La recente ondata di attacchi di estrema destra in Inghilterra ci ricorda che nonostante i notevoli sforzi fatti negli anni da antifasciste e antifascisti per fermare all’origine le destre “organizzate”, la torma di energumeni con gli stivali in attesa di una buona occasione per tirare pugni non è meno forte che in passato. Chiaramente, noi non ci siamo preparati adeguatamente, nonostante gli evidenti segnali di allarme.
Le dimensioni degli eventi, e la strumentalizzazione delle morti di bambini per alimentare attacchi a moschee e centri profughi scelti a caso, hanno suscitato un livello comprensibile di panico e disgusto. Ma questa non è che una versione rimpolpata delle stesse idiozie che vanno avanti dai primi anni 2010 contro “gli stupri muslamici” (come disse un neofascista in un’intervista), o contro qualunque cosa non piaccia a Tommy Robinson (il fondatore della English Defense League).
Con un governo laburista su cui concentrare l’attenzione, e con meno soldi in tasca, stavolta ci sono stati impulsi maggiori alle mobilitazioni di estrema destra. […] D’altro canto, è giusto dire che negli ultimi anni ci sono state priorità e pressioni che non ci hanno fatto vedere le carte già in tavola, e che prendere coscienza del fatto che dovevamo organizzarci di conseguenza. Chi pratica l’azione diretta antifascista avvisa da tempo che non abbiamo le reti organizzate e le connessioni sul terreno per opporci a un grosso ritorno di fascisti nelle piazze; gli eventi recenti lo hanno dimostrato. A parte alcune zone virtuose in cui i fascisti hanno trovato una resistenza ferma da parte degli abitanti, i numeri sono stati a loro favore. Le folle portate dalle solite Ong e dai gruppetti trotzkisti con i loro cartelli erano decisamente meno potenti, al punto che hanno dovuto affidare quasi completamente la loro sicurezza ai manganelli e ai cani della polizia. Il che, per dire una cosa ovvia, non è qualcosa su cui possiamo contare.
Nonostante esista un certo numero di palestre popolari, la sinistra in generale non è riuscita a tenere a bada la capacità di lotta dell’estrema destra, che è emersa ripetutamente, anche sotto l’influenza mitigatrice del governo conservatore (per esempio nel 2010, nel 2016 e nel 2020). Ha preferito invece dedicarsi confusamente al ruolo di salvatori elettorali incompresi e alle sue guerre culturali, fino alla ritirata nel lavoro sociale e comunitario – costruttivo ma limitato – e alle lamentele interne.
L’insegnamento principale della settimana di violenze dovrebbe essere che ogni giorno che passiamo a farci seghe mentali è un giorno perso per tenere a bada un pericolo il cui obiettivo è letteralmente metterci gli stivali sul collo.
LA RISPOSTA DEI MEDIA
Sulla stampa, intanto, la reazione pubblica della destra e dei liberali, compresi quelli al governo, è stata significativa, sia rispetto alle radici di questa ondata razzista, sia rispetto ai possibili problemi che porterà per l’attivismo sociale. La stampa di destra ha ostentato le foto delle folle contro la polizia, denunciando ad alta voce la violenza degli estremisti, senza riflettere neanche per un secondo sulle proprie responsabilità. Il Times ha fatto l’opposto, accusando i liberali di aver ignorato “temi concreti” – strano, visto che il governo precedente, apertamente illiberale, è stato il più infervorato esecutivo anti-migranti della nostra storia, strizzando continuamente l’occhio a quegli stessi sentimenti esplosi durante l’assalto al supermercato Greggs, attaccato dalle folle di estrema destra il 5 agosto.
Il Daily Mail insisteva nel puntare il dito contro i social media, sostenendo che gli influencer di estrema destra soffiavano sul fuoco. Solo che lo dice un giornale che ha fatto più di qualunque altro media per fomentare l’odio contro i migranti, per esempio con continui articoli fuorvianti su presunti “alberghi per richiedenti asilo” raccontati come degli specie di resort, invece che come le esperienze miserabili descritte dagli stessi migranti. […]
I giornali non sbagliano nel sottolineare l’influenza dei social media, ma questo riguarda sia la propaganda che i metodi di organizzazione decentralizzata della protesta, ed è una lettura parziale della vicenda che fa solo i loro interessi. Il modo in cui la stampa ha inquadrato la questione è sembrato voler colpire in primo luogo i loro concorrenti di mercato, esigendo una regolamentazione più dura della libertà di espressione sulle piattaforme social. Ma se anche una stretta in questo senso potrebbe sembrare allettante per chi si è sentito travolto dalla capacità dell’estrema destra di generare contenuti coinvolgenti, questa non sarebbe una soluzione, ma anzi proprio il tipo di arma a doppio taglio che dobbiamo evitare a tutti i costi.
Il punto è che Tommy Robinson è già stato cacciato dai social media principali, con l’unica e notevole eccezione di Twitter/X. Lo stesso è accaduto a Andrew Tate, influencer misogino britannico, di recente arrestato in Romania per sfruttamento della prostituzione. Entrambi sono riusciti a scavalcare la censura reclutando una piccola armata di accoliti con molto tempo libero a disposizione, che aprono continuamente nuovi account dove caricano continuamente contenuti provocatori, li condividono nelle loro reti, e usano sistemi automatici che modificano il linguaggio per evitare i filtri. Come fai a censurare l’emoji della tazza di caffè, quando lo si usa per denigrare le donne? O l’acronimo DEI (Diversity, Equity, Inclusion), un’espressione standard usata da aziende e servizi pubblici? Quando i loro gruppi sono stati cacciati a pedate dai social si sono spostati su altre piattaforme tipo Telegram, e hanno semplicemente continuato a organizzarsi, con la forza aggiuntiva della decentralizzazione. Evidentemente, fare pressioni sui social media perché caccino la feccia o perché censurino più pesantemente i contenuti non funziona contro una schiera di persone abbastanza grande e motivata.
Per noi, d’altro canto, aprire quella strada sarebbe disastroso. Quando la censura di Stato si espande, non lo fa mai solo contro la destra; la censura dei contenuti con cui non siamo d’accordo facilmente verrà usata contro di noi. Come si potrebbe fermare la repressione contro Freedom per le sue posizioni sull’azione diretta non violenta sotto il governo di Starmer, o qualunque futuro governo che prenderà il potere con già in mano leggi repressive pronte come un buffet all-you-can-eat?
L’ultima volta che Facebook è sceso sul piede di guerra contro degli attivisti di estrema destra, sotto le pressioni della scena politica statunitense, ne ha approfittato per cacciare anche una serie di gruppi anarchici, tra cui realtà importanti come It’s Going Down, CrimethInc. e Unicorn Riot. Il suo algoritmo intanto distruggeva la diffusione di post con “notizie politiche”, portando alla diffusione di meme e del setup “tutto implicito” che usa oggi l’estrema destra nei suoi thread di commenti. Sul lungo periodo, probabilmente ha fatto più danni a noi che a loro.
La sinistra non opera in un ambiente semplice quando l’intera gamma dei media spinge più o meno gli stessi argomenti su cui anche noi siamo d’accordo. La nostra base di supporto non è una massa di persone complottiste che sfruttano ossessivamente ogni prospettiva senza riguardo per l’accuratezza o per l’etica. Noi abbiamo solo un punto d’appoggio (debole) che critica i poteri in carica appellandosi all’idea che la natura delle persone sia migliore; ma questa posizione è stata costantemente erosa sia dagli ultimi anni di battaglie culturali, sia dalla nostra incapacità di articolare una strategia solida e stimolante per la lotta di classe. Dare allo Stato il potere di reprimere loro finisce sempre per far ricadere la repressione su di noi, in un momento in cui non abbiamo la forza per gestirlo. L’estrema destra sul piede di guerra sicuramente ci spaventa, ma non è saggio punzecchiare un leone per spingerlo a combattere una iena.
LA CONFERMA DELLO STARMERISMO
Non è una sorpresa vedere che la risposta del nuovo governo a tutto questo sia stato il ricorso totale allo stato di sorveglianza e alla logica aggressiva dell’“arrestateli tutti”. Questo è stato l’atteggiamento di Starmer anche dentro lo stesso partito laburista; da entusiasta nazionalista è senz’altro preparato a comportarsi come un ministro degli interni conservatore, ogni volta che c’è del disordine.
Questo però ci conferma che i prossimi anni non vedranno alcuna riduzione della stretta contro la possibilità di organizzarsi delle sinistre. A seguito della definizione del socialismo e dell’antifascismo come “estremismi” all’interno del Piano Prevent (il piano di antiterrorismo del ministero degli interni) e di una decisa spinta finalizzata a cementare questa idea nelle mura del parlamento, la risposta che Starmer ha proposto agli scontri è stata un’estensione dell’era conservatrice di Patel e Braverman.
La spinta per l’installazione di nuove telecamere a riconoscimento facciale era stata criticata fortemente anche dalle pagine di Freedom per la minaccia alla privacy e alle libertà collettive. Giustificare quest’invasione da parte di un governo chiaramente di destra come una presunta protezione dalle violenze fasciste è disastroso e insensato, come se questa tecnologia potesse fermare gli elementi organizzati e incappucciati, o evitare esplosioni di furia collettiva. Ma è totalmente lineare per un politico di destra del calibro di Starmer, che considera se stesso e i suoi accoliti come beneficiari, non come vittime, della sottrazione di queste libertà.
In questo senso vanno lette le sue rassicurazioni dell’apertura di una nuova unità di intelligence della polizia; come se il governo non spendesse già 3.7 miliardi di sterline annuali solo sul MI5, mantenendo un enorme e poco menzionato database nazionale di intelligence — che, a quanto pare, ha completamente trascurato l’organizzazione di incontri e celebrazioni fasciste alla luce del sole. Sembra che oltre al disprezzo gratuito che mostrano i Tories per i diritti fondamentali quando decretano che i futuri spycop non dovranno subire lo stress di prendersi la responsabilità delle loro azioni, vengano istituite anche le condizioni perché gli venga offerto un assegno in bianco. Aggiungiamo a tutto questo che alla “rivelazione” (già in realtà ampiamente nota a chiunque abbia seguito un po’ l’attualità) che non ci sono abbastanza posti per incarcerare orde di scalmanati, seguirà sicuramente l’annuncio di un nuovo progetto di mega-prigioni.
Questa situazione decisamente cupa suggerisce che abbiamo una bella strada in salita davanti, nel prossimo futuro. Abbiamo una rinascita della presenza fascista nelle strade, un governo laburista che si imbarca allegramente nella repressione di chiunque non consideri abbastanza “di centro”, e dei liberali così in panico per la presenza dei primi da essere pronti a correre nelle braccia dei secondi. È il momento di attivarsi, c’è un sacco di lavoro da fare. (rob ray – traduzione a cura della redazione)
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