Vedere tutti insieme i cinque candidati alle primarie del centrosinistra per le elezioni a sindaco di Napoli, non è una cosa da poco. È per questo, probabilmente, che all’incontro organizzato all’Istituto per gli studi filosofici ieri mattina, non è mancato nessuno. C’erano i candidati, ovviamente, schierati da sinistra verso destra nella formazione Ranieri-Mancuso-Cozzolino-Oddati-Sorbillo. Si, Gino Sorbillo, il pizzaiolo dei Tribunali, che ha deciso di candidarsi negli ultimi giorni utili, per portare «una ventata fresca nel mondo della politica». C’era, dicevamo, l’immancabile società civile, quella orientata a sinistra, in un tripudio di giacche di velluto e tweed, cappottini al ginocchio e gioielli discreti, maglioni dolcevita e sciarpe colorate. Borghesia portami via. C’era, ovviamente, il gotha della stampa napoletana, giornalisti orientati e orientabili in tutte le direzioni, e vecchie glorie della politica partenopea.
Inizia il confronto. I candidati hanno tre minuti di tempo per rispondere a tre questioni poste dal moderatore, Francesco Saverio Lauro, di “Libertà e giustizia”. La prima è un mini-bilancio della stagione – «conclusa», scappa proprio al moderatore – di governo della sinistra a Napoli; la seconda riguarda le priorità di ciascun candidato; la terza la squadra di governo di cui il futuro sindaco intende avvalersi. Il più incisivo, come si dice in questi casi, è Oddati, che si dimostra quantomeno il più concreto, seguito a ruota da Cozzolino. Di minuti, però, Oddati ne impiega quasi quattro, e si busca un’ammonizione dal diligente arbitro della contesa. Vanno un po’ fuori strada gli altri, rimanendo troppo vaghi. Come prevedibile, nessuno risponde alla domanda sulla “squadra di governo”, indispettendo non poco moderatore e pubblico. Ranieri è serafico: «Saranno tutte persone integerrime».
La sala, nel frattempo, si è riempita, tanto che molte persone si piazzano in quella adiacente, la saletta della televisione, dove si affollano numerosi giornalisti, che non sembrano gradire l’intrusione. I cronisti più giovani si dedicano allo sfottò estemporaneo, mentre i più esperti non nascondono il proprio disappunto. Angelo Pompameo scuote continuamente la testa, mentre Luigi Necco borbotta a ogni tentativo di ragionamento dei candidati, esplodendo all’ennesima risposta vaga.
Anche tra il pubblico della sala principale ci sono gli scettici. La sensazione è che anche i presenti – presumibilmente simpatizzanti del centrosinistra, e di conseguenza dei candidati – abbiano il dente avvelenato nei confronti della politica, e che molti di loro non aspettino altro che il momento opportuno per partire con la polemica. Non appena il moderatore, per esempio, va incontro al timido Sorbillo («Beh, vuol dire che lo voteremo anche per la sua magnifica pizza») qualcuno si solleva, letteralmente, dalla sedia. «Dovete trattarlo come gli altri», gridano. «Basta con le caste», protesta sottovoce qualcun altro, e il risultato è un polverone estemporaneo, gratuito ed evitabile.
Tornata la calma in sala, comincio a distrarmi. I candidati ora stanno affrontando i temi considerati più importanti per il futuro della città, divisi in “macroaree”. Si parla di urbanistica e piano regolatore. Mancuso sembra un po’ un pesce fuor d’acqua, e fa confusione tra padre e figlio della famiglia Iannone, uno giurista, l’altro urbanista. Strappa un sorriso, un po’ di imbarazzo, e prosegue per la sua strada. Intanto, mi accorgo di essermi perso in un’immagine, non so nemmeno se reale, forse è un’allucinazione. Nella saletta laterale, defilato, in camicia e maglione (strano, dal momento che l’ho sempre osservato imballato nelle cravatte di Marinella, che gli davano un crisma di autorità ed eleganza), c’è un pensoso signore dal capo bianco. Ha la testa tra le mani, si accarezza il mento, perde lo sguardo nel vuoto. Pensa, forse, Antonio Bassolino, che in questo contesto potrebbe ancora dire la sua. Anzi sembra un leone in gabbia. Sedato. Un Napoleone a Sant’Elena, a cui di tanto in tanto qualche cortigiano va a stringere la mano. Lui sorride appena, e ritorna ai suoi pensieri.
Ormai ho perso il filo della discussione, e mi accorgo di non riuscire più a seguire – dopo più di un’ora di dibattito – i ragionamenti dei candidati. Poco male. Esco a prendere un po’ d’aria, ma non troverò più il coraggio di rientrare, rapito dai vicoli del quartiere che, colpevolmente, conosco poco. È una buona giornata per rimediare, tanto più che le elezioni sono ancora lontane. Per fortuna. (riccardo rosa)
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