Un vecchio professore di matematica in pensione ciondola lento sulle scale del palazzo delle Poste Centrali, in piazza Matteotti. Si ferma per scrutare la merce esposta, poi tira fuori delle lettere e avanza lungo via Cesare Battisti, in direzione di piazza Carità. Si rivolge a Michele, uno dei pulciai storici della piazza, che su questi gradini lavora dal 1980. Michele fa scendere gli occhiali sul naso, alza il cappellino, esamina la busta azzurra. Stampati sul cielo di carta ci sono dei gabbiani, l’indirizzo è napoletano, il mittente triestino. Il mercante lascia una moneta da venti centesimi e rivolge un sorriso al professore, poi inserisce la busta in un mazzetto di lettere chiuso da un elastico. «Non la venderò mai, ma il professore passa spesso e così, comprando una lettera o un francobollo, è come se gli offrissi un caffè».
Questa piazza dall’architettura razionalista sorse tra gli anni Trenta e Quaranta, l’ultimo risanamento urbanistico della città. Demolite le chiese e i chiostri del vecchio rione San Giuseppe, in pochi anni la piazza fu completata. Si chiamò “delle nuove Poste” e fu poi intitolata a Giacomo Matteotti nel ’44: vi si affacciano il palazzo della Provincia, l’enorme edificio delle Poste, la Questura, il palazzo Troise (Mussolini ne chiese la demolizione durante una visita a Napoli perché sembrava “un paracarro”). Dagli anni Sessanta in piazza ha sede un mercato spontaneo che nacque dal settore filatelico delle Poste, punto di riferimento naturale per i collezionisti. Negli anni Settanta e Ottanta il mercato si espande, arrivano amatori della numismatica, della cartofilia (chi colleziona lettere e cartoline) e della scripofilia (chi colleziona titoli bancari). «Vent’anni fa c’era gente davanti al mio banchetto con assegni di dieci milioni nel taschino», dice Salvatore, decano del mercato filatelico napoletano.
Ogni mattina, dal 1977, Salvatore arriva qui dal quartiere Chiaia, tira fuori dal cofano il banchetto pieghevole ed espone monete e francobolli. Non è un secondo lavoro ma l’unico, quello che ha dato da mangiare ai figli e ai nipoti che ora lo affiancano durante la giornata. Il banchetto di Salvatore è il solo, tra le venticinque postazioni che sono in piazza, a essere in regola, ad avere l’autorizzazione per l’occupazione di suolo pubblico. «Per il resto quelli sulle scale so’ ggente ‘e munnezza, quelli là sopra vendono roba ‘e munnezza», dice categorico. Davanti al suo banchetto si aggirano pensionati, amatori, vecchi appassionati che tra braccio e ascella piegano L’informazione del collezionista, storico bimestrale dedicato a chi colleziona tutto, dagli accendini alle bustine di zucchero. Qualcuno si fa valutare qualche moneta, altri provano a disfarsi per pochi soldi di lettere ripescate da bauli dimenticati. Salvatore ha venduto anche qualche Gronchi rosa, il leggendario francobollo che Poste Italiane dedicò al viaggio del presidente della Repubblica Giovanni Gronchi in Sudamerica. Il Gronchi rosa fu emesso il 3 aprile 1961 e ritirato la sera stessa perché i confini del Perù disegnati sul francobollo erano sbagliati e stava per scoppiare un incidente diplomatico prima del viaggio. Le Poste emisero in fretta un nuovo francobollo (il Gronchi grigio), rettificando i confini del Perù, poi ordinarono ai pochi in possesso del Gronchi rosa di coprirlo con il nuovo francobollo. La cosa sfuggì di mano e la prima versione diventò pezzo ambito dai collezionisti. «Ho venduto anche la serie democratica del ’45, nuova, e il Cavallino Ruota, il più raro francobollo della Repubblica italiana»: pezzi che valgono ancora migliaia di euro.
Considerando Salvatore ipotetico zenit della legalità di questo mercato, la questione burocratica sorge su via Cesare Battisti e tramonta su via Monteoliveto, tra “quelli dell’ultimo scalino”. Le vetrate del palazzo delle Poste hanno rientranze in diorite sulle quali i pulciai stendono i teli: questi sei o sette mercanti, fino alla scalinata dove si trovano i francobolli di Salvatore, occupano tecnicamente un immobile privato. Dovrebbe essere l’amministrazione delle Poste a denunciarli. «Qui sarebbe autorizzato il baratto, in quanto mercato storico», spiega Eduardo. Ma chi è Eduardo? Un signore di circa settant’anni, un’istituzione che in questi cinquanta metri di piazza tutti riconoscono. Mi parla delle piantagioni di caffè, poi dei pulciai, della Yakuza, di Savoldi. Entra nel bar, alza la mano, ordina pasticciotti, cornetti e caffè, esce senza neanche dover spiegare perché non paga. «Vedi, questo è un mercato che esiste dagli anni Cinquanta. Qua abbiamo dovuto fare le battaglie con la Filcams e l’assessore competente, nell’ultima giunta Bassolino». Il conflitto tra amministrazione, forze dell’ordine e mercanti scoppia nei primi anni del nuovo secolo. I motivi scatenanti sono racchiusi in una leggenda.
Un dirigente della Questura in incognito passeggia lungo via Battisti per andare in ufficio. Osserva la merce un po’ disgustato dalla miseria, e dal disordine sul quale non può intervenire. Tra gli oggetti l’uomo nota qualcosa. È l’orologio dei suoi sogni, quello che ha sempre cercato, un oggetto prezioso che questi rozzi mercanti non riescono ad apprezzare. Contratta sul prezzo per il solo gusto della competizione, giunge a un accordo ridicolo. “Che affare, che grande sono”. Arrivato in ufficio mostra orgoglioso il suo acquisto. «L’ho pagato solo trecentomila lire, ma tu hai capito che vale dieci milioni?». Umilmente l’appuntato Esposito, cresciuto nel Borgo Orefici, si fa avanti. «Scusi dottore se mi permetto, ma si tratta di un falso». Seguono dettagliate spiegazioni che mandano su tutte le furie il dirigente. Da quel giorno inizia la guerra al mercato delle pulci di piazza Matteotti. Per mesi si susseguono sgomberi e il mercato si spopola. Intanto il pulciaio viene informato dagli amici e non si fa più trovare. La questione si risolve con l’incontro tra i funzionari dell’assessorato ed Eduardo.
Michele ha intanto comprato dal vecchio professore la lettera azzurra con i gabbiani. Posa il mazzetto tra le banconote dell’Indonesia, le cartoline e le monete turche. Anche lui, in passato ha venduto un Gronchi rosa. Oggi ha alcuni abbonamenti del Calcio Napoli degli anni Sessanta e dell’epoca di Maradona. Ha cambiali americane e album di francobolli che vende a dieci euro. Un tempo abitava ai Miracoli – nel rione Sanità – e da via Foria arrivava con l’autobus. Ora si è spostato a Volla, nel territorio provinciale vesuviano poco oltre i confini comunali. Dal 1980 al 2002 questo è stato il suo secondo lavoro. Ufficialmente era autista del comune di Napoli, accompagnava i dirigenti e gli assessori alla cultura dal Maschio Angioino a palazzo San Giacomo (cento metri) o alle inaugurazioni. «Mi facevo mettere i turni del pomeriggio, così alle sette venivo qui per il mercato, a mezzogiorno mangiavo e poi attaccavo il turno per il Comune».
Sul versante opposto iniziano le scale di Monteoliveto. Sotto l’insegna all’angolo del palazzo delle Poste “Anno 1936, XIV E. fascista” ci sono venti persone che formano il mercato delle scale, aperto ogni giorno dalle 7 alle 12 circa. Secondo Salvatore il filatelista le scale si sono popolate negli anni Novanta: «Dopo uno sgombero da Porta Capuana sono arrivati tutti qua». Tra i pochi a restare sulle scale anche nel pomeriggio c’è Totore. Statuette egiziane, ritratti di Mussolini, videogiochi e scarpe. Cappelli del Napoli, Dumas, lampade, Tardelli che esulta, vinili e codici civili, macchine fotografiche, Gogol, trolley, fumetti, forchette, paioli di rame, Che Guevara. «La gente butta, butta sempre. Noi invece recuperiamo e rivendiamo. Io, per esempio, se compro troppo pane quello che resta lo impasto con l’acqua e lo do ai piccioni».
Totore ha il viso scavato. Gli anni passati in carcere aumentano o diminuiscono durante i racconti, da tre passano a venti, cambia la reazione dell’interlocutore. «Ho fatto la cronaca, ho le carte dei giornali. Ma se le vuoi allora questa è una storia che costa». Cinquanta euro, esattamente. Quello che probabilmente è vero è che questi anni di galera lo stato avrebbe dovuto rimborsarglieli. Un errore giudiziario. Gli sarebbe bastato mettere una firma per ottenere una cifra con cui avrebbe risolto tutti i suoi problemi. Una firma che doveva apporre in uno studio legale a Udine, entro maggio dello scorso anno. La moglie di Totore, però, muore durante la primavera, il risarcimento è lì che lo aspetta ma Totore ha una vita da risistemare, una figlia da mandare a scuola e un figlio più grande a cui badare. Nella sua mente la scadenza diventa luglio 2018 e si convince di essere ancora in tempo. A giugno chiama l’avvocato e chiede un appuntamento, pronto a salire a Udine. Ma il suo risarcimento è evaporato, lettera morta.
Resta allora lo scalino di Monteoliveto, dove ogni mattina Totore arriva dal quartiere Materdei con l’autobus. Fino a dicembre si tratteneva dopo pranzo con Enzo, un uomo robusto e dall’aspetto curato, con un passato da magliaro in Sudamerica. Da qualche mese Enzo è sparito, forse è tornato a “occuparsi d’abbigliamento”, come diceva quando chiacchierava con Totore. Questa zona del mercato è anche l’unica a ospitare qualche venditore straniero. C’è un signore ucraino dalla barba lunga, vende obiettivi fotografici, binocoli, occhiali. Totore e gli altri delle scale guadagnano – se la giornata è buona – fino a trenta euro. Se comincia a piovere il mercato si svuota in un attimo, c’è un gran fracasso di cartoni trascinati, piatti rotti, gente che impreca. Se arriva la municipale è il fuggi fuggi, la multa di sei o settemila euro è vista come il male minore – nessuno tra questi pulciai delle scale può pagarla. Quello che bisogna evitare è il sequestro della merce, «perché se mi togli pure questo io che devo fare?», dice Totore.
C’era tra questi mercanti anche un giovane cinese, che aveva trovato posto tra le scale senza troppi problemi. Vendeva carica-batterie, mascherine per telefoni cellulari, memorie usb, luci a led. Un giorno due vigili urbani in borghese, conosciuti però da tutti nel mercato, si avvicinano al ragazzo. Si presentano come vigili, minacciano multe salate, poi sequestrano la roba e la caricano nella loro automobile privata. Secondo la leggenda a intervenire in difesa del mercante, qualche giorno dopo, fu il capo della Yakuza a Napoli. Obbligò i vigili urbani a restituire il maltolto, che venne poi riconsegnato al giovane. Da quel giorno cinesi sulle scale di Monteoliveto e in piazza Matteotti non ce ne sono più. (davide schiavon)
Leave a Reply