Da Repubblica Napoli del 17 febbraio 2013
Nei giorni scorsi gli ultimi due assessori al patrimonio del comune di Napoli, Tuccillo e D’Aponte, uno della giunta de Magistris, l’altro della giunta Iervolino, hanno dato su questo giornale valutazioni contrastanti dei rispettivi operati. In questo modo hanno fornito, nonostante le diverse visioni, una serie di informazioni sullo stato attuale del patrimonio comunale. Solo su un aspetto i due ex assessori si sono trovati d’accordo, ovvero sul ritenere un successo il cosiddetto “piano dismissioni”, l’operazione di vendita delle case popolari messa in atto dalla Romeo, la società che ha gestito il patrimonio immobiliare del comune fino al dicembre scorso.
In questi mesi (il piano è partito ad aprile 2012) la Romeo ha pubblicizzato con grande enfasi i risultati dell’operazione, affermando di avere incassato cento e otto milioni di euro derivanti dalla vendita di duemilasettecento appartamenti (nel 90% dei casi di edilizia residenziale pubblica), facendo balenare la prospettiva di un altro mezzo miliardo di introiti entro il 2016 con la vendita del residuo patrimonio edilizio residenziale. In tempi di magra per le casse comunali, un annuncio del genere incontra il favore di tutte le parti in causa. E, infatti, i due ex assessori si trovano in buona compagnia. I numeri della Romeo sono stati avallati con orgoglio dall’amministrazione comunale, divulgati dai giornalisti, commentati senza un rilievo dagli osservatori. Eppure, ad approfondire la consistenza di queste cifre, risulta chiaro che buona parte di esse figurano al momento solo sulla carta, mentre altre non bastano a soddisfare le tante domande sui dettagli dell’operazione, alle quali non tanto l’azienda, che non tollera un tono meno che trionfalistico, ma nemmeno gli amministratori, che qualche dovere di specificare l’avrebbero, hanno sentito l’urgenza di rispondere.
Innanzitutto i cento e otto milioni. La cifra si ricava moltiplicando i duemilasettecento alloggi per un prezzo medio ad alloggio fissato esattamente a quaranta mila euro. Al di là dell’approssimazione di un calcolo del genere, è evidente che si tratta del totale che verrà incassato, se tutto va bene, tra quattro o cinque anni, mentre l’introito effettivo – dal momento che gli agenti della Romeo stanno chiedendo un anticipo del 5% sul totale – si aggira intorno ai cinque milioni di euro. Questo, in ogni caso, al netto di contestazioni e marce indietro, come quelle di cui si ha notizia per esempio a Mianella o nel rione Berlingieri di Secondigliano, dove in un primo momento gli inquilini avevano sottoscritto l’opzione di acquisto per timore di vedere il proprio appartamento messo all’asta, ma una volta rassicurati dal sindacato hanno chiesto indietro i soldi, ricevendone indietro la metà. Cinque, sei milioni. Fa una bella differenza con cento e otto, abbastanza almeno per smorzare gli entusiasmi sul contributo decisivo fornito dal piano dismissioni nello scongiurare il temuto fallimento del comune di Napoli. Senza contare che la legge n.560 del ’93 prescrive che il denaro incassato con l’alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica debba restare nel settore da cui proviene, e non possa essere spalmato per coprire le più svariate esigenze di bilancio.
Un altro interrogativo riguarda gli acquirenti. Quando parliamo di edilizia residenziale pubblica consideriamo case assegnate in grande maggioranza all’inizio degli anni Ottanta, con capofamiglia di quarant’anni che oggi hanno superato i sessantacinque-settanta anni e spesso sopravvivono con pensioni sociali intorno ai trecento euro; oppure, se hanno superato i settanta, intorno ai cinquecento euro. Di fronte a una proposta di acquisto di un immobile che oscilla tra i trenta e i quaranta mila euro, come si saranno comportate queste persone abituate a fare i salti mortali anche solo per pagare le utenze di acqua, luce e gas?
Tutti sanno che nei rioni popolari sono insediate alcune delle grandi famiglie criminali della città. I loro uomini utilizzano le case come depositi, nascondigli, centri di smistamento. Spesso si inseriscono negli stati di famiglia degli assegnatari per impadronirsi legalmente degli appartamenti. Altre volte sono legittimi assegnatari, ma la legge dice anche che i condannati per associazione mafiosa, con sentenza passata in giudicato, nelle case popolari non hanno il diritto di stare. È chiaro che per chi appartiene a questo tipo di famiglie, al contrario di quelle che vivono con una pensione minima, sborsare trenta-quarantamila euro non rappresenta un problema. Nei mesi scorsi la procura ha segnalato circa tremila casi del genere al comune di Napoli. Andrebbero fatti dei controlli, andrebbero liberati molti appartamenti.
Questo è l’aspetto più ambiguo – e spesso drammatico – della questione, che preesiste al piano delle dismissioni e sul quale sarebbe il caso che il nuovo assessore fornisse delucidazioni, anche perché, in assenza di un intervento deciso, si rischia di pregiudicare non solo questo ma tutti i progetti futuri che riguardano l’edilizia popolare in città.
Poi ci sono altre domande. Per esempio, adesso che la gestione del patrimonio è passata alla Napoli Servizi, sarà ancora la Romeo a occuparsi delle vendite in corso? E per le vendite future, è già attrezzata la società partecipata del comune? E poi, che destinazione avranno i soldi incassati? La Romeo, che vanta ancora un cospicuo credito nei confronti del comune, tratterrà una percentuale? E di che entità? Tutto questo senza voler entrare nel merito dell’opportunità di questa grande svendita del patrimonio pubblico, che da un giorno all’altro sembra diventata la ciambella di salvataggio per il disastrato bilancio comunale, e che non riguarda solo le case popolari ma tanti immobili di pregio, messi sul mercato a prezzi che definire vantaggiosi per gli acquirenti è un eufemismo. Nel frattempo, anno dopo anno, le graduatorie degli aventi diritto si vanno a ingrossare con i nomi di nuovi sfrattati, giovani coppie, scantinatisti, coabitanti… Il comune di Napoli, infatti, non assegna una casa popolare dal lontano 2004. (luca rossomando)
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