È iniziata ieri, e proseguirà fino a domenica, a Milano, La terra trema – Fiera feroce. Vini, cibi e cultura materiale, giunta alla tredicesima edizione, e ospitata dallo Spazio pubblico autogestito Leoncavallo. Dall’ultimo numero de L’almanacco de La Terra Trema, rivista trimestrale autofinanziata, pubblichiamo un estratto dell’articolo Mica un solo Piemonte, di Laura Alemagna.
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Per quel che riguarda i suoi vini, il Piemonte a La Terra Trema, Fiera Feroce, è una colonna portante, indiscutibile. Una forza polifonica. Impossibile da contenere ogni volta. E noi non ci proviamo neanche. Quando si affaccia un nuovo produttore piemontese è obbligatorio studiarlo a fondo ed evitare di cadere in semplificazioni. Troppe sono le diversità. Ogni vigna è un Piemonte diverso e nelle bottiglie è lo stesso.
Nel corso degli anni abbiamo provato a conoscere meglio questo Piemonte colossale delineando una forma di persona capace di lavorare su se stessa, sulla propria solida storia sforzandosi anche di mettersi in gioco con attitudine forse nuova o, invece, innata alla sperimentazione audace, rivoluzionaria, ribelle.
Davanti a noi v’è, dunque, un’avanguardia non solo generazionale o anagrafica ma politica, concreta, tra mente e corpo, e questa si prende spazio tra i totem, in alcuni casi lasciandoli alle spalle per un confronto col vino che spende meno nell’idolatria dei blasoni e si concentra più sulle specificità sostanziali, personalissime, locali. E così, in questo lungo agosto, il colosso Piemonte lo abbiamo interrogato.
L’OMBELICO
Il grembo, il ventre è quello di Claudio Solito, de La Viranda (a Calamandrana i vigneti, a San Marzano Oliveto cantina e un pezzo di azienda, Asti). È lui che chiama e dice: «Venite, voglio portarvi in un posto».
Claudio Solito de La Terra Trema ne è ormai l’effige involontaria, icona vivente di questo progetto. La molteplicità di vini che produce racconta molto di lui e della natura del luogo che egli abita, la Langa Astigiana. Claudio produce vino per dire ciò che pensa. Da La Viranda combatte a cornate la sua battaglia contro l’omologazione/standardizzazione di vini e vite (umane), contro i monopoli che, nell’astigiano e non solo, hanno condotto la produzione vitivinicola dentro un calderone informe. Non, dunque, una battaglia romantica, naif. Le corna le ha ben puntate verso i monopoli costruiti dal mercato: verso le sue derive che portano a modificare produzioni e disciplinari, verso una tipologia di lavoro che tende a sfinire ogni cosa, terre, territori e persone, soprattutto.
Claudio è schietto (di parole e di vino), chiarisce a chiunque quel che può fare il mercato. Può dirottare decenni di storia di un luogo, annientarne il valore, azzerarne le declinazioni naturali, appiattire un panorama sociale e naturale se ha i grossi numeri, se ha i capitali. Ma può anche ammaliarti, silenziarti, relegarti a una piccola nicchia confortevole, offrirti la tua fetta di torta e lasciarti lì, a crogiolare, senza disturbare, nel tuo paio di ettari. Ci vuole coraggio insomma, e occorre confrontarsi. Per questo non è raro che chiami a raccolta o che si lasci coinvolgere a sua volta.
Nel chiamare a sé di Claudio v’è il sintomo di un desiderio di connessioni proficue, di reti reali e a noi sta bene. Rispetto al continuo alternarsi di mode e definizioni buone a determinare (nel mercato) la natura del vino e la connotazione spirituale di ogni singolo acino che lo compone, adesso come adesso abbiamo più voglia di guardare al vignaiolo che alla bottiglia, alla sua capacità (di uomo o di donna) di seminare e avvilupparsi alle storie di altri come lui.
Il posto in cui vuole portarci sta nel cuore di Claudio, è in alta Langa ed è Il Finocchio Verde che fu di Mario Gala. Non era un uomo del vino Mario Gala, produceva con Isa De Caria, sua compagna, tume a Murazzano di Cuneo, era pastore e casaro isolato, tra i bricchi.
Mario e Isa sono stati artefici di un modo solo loro di approcciarsi a quella terra cercando, in primo luogo di scansare logiche di accumulo e di guadagno e di svolgere il mestiere di pastori con naturale rispetto per chi in quel mondo era messo al centro: le bestie, le persone, la terra. Pian piano hanno aperto quella piccola azienda ad un pianeta popolato di curiosi provenienti da ogni parte in cerca di qualche piccolo insegnamento. Il Finocchio Verde è divenuto, in breve, meta per numerosi giovani di buona volontà che lì hanno avuto modo di avvicinarsi al lavoro della terra, in maniera esperienziale.
Mario mungeva a mano le sue pecore di Langa, ogni mattina, ben oltre la trentina di capi e una resa veramente ridotta. Intorno a questa pratica ostinata e fuori dal tempo contemporaneo ha eretto la sua storia. È mancato nel 2018, lasciando ai giovani che transitarono la sua eredità, non leggera, lo sapeva. Gioia sì, indipendenza anche, ma soprattutto sangue e merda, diceva.
Quando arriviamo le pecore sono al pascolo. Il cielo è nero e tra le alte colline si insinuano nubi filamentose e gelide. Si avvicina di sicuro un temporale, forse anche la grandine. Ci accoglie Christian Lauer, austriaco di Vienna. Al Finocchio Verde è capitato in sella a una bicicletta nel corso di un viaggio. È rimasto lì qualche tempo, è andato e tornato, poi Mario l’ha chiamato al telefono per lasciargli le redini di quel progetto. Con lui c’è Julien, francese di Lione. Un cuoco di quelli che maledice e ama la cucina. È lui a preparare il pranzo che consumeremo, la tempesta è cominciata.
I formaggi di Christian sono una potenza, Claudio è entusiasta dei risultati di questa nuova leva e dei sapori che è stata in grado di produrre là dove nulla era ed è dato per scontato. Il caseificio è piccolo e Christian si muove al suo interno con precisione asburgica, gesti controllati e precisi, non vani, non inutili, mirati. Piega le tume e le ripone nei sacchi che ci consegna.
In questi giorni il numero dei capi è quasi raddoppiato, hanno in consegna gli animali di un pastore vicino. Le ospiti le riconosci dal pelo più chiaro e pulito. Le altre hanno un’aria decisamente più errabonda. Isa racconta di incontri. Le giornate passano anche mantenendo viva quella rete di relazioni che lei e Mario hanno intrecciato, aggiungendo i lembi di queste voci nuove.
Fuori piove, la veranda si affaccia sul giardino semi spontaneo e sull’orto. È un luogo forte. Geometrie si sovrappongono a storie, mattonelle rosse e antiche, cementine, cumuli di fave a essiccare, cani bagnati accovacciati, mazzi di pannocchie e di cipolle, porte di legno scrostato e vetro. Fuori piove a dirotto. È la soglia del regno/giardino di Isa. «La terra è generosa. Pensa ai tartufi, non c’è mica qualcuno che li ha seminati; le fragoline di bosco, le ciliegie che hanno seminato gli uccelli, le susine selvatiche. Dà un sacco di roba, dà un sacco di roba. E con chi è generoso bisogna essere generosi». (continua…)
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