Parigi – la nostra Parigi, non quella in Francia – ha una popolazione di quattordicimila abitanti, una superficie di tredici chilometri quadrati percorsi da quaranta chilometri di strade, perlopiù strette e senza marciapiedi. A Parigi quasi tutti hanno una macchina. Tutti i giorni alle 5, alle 13 e alle 21, in corrispondenza dei tre turni, serpentoni di utilitarie imboccano la piccola circonvallazione e si dirigono verso la fabbrica d’auto che occupa buona parte della popolazione. Dopo pochi minuti un diverso serpentone, quello degli operai del turno precedente, entra in città riempiendo lo spazio lasciato vuoto poco prima.
Quando dico che a Parigi quasi tutti hanno una macchina voglio dire che tutti i parigini sopra i quindici anni ne possiedono una. È abitudine delle famiglie – più per aziendalismo che altro – regalare la prima auto ai neo quindicenni. I ragazzini, senza patente, passano i pomeriggi seduti nelle loro macchine parcheggiate a fumare, fare i compiti, pomiciare o immaginare di guidare.
A conti fatti il numero di posti auto in città è inferiore a quello delle auto di circa un terzo e l’equilibrio è garantito solo dalla turnazione dello stabilimento. Spesso, in estate, quando la fabbrica rallenta, gli operai prendono le ferie e il numero di macchine in città diventa critico, qualcuno ripropone l’idea del parcheggio multipiano; progetto già fischiato e bocciato anni fa perché per la durata dei lavori si perderebbero una trentina di posti auto.
La notizia della crisi e della riduzione dei turni prende Parigi alla sprovvista. Qualcuno pensa che i parigini dovrebbero fare la loro parte e comprare nuove auto, ma l’idea cozza, prima ancora che con le difficoltà economiche a cui la cittadinanza va incontro, con quelle di parcheggio, già aggravate dai turni ridotti. Da qualche giorno, per sopperire, si può sostare anche dentro al cortile dell’oratorio e nel campetto sportivo, ma non basta. Le macchine vengono lasciate in doppia fila o sopra gli scarsi marciapiedi. Carreggiate e incroci si riducono e le macchine si sfregano e urtano continuamente lasciando per terra specchietti e paraurti.
I cancelli si chiudono per l’ultima volta dietro alle auto del turno delle 13. Le vetture si muovono lente in un triste corteo alla volta di Parigi, ma dopo poche centinaia di metri, con sorpassi azzardati, strombazzate e improvvise sgasate, si staccano dalla coda le prime automobili e inizia la corsa agli ultimi parcheggi disponibili in città.
Senza tanti complimenti si ignorano frecce, precedenze e sensi di marcia. Le manovre per entrare nei posti auto vengono ridotte all’osso. Pressati dall’insistenza dei clacson gli automobilisti prediligono la rapidità alla precisione e le auto vengono parcheggiate storte o al di là delle righe venendo urtate e graffiate ripetutamente da quelle che seguono.
Di quando in quando tra gli automobilisti nascono piccole coalizioni e si lavora insieme per rimuovere cassonetti, pali della segnaletica e tutto quanto rubi spazio utile al parcheggio. Tutto viene scaraventato con poca grazia sopra le auto già in sosta. Si continua inutilmente a girare attorno agli stessi isolati, lungo le poche strade non bloccate da contenziosi o dalle macchine abbandonate. Amici e parenti, dalle finestre, provano a farsi sentire sopra la cacofonia dei motori e dei clacson: «Hai provato a cercare in Via Tolmezzo?». «Spingi un po’ che lì ci entri». «Fregatene, lasciala lì. Vieni su che è tardi!».
Intorno alla mezzanotte, una dopo l’altra, le auto, ormai a secco, si spengono; i clacson diventano sempre più deboli e stonati e i fanali fiochi. Alcuni automobilisti si addormentano al volante. Quando nei sogni fa capolino lo stabilimento, in questo momento (e d’ora in poi) buio e silenzioso come la città, i parigini lo scacciano via e preferiscono sognare garage privati e posti auto coperti.
una storia disegnata di davide catania
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