Moussa Balde, ventitreenne della Guinea suicidatosi il 22 maggio 2021 nel CPR di Torino.
Una giovane liceale prende parola, parla dell’assenza di prospettive e di un futuro differente da immaginare. È un po’ emozionata, ma rivendica il diritto a orizzonti di esistenza dignitosi per tutte e tutti, da «costruire insieme, cercando di non lasciarsi abbattere, trovando la forza di condividere sogni e rivendicazioni». Poco dopo, il presidio si trasforma in un corteo.
Tra i manifestanti incontriamo a quel punto Alì, un “gigante buono”, trentenne altissimo, dagli occhi profondi e dolci. Ci racconta di aver ricevuto questo soprannome in carcere, dai suoi compagni di cella. Ci parla della sua detenzione a Monteacuto, in piena emergenza Covid, quando si è ritrovato in una cella sovraffollata, con altre quattro persone in uno spazio minuscolo. Ci descrive quel cosmo claustrofobico dove la violenza era sempre pronta a scattare, ci racconta sconsolato dei centodieci euro al mese che doveva pagare per il suo mantenimento in carcere, soldi che gli venivano decurtati dallo stipendio, dal momento che era tra i fortunati riusciti a rientrare in un programma lavorativo (per i dati sulle bassissime percentuali di persone che riescono ad accedervi si veda l’ultimo rapporto sulle condizioni di detenzione dell’associazione Antigone).
Un’ombra di velata tristezza appare sul volto di Alì nel momento in cui accenna alla sua vita antecedente al carcere, quando si stava formando come tornitore. Il gigante nordafricano ne parla mostrando tutto lo scoramento e la difficoltà di «riafferrare» quella vita. Ripete più volte la parola “rifiuto”, e forse anche per esorcizzare questo sentimento di esclusione prende il microfono e fa un intervento che emoziona tutti.
Il corteo va avanti ancora per un po’. Tra la cittadinanza c’è chi guarda incuriosito, chi immortala con una foto questa inattesa irruzione di voci e corpi, ma anche qualcuno che si avvicina, e chiede informazioni. Alcuni attivisti spiegano che a fronte di una capienza di 256 posti, nel carcere della città ci sono allo stato attuale 330 detenuti. Gli episodi di autolesionismo nel 2023 sono stati 177, quattordici i tentati suicidi. Sul decesso di Matteo Concetti la procura di Ancona ha aperto un fascicolo. L’ipotesi di reato è istigazione al suicidio. (matteo catenacci / francesca mononoke)
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