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lavoro
12 Luglio 2015

Le energie volontarie dell’Expo di Milano

Monitor
(archivio disegni napolimonitor)

Diario di bordo. Decumano. L’anticiclone è atterrato a Milano. Sudo, mi rigiro e continuo a sudare. Non sto lavorando, sto dormendo.

Sento una zanzara ronzarmi attorno. Tanti piccoli fastidi che mi tengono compagnia nell’estate di Expo2015, quella del rilancio della città, quella del lavoro gratuito.

“Volontari energie per Milano”, recita l’ennesima fastidiosa chiamata al lavoro gratuito pro Expo del comune di Milano, che nel programma di Expo in città si ripromette di organizzare l’accoglienza dei turisti e trascinarli a Milano. Vi faremo compagnia, vi porteremo le borse, vi leccheremo il culo e, se ne avremo voglia, vi faremo pure un pompino.

Può sembrare strano ma solo qualche ora fa il termine “accoglienza” veniva dedicato ai rifugiati, a gente che ha varcato il mediterraneo con mezzi di fortuna, è sopravvissuta all’inferno sulla terra e ora richiede semplicemente quell’asilo che viene sancito dai trattati internazionali. Oggi lo stesso termine viene dedicato ai turisti, bancomat in movimento utili a legittimare l’operazione Expo e a portar grano nel fienile dei commercianti, sempre più svuotato dal megaevento che alle porte di Milano drena clienti e scontrini. Turisti, questi sconosciuti. Sono i casi della vita.

Non è un caso, però, che il limitato numero di posti di lavoro pagato offerti da Expo, la limitata attenzione rispetto ai diritti sindacali di Expo spa e soci, e il limitato utilizzo dei parametri salariali presenti nella contrattazione nazionale, abbiano provocato una reazione che ha come momento di passaggio il presidio del primo luglio davanti alla sede di Expo, in Via Rovello 2.

L’attivismo sindacale e la Milano precaria si contrappongono così al clima estivo che si respira in città dovuto al calendario e al meteo. In ballo c’è la difesa dal Grande Fratello e dal Grande Vampiro che continua a smungere lavoro in cambio di una maglietta, la gloria del territorio e tanti sorrisi.

In libreria trovo un vecchio libro universitario datato anni Trenta, in cui si parla delle leggi fasciste sul lavoro. Altri tempi, altro spirito, altri treni. Suggestioni a volte comuni: prima il dovere, poi il diritto. Limitazione salariale per accrescere la ricchezza nazionale. Energie a servizio della propria patria (della propria città). Creare rete per competere a livello internazionale, abbattendo e superando il conflitto fra capitale e lavoro, mettendo sullo stesso piano i due poli: il piano del capitale, rispetto a cui il resto vien posto in subordine. Grazie all’umiliazione del lavoro e dei lavoratori tutto è possibile.

Altri tempi, altre facce, altra catastrofe, ma lo sfruttamento del lavoro oggi come allora ha una base in primo luogo culturale. Nel momento in cui accettiamo peggiori condizioni in favore dell’aumento di qualche PIL (che regolarmente fra l’altro non accade) è un attimo ritrovarsi nel pieno dell’abisso.

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