Caro Babbo Natale,
Mi chiamo Flavietto, ho novantacinque anni, e credo in te come uomo e come politico da quando ne avevo trentatré. Quest’anno non ti chiedo niente, solo tanta pace nel mondo, tanta felicità, il mangiare ai poveri e quel diamante del valore di cinquecentotrentacinquemila euro che ho visto l’altra sera su Focus. Bisogna pensare sempre a chi è più fortunato di noi.
Ti dirò, tuttavia, che non mi è piaciuto tanto il tuo cumpurtamento quando sei sceso l’anno scorso dal camino. Non dormivo. Ti ho spiato. Per prima cosa, fetavi molto, e si vedeva chiaramente che il pantalone, pieno di chiazze di pisciazza, non veniva lavato da molto tempo. Il giorno dopo, la nostra guvernante stava morendo soffocata, e, per far togliere la puzza, abbiamo dovuto tenere aperti tutti i balconi per due mesi. Quella bottiglia di J&B che bevevi in cuntinuazione è poco elegante. Infatti, quando sei caduto sul tavolo d’epoca scamazzando i vasi del nonno – che ancora piange- ci hai procurato non pochi danni. Infine, in tutta sincerità, non c’era proprio bisogno che ti mettessi a cacare sul divano prima di andare via. Magari ti dà suddisfazione, lo posso capire, ma, come ci hanno inzegnato gli andichi: “In media stat virtus”. Bastava anche solo l’acquazza ggialla che ha ruvinato definitivamente la moquette.
Te lo devo dire per quella currettezza che cuntraddistingue gli uomini di buona vuluntà: sei stato un tantino scustumato, o Babbo Natale. Capisco che ti sarai scucciato, lo posso cumprendere benissimo, anche perché ormai hai un’età, però cerca di stare più attento quest’anno. Se il regalo che ti ho chiesto non ce l’hai, o ti è difficile reperirlo, lo puoi pure rubare, ti dico io l’indirizzo di una viecchia che lo pussiede in via Cola di Rienzo. È un’amica di Silvana Pampanini. Là puoi fare quello che vuoi. Se nel frattempo dovessi murire, lasciami lo stesso il dono. Grazie Babbo. A te va tutta la mia cumprensione demucratica.
Tuo,
Flavietto Gioia
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