L’esito delle elezioni bolognesi è apparso per lungo tempo scontato. Per mesi il sindaco uscente, Virginio Merola, aveva scommesso sulla possibilitàdi vincere al primo turno facendo affidamento sulla previsione di un’alta affluenza alle urne. D’altra parte sembrava impensabile che una candidata leghista potesse fare un buon risultato in una città come Bologna, storica roccaforte della sinistra. Inutile dire che il mutamento politico registrato in molte città al voto si è mostrato anche nel capoluogo dell’Emilia Romagna: bassa affluenza (circa il venti per cento in meno rispetto alle scorse amministrative) e un ottimo risultato del M5S, che raddoppia i voti e si consolida come terzo partito nello scenario locale. Ma a fare scalpore, appunto, è il risultato raggiunto dalla coalizione di centrodestra guidata da Lucia Borgonzoni, esponente bolognese del partito di Salvini.
La vittoria al secondo turno del Pd è quindi una vittoria a metà, che toglie forza e legittimità allo stesso Merola. Il timore principale, infatti, era rappresentato non dagli elettori del M5S (che avrebbero potuto votare Lega), ma piuttosto dalla disaffezione al voto del proprio elettorato e, in una certa misura, dall’astensione degli elettori a sinistra del Pd.
In vista del ballottaggio, Merola ha incentrato la campagna elettorale sul “non lasciare la città in mano alla Lega”, chiedendo di scegliere tra due idee di città, una basata sull’inclusione e l’accoglienza, l’altra sull’esclusione. Il messaggio era chiaro e rivolto anche a quanti al primo turno avevano dato la preferenza a Coalizione Civica, la lista guidata da Federico Martelloni, composta principalmente da candidati provenienti da Sel e da alcuni centri sociali, che non ha dato indicazioni di voto in vista del ballottaggio. Difficile dire quanto la strategia di Merola abbia funzionato con l’elettorato di Coalizione Civica e con quello dei movimenti, alle prese con la scelta tra un voto anti-Lega e l’astensione.
Ma più che guardare ai segmenti elettorali è il caso di spostare l’attenzione su alcuni dei temi che hanno caratterizzato la campagna elettorale per provare a restituire un quadro più completo di quanto descritto finora. Un dato su tutti salta agli occhi: secondo il sondaggio di Demos per Repubblica il tema più sentito a Bologna è stato quello della criminalità (associata all’immigrazione). Sarebbe errato trarre da questo dato una considerazione affrettata, e pensare che questo possa spiegare da solo il successo della Lega, un partito che si è sempre contraddistinto per il piglio securitario. A ben vedere, infatti, questa lettura non ci dice molto del perché questo tema abbia assunto tanta importanza. La Lega, da sola, non può essere considerata l’unica interprete della sceneggiatura di una città che si sente insicura e in balia del crimine. Piuttosto, bisogna considerare la narrazione che è stata fatta in questo ultimo anno da parte di Merola e del Pd, impegnati nel tracciare i confini della criminalità e del degrado entro zone ben determinate, da presidiare con l’esercito e/o da “riqualificare”, luoghi in cui far intervenire il poliziotto cattivo e quello buono: l’uno presidia, l’altro riqualifica.
Non deve stupire, allora, se il centro è la periferia, nel senso che la periferia è stata sempre al centro della campagna di Merola e del Pd. La Bolognina, quartiere alle spalle della stazione e a pochi minuti da piazza Maggiore, rappresenta l’emblema di questo tipo di narrazione. Quartiere post-industriale e post-operaio, con il secondo reddito medio più basso della città e una presenza migrante superiore a quella degli altri quartieri, è stato uno dei luoghi simbolo del dibattito elettorale, specie a cavallo tra il 2015 e il 2016, per via di una serie di furti e spaccate che hanno interessato in particolare alcuni esercizi commerciali. Per mesi questi eventi hanno contribuito a creare quella che è stata considerata come “emergenza sicurezza”, con tanto di agitazione dello spettro di mafie straniere, racket e quartiere di periferia abbandonato nelle mani della criminalità.
La risposta del Comune non si è fatta attendere: esercito in strada a presidiare le strade della Bolognina (con il pronto intervento del ministro Alfano); ronde auto-organizzate da parte dei commercianti; telecamere e una maggiore illuminazione delle strade. Un dispiegamento di forze e risorse che è ancora difficile riuscire a spiegarsi, specie se si considera che l’autore dei furti e delle spaccate si è scoperto essere un singolo individuo allo sbando. D’altro canto il polverone sollevato ha fatto sì che rimanessero in ombra molti dei problemi rimasti irrisolti in Bolognina, il luogo che doveva essere il simbolo della riqualificazione urbanistica e culturale nei piani di Merola. Oltre la coltre della narrazione emergenziale, infatti, restano sotto gli occhi di tutti i cantieri fermi, le gru che riposano in attesa di nuovi investimenti, l’emergenza abitativa e un generale impoverimento di larghe parti della popolazione. Deve far riflettere i dirigenti del Pd il fatto che in questo quartiere ci sia stato “il dato di maggiore difficoltà del partito”. Per non parlare del fatto che il governo dell’emergenza abbia favorito una narrazione che ha fatto il gioco della Lega.
Senza entrare nel merito di altri temi che hanno dato il segno alla competizione, primo tra tutti la questione mobilità e il Passante di mezzo (un piano che consiste nell’allargamento della tangenziale e del tratto autostradale, e che andrà a impattare in maniera significativa alcuni quartieri di Bologna), le elezioni bolognesi si sono contraddistinte per la scomparsa di qualsiasi idea di città che andasse oltre la pura retorica o l’amministrazione del quotidiano. Non è esente da questo ragionamento nemmeno Coalizione Civica, la lista che ha cercato apertamente di rappresentare le istanze dei movimenti, con candidati provenienti dai centri sociali Tpo e Làbas, e con ex membri dei comitati referendari in difesa dell’acqua pubblica e contro il finanziamento alle scuole paritarie. L’idea di seguire il “modello Barcellona”, con tanto di sostegno da parte del leader di Podemos Pablo Iglesias, non è andata oltre il sette per cento. Inutile dire che la formazione non ha sfondato nella sinistra disillusa, né, tantomeno, nel movimento. Il programma di Coalizione è rimasto per molti versi vago e più interessato a portare al voto l’elettorato di sinistra, senza riuscire a intercettare il voto dei quartieri popolari (i risultati migliori sono stati raggiunti nei quartieri bene di Saragozza e Santo Stefano, dove si raccoglie, probabilmente, il frutto del lavoro svolto dal centro sociale Làbas). D’altro canto, parole come città inclusiva, welfare, accoglienza, partecipazione, appaiono inevitabilmente svuotate nel momento in cui una coalizione viene impacchettata in vista delle elezioni. Discorso a parte, invece, merita il tema scuola, che è stato incentrato da Coalizione Civica sull’esito del referendum consultivo del 2013 (nel quale il 59% dei bolognesi si era espresso contro il finanziamento alle scuole paritarie) e che ha indubbiamente rappresentato un tentativo di abbozzare un’idea diversa di scuola, dando un minimo di visibilità a una questione altrimenti poco dibattuta.
Tuttavia l’idea di una formazione accessibile a tutti deve fare i conti con gli sviluppi degli ultimi tempi, che hanno visto un generale investimento sul sapere tecnico e professionale e sull’alternanza scuola-lavoro da parte dell’amministrazione Merola, in linea con le direttive ministeriali, e in cui Bologna gioca un ruolo di avanguardia. Questo tipo di politiche appaiono anche come una risposta all’aumento delle difficoltà scolastiche che colpiscono soprattutto i figli di migranti (il 37% non supera il primo anno di superiori), e che mostrano come la formazione al lavoro sia diventata l’unica strategia per rispondere alla crisi del sistema educativo.
Di queste questioni si è sentito parlare poco durante la campagna elettorale. E sono rimasti ai margini anche i temi legati al lavoro, all’impoverimento di larghe parti della popolazione, per non parlare dei migranti, che d’altra parte non votano, ma sono circa il 15,2% dei residenti, e sono stati protagonisti di alcune delle lotte più significative degli ultimi anni: dagli scioperi degli operai migranti della logistica, alle occupazioni abitative più importanti, come l’ex Telecom (Bolognina), dove vivevano quasi trecento persone, tra cui cento bambini, sgomberata in pieno inverno.
È su questo terreno che sarà necessario misurare ogni proposta politica che vada al di là della pura retorica elettorale ed emergenziale, della produzione e riproduzione di una periferia fittizia, fatta a uso e consumo degli spettatori, o delle belle dichiarazioni di valori universali che tanto piacciono a sinistra. Sarà necessario, invece, riportare al centro non gli spazi urbani come entità a sé stanti, ma i tempi di vita e di lavoro di coloro che abitano quei luoghi, e che, forse, hanno ancora qualcosa da dire. (bolognina basement)
DOPO I BALLOTTAGGI:
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