A quasi un anno dall’inizio della battaglia per la salvaguardia del parco Don Bosco di Bologna, il 27 luglio scorso il sindaco Matteo Lepore ha annunciato il ritiro del progetto che ne avrebbe previsto la distruzione. Il piano, ideato per ricostruire ex novo le scuole Besta, che già esistono all’interno del parco, prevedeva la demolizione dell’attuale plesso scolastico e la sua ricostruzione poco più in là, a seguito dell’abbattimento di una sessantina di alberi adulti in quello che è un quartiere quasi interamente edificato. La lotta per la salvaguardia del parco e della sua biodiversità, e dunque a sostegno della ristrutturazione delle scuole esistenti, si è intensificata nel corso del 2024 con l’occupazione del parco da parte di abitanti del quartiere e solidali che hanno deciso di opporsi in tutti i modi all’ennesimo scempio urbanistico; occupazione durata ben sei mesi, fino a fine luglio, quando il sindaco ha reso noto, con evidente imbarazzo dei suoi assessori, il clamoroso “passo di lato”, come da lui definito nell’ambito di una frettolosa conferenza stampa a porte chiuse.
«Avete stravinto» ha commentato un giornalista uscendo dalla sala stampa del consiglio comunale. Una svolta per cui ci si aspetterebbe un tripudio di gioia dopo aver resistito per mesi e in attesa di uno sgombero che per tutti noi era imminente, eppure quando la notizia ha raggiunto il presidio, durante una due giorni di iniziative di solidarietà in difesa del parco, la disabitudine a “vincere” si è visibilmente manifestata sui volti interrogativi, nella cauta gioia e nel sincero spaesamento delle persone presenti: «Ma in che senso abbiamo vinto?». Ci ripetiamo spesso che ogni lotta trova già una vittoria nei legami di solidarietà che si saldano tra compagni che stanno fianco a fianco. Nessuno lo nega. Ma spesso ce lo ripetiamo come se fosse una magra consolazione e non credessimo davvero di avere la forza di incidere sulla realtà e di cambiare il corso degli eventi, come se la solidarietà fosse una faccenda astratta e non una forza collettiva capace di intervenire sul mondo che abitiamo e sui rapporti di forza che lo dominano.
Una vittoria decisamente imprevista. Come imprevista è stata la “strana alchimia” che l’ha resa possibile: un’improbabile commistione tra soggettività e sensibilità, diversa dai tanti tentativi di unità e convergenza che hanno caratterizzato molte recenti esperienze di lotta in questo paese. Senza nulla togliere a tali esperienze, ci sembra che spesso questi “coordinamenti” si siano tradotti in una sommatoria di percorsi politici più o meno consolidati, “unità” che assomigliano a un puzzle in cui i pezzi hanno grandezze e pesi diversi e le varie componenti sono facilmente individuabili – e governabili. Al Don Bosco si è verificato qualcosa di diverso: una miscela caotica di ingredienti che non sono mai stati facilmente separabili e identificabili, un’equazione assurda in cui 1+1 faceva sempre 1, nonostante i tentativi della stampa e della giunta di ridurne l’alterità nelle solite categorie-spauracchio per delegittimarne le ragioni e smorzarne il potere contagioso e generativo.
Non possiamo ripercorrere qui gli eventi nella loro integrità, ma dobbiamo dire che a volte queste trappole hanno colpito nel segno. Perché sì, il processo di amalgama non è stato certo lineare, né scontato, né tantomeno roseo, bensì arduo e irto di ostacoli, discussioni e scossoni, fratture e ricomposizioni tra le varie parti coinvolte. Spesso le contraddizioni irrisolte hanno fatto saltare i meccanismi di cura collettiva e fatto sì che le differenze, così preziose nell’alimentare una lotta tanto creativa, si trasformassero in identitarismi stantii e immobili. Gli strumenti – tendenzialmente assembleari – di cui ci siamo dotati per affrontare collettivamente i traumi, i conflitti interni, gli obiettivi comuni e i mezzi per arrivarci, non sempre sono stati efficaci. Insomma, dopo mesi di tenuta tra tutte le componenti nonostante le loro diversità, nelle ultime battute di questa lotta la repressione, unita a una buona dose di stanchezza, ha rischiato di mettere in crisi la compattezza del presidio. Ma ciò che forse ha pagato è che anche nel non-risolto, nell’assenza di una formula magica di gestione efficace delle discrepanze, si è riusciti a rimanere nello spazio, senza mai abbandonarlo.
E se l’imprevedibilità è stata la cifra di questo percorso politico, si può dire altrettanto del suo esito. Che cosa ha fatto desistere il sindaco dal suo piano? Non certo il riconoscimento delle istanze ecologiste del comitato Besta, composto da residenti che si opponevano al progetto da mesi, su cui Lepore e la sua amministrazione non hanno fatto alcun passo indietro, né di lato. È forse bastata la strana miscela che ha disvelato il suo piano urbanistico falsamente “green” contestato da sempre più abitanti? O la difficoltà a gestire un imminente sgombero ad “alto impatto”? Le elezioni regionali in arrivo? O il fatto che non si trattasse di un’opera strutturale? Forse tutte queste cose insieme, e forse tante altre. Ciò che è certo è che una comunità inattesa e ostinata ha saputo insinuarsi nelle crepe di questa città attivando qualcosa di inedito. Sì, perché le vittorie – e le sconfitte – non sono l’effetto di una causa determinante e univoca, ma il risultato di un ampio spettro di variabili, che in questo caso sono state in grado di mettere all’angolo chi governa speculando sui territori a discapito di chi li vive.
Ed è in un intervento in consiglio comunale che il sindaco, dopo aver difeso a spada tratta per oltre un anno un progetto indifendibile, e aver fatto manganellare democraticamente vecchi e giovani, ha tirato fuori tutte le sue capacità funamboliche per giustificare al pubblico il “passo di lato” alle porte di agosto: giocando la carta del buon padre di famiglia ha tirato fuori l’importanza di trovare soluzioni per dare una scuola alla città oltre le ideologie, la necessità di evitare uno sgombero cruento per il bene della collettività… Pare infatti che la questura avesse presentato al sindaco un piano di sgombero “modello G8” per il presidio al parco. “Uno sgombero violento che Bologna non merita per costruire una scuola”, ha detto in sostanza il sindaco. Per “una scuola”, in vista delle elezioni regionali e con tanta cittadinanza contro, il gioco non vale la candela. Per il resto, poi magari si vedrà.
La giunta più friendly d’Italia è riuscita a rivendicarsi anche la disponibilità al dialogo arrivata strumentalmente solo dopo aprile, a seguito di un violento tentativo di sgombero respinto dal presidio, e solo dopo l’uso del taser nella notte su un giovane presidiante del parco. Dopo aver ignorato tutte le proposte del comitato Besta, la giunta infine avrebbe portato avanti il dialogo con un sedicente comitato a favore del progetto, nel tentativo di screditare l’intera mobilitazione a difesa del parco, dove c’erano, sì, dei bravi cittadini che protestavano pacificamente, ma anche dei facinorosi professionisti del disordine, violenti per vocazione. A dispetto delle mistificazioni della giunta, chi ha vissuto il parco ha fatto esperienza di tutto un altro genere di resistenza, e non sono pochi quelli che hanno capito che resistenza attiva e passiva, legale e illegale, bravi cittadini e cattivi violenti sono piani separati solo per chi si è arreso o ha già accettato lo stato delle cose.
Con questo non ci illudiamo: di certo la repressione si abbatterà su di noi nel tentativo di rendere amaro il ricordo di questi mesi; il parco è salvo ma tutto intorno è in atto uno scempio di cemento e cantieri; il “percorso partecipativo” annunciato da Lepore per decidere che cosa fare delle scuole Besta sarà l’anticamera di una nuova speculazione; venti oscuri continuano a soffiare su una Bologna strangolata dall’industria del cemento e dall’assenza di una politica abitativa che tenga conto delle esigenze di chi effettivamente vive in città; ma oggi splende ancora il sole sul parco Don Bosco. Che questa luce illumini tutta Bologna e le lotte future. (alcune solidali)
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