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1 Febbraio 2012

#OccupyScampia, ma di che parliamo?

Redazione

A chi interessa capire cosa c’è dietro tutti questi morti nella periferia nord di Napoli? A chi interessa sapere come mai una nuova “scissione” sembra consumarsi all’interno del clan degli scissionisti, e come mai persino il nome della famiglia Di Lauro stia tornando a galla in questi giorni? A chi interessa sapere che c’entra Melito con i morti di Secondigliano e Scampia, con la famiglia Amato, i clan di Barra e la politica spregiudicata di ringiovanimento del boss Mariano Riccio?

La verità è che interessa a pochi, anzi come è abitudine in questa città, quello che interessa è centrare l’attenzione non sui problemi, ma sulle sfumature più marginali di questi ultimi. Per esempio, molti teatri napoletani sono a un passo dalla chiusura, ma la cosa più importante è capire come mai la figlia dell’ex ministro Di Donato, oggi nel Cda del Mercadante, abbia un contratto come organizzatrice del Napoli Teatro Festival. Oppure, le elezioni sono passate da otto mesi e di fare un impianto di compostaggio non si sente nemmeno parlare, ma la cosa più importante è sapere quanto costi una tonnellata di immondizia inviata in Olanda, e così via. È quindi assolutamente normale che i problemi strutturali di una periferia come quella a nord di Napoli vengano sottoposti all’attenzione pubblica solo quando gli equilibri di questa o quella famiglia criminale si spezzano o si incrinano.

Oggi accade anche di peggio, in realtà. Non sono nemmeno in tanti, infatti, a essersi resi conto dell’imminente guerra di camorra, che la presunta società civile napoletana si sta già mobilitando in direzione delle Vele per un fantomatico #OccupyScampia. Il cancelletto è dovuto, ovviamente, al twittaggio dell’iniziativa via social network, un gergo alla moda già di per sé irritante, ma che abbinato al fatto che ancora oggi c’è chi prova a farsi pubblicità con il nome di Scampia, mette addirittura i brividi.

In principio c’era un articolo del Mattino, la solita tirata apocalittica con cui veniva raccontato di saracinesche di negozi che si abbassano al calar del sole, donne invitate a rimanere a casa e di un coprifuoco da far west nel “quadrilatero della faida”. Un invito a nozze per una giovane deputata casertana del Pd, che fa partire il messaggio su Twitter: «Servono volontari! #OccupyScampia contro #coprifuoco imposto dalla camorra!». Poco importa se tra l’articolo e il tweet, associazioni locali e istituzioni, a cominciare dal presidente della municipalità, avevano provato a smorzare i toni, smentendo la notizia diffusa dal Mattino. “Abbiamo finito alle dieci, ieri sera, di provare a teatro per Scampia Trip. Una cosa è il clima di paura […] un’altra è il coprifuoco, che non c’è”, hanno per esempio comunicato dall’associazione (R)esistenza Anticamorra. Ma il balletto era ormai avviato, e centinaia di napoletani (tra cui parecchi giornalisti e politici) hanno annunciato una prossima occupazione del quartiere, per dimostrare la propria indignazione, almeno per un giorno.

Qualcuno, a dire il vero, si è detto addirittura pronto a scendere in piazza tenda alla mano, anche se con questo freddo è difficile immaginarsi una folla accampata lungo via Ghisleri o via Baku, a sfidare il coprifuoco dei camorristi a colpi di indignazione, sacchi a pelo e panini con il wurstel. È inutile star qui a specificare che le associazioni che da anni fanno i salti mortali per rendere Scampia un quartiere migliore, non figurano tra i promotori dell’iniziativa. E nemmeno ci sarebbe da meravigliarsi poi, se anche tra coloro che intrattengono con gli abitanti del quartiere un rapporto vero e fatto di cose concrete, qualcuno dovesse scegliere di aggrapparsi al salvagente mediatico di questa occupazione via twitter, magari per tirarsi fuori, fosse anche per un giorno, dalle secche di una quotidianità solitaria e non sempre gratificante.

Quel che importa però sono quegli altri, chissà se più spregiudicati o incoscienti, che non esitano a travestirsi da improbabili e non richiesti liberatori solo per veicolare per qualche ora o per qualche giorno il proprio nome sui mezzi di comunicazione. Ma anche questa, in fondo, è una vecchia storia, una vecchia praticaccia da mestieranti della politica. Stupiscono solo l’accanimento e la mancanza d’immaginazione, il fatto che non si esiti a riesumare l’immagine già devastata di una comunità afflitta da problemi concreti, per assestarle un colpo ancora, senza pietà, sovrapponendole, ma svuotato di senso, l’ultimo slogan ribellista, con l’unico inerte risultato di additarla una volta di più al pubblico compatimento. E scoraggia, come sempre, l’attenzione degna di miglior causa che dedicano alla questione coloro che per mestiere dovrebbero raccontarci giorno per giorno, e nei dettagli, quel che accade, di bello e di orrido, a Scampia e in tutte le altre periferie dimenticate della metropoli. Dimenticate, naturalmente, fino al prossimo tweet. (napolimonitor)

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