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13 Luglio 2017

Quattro operai in catene. Il paradosso della Hitachi di via Argine

Monitor
(disegno di sam3)
(disegno di sam3)

Massimiliano, Alfredo, Vincenzo e Aniello erano stati assunti a tempo indeterminato all’Ansaldo Breda, una società italiana che operava nella costruzione di veicoli ferroviari appartenente al gruppo Finmeccanica e che nel 2015 ha ceduto parte delle attività alla multinazionale giapponese Hitachi.

Massimiliano, Alfredo, Vincenzo e Aniello sono quattro operai, sono stati addetti alle spedizioni in quell’azienda per ventisei anni, ma sono anche la testimonianza attuale delle conseguenze del Jobs Act e della cancellazione dell’articolo 18. Il 14 marzo scorso Hitachi li ha licenziati considerandoli in esubero rispetto a un piano di riorganizzazione generale delle strutture produttive, dopo aver acquisito le attività che prima erano appaltate alla società FATA, in via Argine. In questo processo di ristrutturazione, su quarantotto lavoratori della FATA, trenta continueranno alle dipendenze di Hitachi mentre diciotto sono stati ricollocati alla Leonardo di Pomigliano d’Arco. Gli unici a restare fuori sono loro quattro, nonostante avessero il contratto a tempo indeterminato. «Nessuno ci ha fornito una valida motivazione del mancato reintegro – dichiara uno degli operai –, abbiamo solo ricevuto la proposta di trasferimento a Marghera, in Veneto, e la conseguente richiesta di firmare il “nulla a pretendere”, ma oltre a essere impossibilitati a spostarci per motivi familiari non comprendiamo perché l’azienda annuncia l’assunzione di ulteriori duecentocinquanta operai interinali e non prende noi che svolgiamo da anni le mansioni richieste. A Marghera, tra l’altro, dovremmo occuparci di mansioni mai intraprese fino a oggi e per questo dovremmo sottoporci a un corso di formazione».

Incatenarsi all’ingresso dello stabilimento di via Argine è sembrata l’unica soluzione possibile: «Cerchiamo di aggrapparci alla vita così come queste catene ci legano al cancello, ma dobbiamo tenerci forte perché tentano di farci scivolare via», così Massimiliano, in protesta da cinque giorni. Con loro, oltre alla solidarietà ricevuta da altri stabilimenti, ci sono le mogli. Hanno prima occupato il Duomo di Napoli riuscendo a strappare a don Tonino Palmese, vicario della diocesi, la promessa di intercedere per loro; poi hanno protestato dinanzi alla sede del consiglio comunale. Ma sembra sempre troppo poco perché nello stabilimento Hitachi si sta consumando un paradosso sotto gli occhi di tutti. I vertici dell’azienda, così come confermano in una nota, hanno offerto ai quattro operai un lavoro in Veneto praticabile solo dopo un anno di formazione. Ma in contemporanea la stessa azienda assumerà entro il prossimo mese duecentocinquanta operai provenienti da un’agenzia interinale: quattro di essi sostituiranno gli operai licenziati.

Il metodo Marchionne dilaga, la cancellazione dei diritti e dei contratti, la precarietà generalizzata. “O Marghera o siete fuori”. E poco conta che in queste ore Aniello sia dovuto partire in fretta e furia per recarsi a Genova dove la figlia di soli due mesi è entrata in coma dopo essere stata operata al cervello per un tumore. Poco conta che lui stesso sia un invalido civile e percettore della legge 104. Poco conta che anche Vincenzo abbia una figlia di ventisette anni sulla sedia a rotelle. Poco conta, o forse, non conta proprio nulla. Sta di fatto che da settembre gli sarà tagliata anche quel minimo di assistenza che permette loro di sopravvivere essendo per lo più famiglie monoreddito. (veronica bencivenga)

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