dal numero 12 (maggio 2024) de Lo stato delle città
È ottobre 2013 quando per la prima volta nel Salento si sente parlare di xylella. Nella zona di Gallipoli gli ulivi seccano dal 2008 e non si sa perché. La Puglia è terra di ulivi secolari e monumentali, l’ulivo è al centro dello stemma della Regione, la sola provincia di Lecce era occupata da undici milioni di ulivi, che non potevano essere espiantati perché protetti dalla legge. Dieci anni dopo, la geografia della Puglia è stravolta, con oltre quindicimila alberi abbattuti, il paesaggio devastato, l’agricoltura contadina distrutta insieme a un patrimonio millenario. La colpa non è solo di un batterio, ma della modalità di gestione che le istituzioni europea, nazionale e regionale ne hanno fatto. L’affare xylella ha fatto leva sulla normalizzazione di uno stato di emergenza per imporre misure arbitrarie non motivate dalla realtà dei fatti e non fondate su evidenze scientifiche.
Le prime ricerche parlano di Codiro, complesso del disseccamento rapido degli ulivi, malattia causata da organismi patogeni quali funghi, parassiti del legno e xylella fastidiosa, un batterio da quarantena che intasa i vasi all’interno del tronco impedendo il trasporto dei nutrienti verso la chioma, facendo seccare le foglie e arrestando la fotosintesi. Il Codiro viene associato all’abuso di pesticidi e alla riduzione delle cure agronomiche (lavorazione del terreno, eliminazione delle erbe infestanti, potatura di rimonda) con conseguente abbassamento delle difese immunitarie delle piante e degrado dei terreni. Il batterio xylella pare sia arrivato nel Salento attraverso una pianta di caffè proveniente dalla Costa Rica, ma in America è stato scoperto da fine Ottocento e non si è mai riusciti a debellarlo, soltanto a conviverci.
I dati redatti dall’Osservatorio fitosanitario pugliese mostrano che la maggior parte delle piante monitorate, comprese quelle disseccate, è negativa al batterio, eppure alla xylella e al suo insetto vettore si sceglie di attribuire l’intera responsabilità del disseccamento. Le misure di emergenza disposte nel 2013 per l’eradicazione dell’infezione prevedono l’estirpazione delle piante positive al batterio. Come se, per uscire dalla pandemia di Covid-19, avessero imposto di uccidere tutte le persone contagiate. Tutto senza alcuna prova scientifica che dimostri l’efficacia di queste pratiche, soprattutto senza test di patogenicità, ossia senza alcuna dimostrazione che la causa del disseccamento sia la presenza di xylella. La politica ignora i pareri scientifici quando contrari ai propri disegni, ma ricorre alla “scienza” per giustificare il proprio operato. Donato Boscia, dirigente del Cnr di Bari, in prima linea nelle ricerche, dichiarava nel 2016 alle telecamere di Presadiretta che l’agricoltura salentina era spacciata e tutti gli ulivi si dovevano abbattere, concedendo che “si possono anche lasciare come museo cinquanta alberi”.
Nel 2014 la Regione Puglia chiede e ottiene dal governo nazionale la dichiarazione di stato di emergenza, prima volta in Italia per ragioni fitopatologiche. Nel 2015 vengono approvati, ancora in mancanza di evidenza scientifica, abbattimenti di alberi malati e non nel raggio di cento metri dalla pianta infetta (generando oltre tre ettari di deserto intorno a ogni singolo albero risultato positivo alle analisi), uso massiccio di pesticidi, divieto di impiantare ulivi e altre piante ospiti. Questo divieto è derogato nel 2018 solo per due varietà di ulivo, entrambe adatte a impianti intensivi e superintensivi: il leccino, non autoctona e tollerante al batterio, e FS-17, nota come favolosa, brevettata (quindi oggetto di royalties) e possibilmente resistente. Nel 2016 con la fine dello stato di emergenza (che, per definizione, non può essere permanente) si impone uno stato di eccezione, ancora in corso, in cui, invece di affrontare il fenomeno con la normativa ordinaria e con processi decisionali democratici, la politica ha reintrodotto illegittimamente i piani emergenziali.
NARRAZIONI TOSSICHE
A sostenere l’inganno arriva la falsa rappresentazione dell’emergenza, basata su dati impropri e sull’inesistenza di un nesso di causalità tra batterio e disseccamento. Non c’è convergenza tra fatti e rappresentazione dei fatti, tra scienza e rappresentazione della scienza. I media diffondono cifre impressionanti ma fasulle, dilagano immagini impattanti che sovrappongono il disseccamento alla xylella, tutto contro la realtà fattuale. La scienza è ridotta a un dogma semplificato, il dibattito si polarizza tra chi crede alla scienza e chi no, rinnegando i fondamenti del metodo scientifico. Il confronto è atrofizzato dalla banale dicotomia tra buoni e cattivi, tra progressisti e oscurantisti, tra scienziati e santoni (per quanto siano anch’essi scienziati con competenze specifiche che propongono strategie di convivenza col batterio e cura degli alberi disseccati), tra dispensatori di verità e negazionisti (anche se sono i primi a negare sistematicamente la valenza di strategie di cura). Un corto circuito tra scienza, informazione e politica.
Viviamo in un’epoca non-scientifica in cui quasi tutte le strizzate d’occhio dei media, le parole della televisione, i libri e così via sono non-scientifici. Di conseguenza, c’è una considerevole quantità di tirannia intellettuale esercitata in nome della scienza. (Richard Feynman)
Sono anni di confusione e disorientamento. Chi si oppone al taglio degli alberi è un untore, chi solleva dubbi e si interroga sulla tesi precostituita è un criminale, mentre chi spiana gli ulivi diventa l’eroe che difende la terra. La strategia della paura diffonde il dogma “la xylella non si cura”, tentare di curare è accanimento terapeutico, spreco di tempo e denaro, tutto è relegato al concetto di utile e inutile. Sono invece numerosi i protocolli scientifici che permettono di curare le piante disseccate, anche positive al batterio, riportandole a pieno regime produttivo. Oltre a qualche contadino lungimirante e qualche giovane fedele alla storia e al significato degli alberi, le realtà olivicole interessate a seguire i protocolli di cura sono masserie tipiche gestite da imprenditori locali o stranieri, per ovvi motivi di salvaguardia del paesaggio e di immagine.
L’allarmismo generale è fomentato dal sistema mediatico con un lessico di guerra (“linea Maginot in Salento”, “batterio killer”, “in ginocchio tutta l’Europa”, “flagello xylella”, “moria a ritmo shock”, “epidemia senza precedenti”) per motivare la necessità di reagire all’attacco con misure drastiche e tempestive. Così il linguaggio condiziona il pensiero: il clima di catastrofe imminente fornisce alle misure di emergenza giustificazioni che non sarebbero mai potute venire da fonti scientifiche.
In questo scenario, il presidente regionale Emiliano non ha mai avuto una posizione ferma, spalleggiando ora la linea degli scienziati, ora ammiccando agli attivisti. Nel 2015 è polemico nei confronti delle misure imposte dall’Ue e contrario all’abbattimento, nel 2018 ci ripensa e chiede al governo un decreto legge immediato per accelerare le procedure di abbattimento. Un giorno con una zappa per piantare i primi alberelli di favolosa, il giorno dopo su un trattore durante un corteo di protesta.
Ecco che uno si distrae al bivio, si perde. E chi gli dice “Prendi da questa” e chi “Prendi da quest’altra”. E uno resta là, stordito. Aspetta che le gambe si muovano da sole. (Rocco Scotellaro)
Da un mese siamo nella fase “xylella bis”: si annunciano due nuove cultivar per i reimpianti, la lecciana e il leccio del corno, mentre in provincia di Bari viene scoperto un nuovo ceppo del batterio che colpisce mandorli, ciliegi e vitigni. Un appello del consigliere regionale Amati sollecita “zero misericordia per negazionisti, maghi, creduloni e politicanti”. Infatti, è questa la narrazione a posteriori che politica e opinione pubblica fanno della questione xylella: il crollo del settore olivicolo è colpa di chi ha ritardato e ostacolato gli espianti, l’epidemia si è diffusa per colpa di chi non ci ha creduto.
Questa narrazione accomuna prodotti di editoria e cinema sul tema. I libri La morte dei giganti di Stefano Martella e Il fuoco invisibile di Daniele Rielli, presunti lavori di inchiesta sociale, insistono sulla psicosi collettiva dei contadini incapaci di lasciarsi guidare dagli esperti e non perdono occasione per riproporre la retorica dei salentini ignoranti e arretrati, ancora impreparati ad accogliere le spinte al progresso della civiltà moderna. Il film Il tempo dei giganti di Davide Barletti e Lorenzo Conte ritrae gli olivicoltori anziani, increduli e testardi di fronte alla modernità auspicata dai figli. Un documentario che dimentica la variegata attualità rurale del territorio e l’articolata attività di rigenerazione agroambientale in atto. Edoardo Winspeare, regista noto per aver portato il Salento sugli schermi affogandone le complessità nel folclore, realizza il cortometraggio Requiem per gli ulivi di Puglia, alternando ai colori freddi dei campi disseccati le immagini dei riti tradizionali della settimana santa.
Anche l’opera fotografica Xylella studies di Edward Burtynsky, commissionata dalla fondazione Sylva, documenta il disastro ecologico con immagini di “grande coinvolgimento emotivo”. A capo di Sylva, ente non-profit nato nel 2021 con lo scopo di “rigenerare il paesaggio pugliese attraverso attività di rinaturalizzazione”, c’è, insieme a Winspeare, Luigi De Vecchi, il banchiere “innamorato del Salento”, che ha firmato con l’università Luiss un patto green per riqualificare un oliveto colpito dalla xylella piantando un albero per ogni matricola. Sempre De Vecchi, che con il greenwashing della riforestazione incassa crediti di carbonio, lo scorso giugno ha privatizzato per ore l’intera piazza di un paese della provincia di Lecce per il matrimonio della figlia, con una folla di diplomatici che festeggiava sotto gli sguardi alieni dei residenti del borgo oltre le transenne. E poi c’è Helen Mirren, che omaggia le telecamere con dichiarazioni d’amore per il Salento e inviti alla “salvaguardia di un patrimonio unico al mondo”.
VIVO E VEGETO
A gennaio sulla rivista scientifica Journal of Phytopathology viene pubblicato uno studio di Margherita Ciervo dell’università di Foggia e di Marco Scortichini del Crea di Roma (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria), basato sui dati ufficiali della Regione Puglia relativi ai dieci anni interessati dalle misure di emergenza. La ricerca mostra che negli ultimi tre anni il numero di piante abbattute supera significativamente quello di piante positive. Nonostante sia stato dimostrato come gli alberi asintomatici siano irrilevanti nella diffusione del batterio, sono stati ugualmente abbattuti ulivi secolari e monumentali sani. Dai dati è chiara la mancanza di correlazione tra batterio e malattia: delle migliaia di piante con sintomi di Codiro, la presenza di xylella non supera il tre per cento nel 2022. Che il restante novantasette per cento degli ulivi sia secco si spiega guardando alla condizione in cui versa il suolo e al ruolo svolto dai funghi nel causare i disseccamenti, ruolo mai approfondito dalle scelte politiche.
L’evidenza empirica già dimostrava l’inefficacia degli abbattimenti nel contrastare la diffusione del batterio. Non sono pochi i casi di alberi dichiarati infetti ma non abbattuti che non hanno contagiato gli alberi vicini. A Cisternino, provincia di Brindisi, nel 2017 viene rilevato un solo ulivo infetto (senza traccia di disseccamento) a fronte di tutti gli altri risultati negativi al batterio. Dopo due anni, nessun albero risulta positivo al batterio. L’ulivo testimone scomodo, che dimostra che la xylella può essere controllata attraverso le buone pratiche agricole senza conseguenze negative per la vegetazione circostante, è rimasto sempre vegetativo, motivo per cui cittadini e comitati chiedono alla Regione di avviare una sperimentazione in quel campo. E invece, una notte di gennaio 2019 sotto la pioggia battente, con modalità anomale e procedure difformi dagli standard del protocollo, l’ulivo viene abbattuto da tecnici regionali mentre le forze dell’ordine bloccavano l’accesso ai membri del comitato che da mesi presidiavano il campo. I cittadini gridano all’esecuzione coatta e mafiosa, ma di fatto l’ulivo di Cisternino è stato distrutto giusto in tempo per evitare il sequestro. A Monopoli, infatti, un albero dichiarato positivo al batterio viene sequestrato dalla procura di Bari nel 2019 e pochi mesi dopo si scopre che non è infetto.
Ci sono ulivi disseccati negativi al batterio, ulivi sani e produttivi positivi al batterio, ulivi inizialmente disseccati che, lasciati a se stessi, sono tornati a vegetare. Non sono invenzioni, non sono eccezioni. Non è coerente trattare gli alberi alla stregua di oggetti e il territorio come fosse un contenitore sul quale intervenire chirurgicamente asportando e manipolando gli oggetti indesiderati. Sono passati cinque anni prima che si individuasse il batterio e a quel punto nessun piano di eradicazione avrebbe potuto funzionare, ripete il batteriologo Scortichini.
Come siamo riusciti a respirare tra le fiamme, che cosa abbiamo perduto, a quale relitto – o a quale impostura – ci siamo attaccati. E ora che non ci sono più fiamme, ma solo numeri, cifre e menzogne siamo certamente più liberi e soli, ma senza possibili compromessi, lucidi come mai prima d’ora. (Giorgio Agamben)
Cici Maggio avanza tra i suoi ulivi con il passo di chi ha percorso quel tratto centinaia di volte, la camicia nei pantaloni anche per lavorare nel campo. «Dicono che sembra verde ma è malato, ma lo destino io quando è malato». I suoi sono alberi di ogliarola salentina e cellina di Nardò, le due varietà autoctone presenti nel Salento. «Io sono nato contadino e a settantacinque anni lo sono ancora, ma, mentre io sono un dottore di questo albero, di quello che mi danno non capisco niente, non lo so come si comporta, ho bisogno del tecnico, del dottore, dell’americano».
Se la causa dei disseccamenti non è solo la xylella ma è il Codiro, perché la corsa agli abbattimenti? Si insiste nel voler attribuire le malattie ai patogeni e non all’ambiente, perché così arrivano i finanziamenti per l’emergenza e si continua ad alimentare l’industria dei fitofarmaci. Se si fosse concluso che all’origine del fenomeno c’è un complesso di concause, non ci sarebbe stato l’obbligo di abbattimento, in quanto i funghi non sono nella lista dei patogeni da quarantena. Marco Nuti, microbiologo del suolo dell’università di Pisa, fa notare che “l’espianto non viene fatto in Toscana, dove c’è la xylella, non viene fatto in Francia, dove c’è la xylella”. Con il batterio si può convivere, come si fa da decenni nei vigneti con la peronospora. I patogeni si controllano meglio se si migliorano le condizioni dell’ambiente, si ripristinano le buone pratiche agricole e si contrastano inquinamento e desertificazione. La virulenza dei patogeni è la conseguenza, non la causa, della malattia degli ulivi, diventati vulnerabili per la perdita di biodiversità indotta dall’agricoltura industriale, dall’abuso di concimi chimici, pesticidi, diserbanti.
La normalità era il problema ben prima che la questione xylella squarciasse il velo sul Salento. Da analisi sulla vendita di erbicidi e diserbanti in Puglia a partire dagli anni Duemila, si notano nella provincia di Lecce picchi superiori alle altre province pugliesi. Tra gli agricoltori era diffuso un certo orgoglio di usare la chimica, i sacchi e le taniche dei fertilizzanti di sintesi venivano messi sui muri a secco che delimitano i campi, per fare sfoggio dei soldi usati per il terreno. L’abbandono e l’incuria di quegli oliveti che per secoli erano stati per i braccianti l’unico modo per sfamarsi è incoraggiato dalla comunità europea. Nel 1966 si inaugura una politica economica che finanzia in base al numero di alberi e non in base alla produzione o alla qualità dell’olio, mentre fino a quel momento i contadini ricevevano un’integrazione commisurata all’olio prodotto. I sussidi sono un premio per il semplice mantenimento dell’oliveto, che viene relegato a funzione paesaggistica (Nichi Vendola ha cavalcato l’onda per brandizzare l’ulivo e renderlo appetibile all’industria turistica, con imprenditori che vendono esperienze legate al paesaggio e lo storytelling di masserie e trulli). A questo si uniscono le politiche che favoriscono le grandi imprese agricole e appesantiscono burocrazia e tassazione per i piccoli contadini. Così, ciò che prima era ricchezza diventa impiccio, la campagna resta un passatempo per pensionati, i paesi si spopolano, urbanizzazione e progresso diffondono la percezione che chi vive di agricoltura è arretrato, il lavoro agricolo è motivo di stigma sociale (“furese”, villano e altri sinonimi di contadino diventano insulti).
OLIO ESAUSTO
La dichiarazione dello stato di emergenza straordinaria spiana la strada ad atti coercitivi in aree pubbliche e private, in una terra già provata da disastri ambientali (incendi, discariche di rifiuti tossici), deturpazioni paesaggistiche (speculazione e abusivismo edilizio, sviluppo indiscriminato di impianti eolici e fotovoltaici su scala industriale) e minacce al territorio (gasdotto Tap, trivellazioni petrolifere).
Una legge straordinaria del 2019 dispone che nel Salento gli ulivi, monumentali e non, possono essere abbattuti liberamente dai proprietari senza obbligo né di dimostrare né di accertare la loro effettiva positività al batterio e nemmeno la presenza del disseccamento. L’incudine è il martello, gli agricoltori cedono al canto delle sirene: solo a febbraio 2021 alla Regione arrivano comunicazioni di espianto per oltre tre milioni e ottocentomila ulivi da parte dei proprietari, che chiedevano contestualmente di accedere ai finanziamenti per il reimpianto di leccino e favolosa. Una sentenza della Corte costituzionale ha poi dichiarato illegittime quelle disposizioni legislative, in particolare l’articolo che permetteva l’esonero dalla richiesta dell’autorizzazione paesaggistica e l’attività di impianto di qualsiasi essenza arborea in deroga ai vincoli paesaggistico-colturali.
Alle misure previste dalla Regione per l’eradicazione e il reimpianto riesce ad accedere solo un venti per cento di proprietari, aziende agricole e coltivatori diretti con più di due ettari di terreni. Tutti gli altri, con lotti che arrivano appena a un ettaro, iniziano la ritirata, gli ulivi rappresentano solo un costo, perché i terreni vanno tenuti puliti per legge per prevenire gli incendi. Si assiste al lugubre via vai di camion di ditte calabresi che eradicano, spezzettano e triturano carichi di legna o cippato per le centrali a biomassa, lasciando i campi vuoti e senza valore. Poi il fuoco ha preso il posto di escavatori e motoseghe: per spendere poco e fare in fretta basta uno straccio imbevuto di benzina da infilare nelle cavità del tronco. Così a bruciare non è l’intera campagna, ardono solo gli alberi. Immaginando di sorvolare il Salento in una giornata di agosto, si vedrebbero le coste dell’Adriatico e delle Ionio prese d’assalto dai vacanzieri, poi nell’immediato entroterra campagne a perdita d’occhio dove tutto è secco, incolto, abbandonato, con colonne di fumo nero qua e là. Ogni giorno la stessa cartolina, ogni giorno l’odore di bruciato e anche la cenere, se il vento soffia forte. Il tronco d’ulivo quando prende fuoco arde per giorni prima di consumarsi del tutto, così la sera non sorprende vedere torce e fiamme nel buio delle campagne che costeggiano le strade tra i paesi. Dall’estate 2021 ai vigili del fuoco di Lecce arrivano fino a ottanta chiamate al giorno, ma perché spendere acqua per spegnere il rogo di alberi spacciati?
Il 30 gennaio la Regione approva una legge per destinare i tronchi estirpati alla produzione di mobili pregiati. Il consigliere regionale Pagliaro garantisce che gli alberi sradicati “non finiranno più in cenere o in abbandono, ma diventeranno materia per prodotti di pregio a marchio Albero d’ulivo secolare della Puglia”. “Il legno pregiato delle piante disseccate andrà ad alimentare la filiera artistica e artigianale e l’industria del mobile locale”, offrendo importanti sbocchi occupazionali (onnipresente ricatto per il meridione).
Che fare? Noi che siamo ancora vivi per metà e abitiamo nel cuore alterato di un capitalismo decrepito, possiamo fare di meglio che riflettere lo sfacelo che è fuori e dentro di noi, e che cantare le nostre tristi e amare canzoni di disinganno e di sconfitta? (Ronald Laing)
Luigi Russo, giornalista e attivista, parlava della xylella come di un cavallo di Troia costruito per scardinare quelle resistenze naturali, sociali e legislative che avrebbero impedito di portare nel Salento modelli di sviluppo altamente redditizi ma di pesante impatto ambientale. Un’occasione per liberare il suolo dalla presenza di ulivi plurisecolari e liberare il territorio dall’economia locale estranea ai circuiti del mercato globale, con piccoli appezzamenti a conduzione familiare. Così, le deroghe ai divieti di reimpianto favoriscono impianti olivicoli intensivi (fino a settecento piante per ettaro) e superintensivi (oltre duemila piante per ettaro) e monoculture finalizzate alla produzione di materia prima per l’industria bio-based. Un cambiamento auspicato da tempo da alcune associazioni di categoria, che vedono negli ulivi monumentali un vincolo tecnico-economico e nelle leggi a loro tutela un vincolo normativo, mentre spingono per la “ristrutturazione degli oliveti obsoleti”. Anche per la Regione la presenza diffusa di piante secolari è la causa della “rigidità strutturale del comparto olivicolo” e un ammodernamento degli impianti e delle tecniche di coltura si rende indispensabile per “rafforzare la competitività delle aziende olivicole pugliesi”.
Peccato che, con le colture intensive, gli agricoltori divengano dipendenti dall’inizio alla fine della filiera, prima per l’acquisto di fitofarmaci, cultivar brevettate e tecnologie, poi esposti alla variabilità dei prezzi sui mercati all’ingrosso, dovendo vendere il prodotto finito alle multinazionali. Nel 2019 uno studio commissionato dalla Deoleo, multinazionale spagnola leader nel mercato mondiale dell’olio da cucina, stima un surplus di olio di oliva fino a due milioni di tonnellate all’anno, che porta a prezzi bassissimi nei mercati. In più, le cultivar, create in laboratorio per soddisfare le esigenze degli impianti superintensivi, producono olio a basso contenuto di polifenoli, quindi di bassa qualità, mentre le tipicità locali diventano un prodotto sempre meno diffuso e più elitario.
Che fare di una terra carbonizzata che vale meno di niente? Si cede al prezzo più basso al primo che lo offre. La svalutazione e la svendita dei terreni innesca un pericoloso processo di concentrazione della terra a favore di chi possiede il capitale. Il movimento No Tap di Brindisi denunciava l’attività di intermediari che acquistano i terreni sui quali vengono abbattuti ulivi plurisecolari per l’installazione di mega parchi fotovoltaici. La Puglia è tra le prime regioni per produzione di energia da fonti rinnovabili e la regione con il maggior consumo di suolo per l’installazione di impianti fotovoltaici, che hanno sottratto terra a seminativi, vigneti, uliveti. Le imprese del fotovoltaico contattano in vari modi i contadini per avere la disponibilità dei terreni, con un boom di richieste autorizzative giunte ai tavoli delle province. Alberto Lucarelli, docente di diritto costituzionale all’università Federico II di Napoli, definisce il caso xylella come “una nuova forma di land grabbing, paradigmatico del percorso dell’agricoltura nei nostri tempi: distruzione dei piccoli contadini a favore delle grandi multinazionali”. Tutte le scelte politiche della regione Puglia hanno predisposto il piatto dove, come nella tradizione delle colonizzazioni, saranno in pochi a mangiare. Gli altri possono morire di fame o andare via.
Dove m’hanno condotto col loro fracasso,
Lavorando d’intarsio lungo l’abbandono
Che ho visto crescere mentre affrettavo il passo
Per tener dietro a chi restò lontano,
[…]
Vi si tenne la vita in quel rimorso
Andarsene via di traverso
Alla vegeta morte che ancora protesta
(Gabriele Frasca)
Non capire, non capire. Non capire è stata la mia intera occupazione degli ultimi dieci anni. Ero cresciuta aspettando ogni anno tre cose: la festa del paese, i giorni della vendemmia e i giorni della raccolta delle olive. Ogni anno arrivava la festa ad aprile, la vendemmia a settembre, le olive a novembre. Stare ore in campagna, guardare gli altri trafficare con i rastrelli, i secchi, la cernitrice, riempirmi di olive le tasche del grembiule per fare la mia parte, portare le cassette, svuotare quelle con le foglie, cercare l’ombra nelle cavità dei tronchi. Era un tempo così semplice da scalfire le cornee, duro e asciutto come lino teso al sole. Poi il ciclo si è rotto: un anno l’olio non è buono e le olive sono poche, l’anno dopo sono ancora meno e non conviene raccoglierle, si fa prima a lasciarle lì per terra e comprare l’olio, poi le olive non ci sono più e nemmeno i rami degli alberi. Si va ogni tanto a guardare, ottanta tronchi capitozzati, i ricordi sono catrame in gola. Si taglia l’erba prima dell’estate per evitare incendi, si tagliano un paio di alberi prima dell’inverno per portare la legna a casa. Anche queste processioni si interrompono: il fuoco appiccato nella campagna confinante con l’erba alta e secca distrugge anche la nostra. Oggi resta legno necrotizzato, mozziconi di tronchi deformi, alcuni dritti sui pochi centimetri ostinati a terra, altri cadaveri in mezzo all’erba che, dopo le fiamme e la cenere, è cresciuta verde lo stesso. (chiara romano)
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