«O moriamo di fame, o moriamo di Coronavirus», sintetizza R., un’abitante del campo rom di Cupa Perillo a Scampia, e non c’è molta ironia nella sua voce. Non è l’unica cosa che pensa di questa situazione. Pensa anche che le circa centocinquanta bambine e bambini che frequentano regolarmente la scuola, relegati nelle baracche senza connessione e senza tablet non avranno alcuna possibilità di stare al passo con i compagni della loro età. Pensa ai vecchi che non hanno alcuna forma di reddito, che a stare fermi magari non si ammalano, ma che non possono andare avanti. Pensa a quelli già ammalati. Pensa a chi come lei ha un lavoro che ha subito un’interruzione e non sa se riprenderà, o a chi non ha niente, magari per assenza di documenti, e deve comunque uscire tutti i giorni per pensare alla sopravvivenza per sé e per gli altri. Tuttavia, in maniera disciplinata, spaventati come tutte e tutti su questo pianeta, le norme di chiusura i rom le hanno rispettate alla lettera, senza muoversi. E almeno nessuno si è ammalato di Coronavirus.
L., che invece vive in una casa popolare con la madre e i figli, e si è trasferita da un quartiere all’altro perché vittima di violenza, è stata colpita dal confinamento in una fase di transizione della sua vita, alle prese con tribunali e servizi sociali; badante a nero, oggi si trova senza niente, senza possibilità di iscrivere i figli in un’altra scuola, e si è dovuta rivolgere a qualcuno che la aiutasse vincendo la vergogna e la rabbia. Ma almeno ha avuto il coraggio di andarsene di casa e si trova in un luogo sicuro.
G. in tutta la vita è riuscito sempre a portare avanti la famiglia, ha lavorato finché i cantieri edili sono stati aperti ma adesso non sa nemmeno immaginarsi un futuro, e anzi è meglio che non ci pensa affatto.
Lavoratrici stagionali, imbianchini senza contratti, disoccupati di lungo corso, lavoratori regolari ma con datori di lavoro che non si sono presi il fastidio di fare la semplice richiesta di cassa integrazione e che non vogliono essere disturbati pena il licenziamento, anziani con un’unica pensione sociale che copre figlie, suoceri e nipoti, padri di famiglia percettori di incredibili redditi di cittadinanza – quaranta euro in certi casi per un intero nucleo familiare –, abitanti di rioni popolari, regolari e occupanti, rom dei campi autorizzati e non autorizzati. Si parla di decine di migliaia di persone, nella sola area nord di Napoli, per le quali la pandemia significa un pericolo per la salute e il crollo di un intero, fragilissimo, sistema di vita che finora si era mantenuto in equilibro grazie allo sforzo fisico e mentale, all’istinto di sopravvivenza e probabilmente anche alla famosa arte di arrangiarsi che crea prospettive imprevedibili.
Limiti, disuguaglianze, vulnerabilità di un sistema economico disfunzionale, sono emersi in questi mesi in maniera evidente e in tempi rapidissimi, mostrando a tutti ciò che qualcuno sospettava da tempo, e cioè che milioni di persone nel mondo, di tutte le categorie, vivono in uno stato di oppressione e che i privilegi, oggi più che mai, salvano letteralmente la vita. In altre parole, il diritto di vivere è un privilegio, e non è affatto scontato.
Il 9 marzo il governo applica all’intero territorio nazionale il lockdown, che impone la chiusura di (quasi) tutte le attività produttive, delle scuole, di tutte le attività di tipo aggregativo, sportivo, ricreativo, a causa della pandemia globale da Covid-19, per contenere e limitare i rischi di un contagio rapido e di massa che, vista la situazione del sistema sanitario, sarebbe un disastro, soprattutto al sud. Restare a casa dovrebbe salvarti la vita. Ma è un inganno, e si capisce immediatamente.
Il 16 marzo, grazie alla vasta rete sociale di Scampia, si costituisce un presidio di solidarietà permanente che attraverso comunicati stampa e interviste divulga la “notizia” dell’impossibilità per molte famiglie di sopravvivere in assenza totale di reddito e in vista di una sicura esclusione dalle misure di sostegno dei decreti governativi. Viene lanciata una campagna di finanziamento dal titolo “#andràtuttobene… ma a chi?”. Le comunità rom di Cupa Perillo sono le prime destinatarie dei fondi raccolti. Le anime che compongono il presidio che prenderà poi il nome di Brigata di Appoggio Mutuo, la BAM, sono molteplici e anche diverse per approcci e percorsi. Ma l’obiettivo, umano e politico, il prendersi cura della comunità e in particolare dei più bisognosi, è l’essenza stessa della vita in tempi di “resistenza”, in cui la tua sola sopravvivenza non conta nulla.
Prima di attivare la raccolta fondi, ci accertiamo giusto per scrupolo che il comune di Napoli non abbia previsto alcuna misura di sostegno per le comunità rom in tutti i campi della città. In effetti è così, non c’è alcun piano. Inoltre, essendo fermi i progetti del Comune (accompagnamento scolastico e servizi di supporto), i campi autorizzati e anche quelli informali sono completamente scoperti, come nel caso di Gianturco, ma anche del campo comunale di Secondigliano e della scuola Deledda a Soccavo, dai quali arrivano pressanti richieste di aiuto.
Intanto ci confrontiamo e studiamo modelli di mutualismo che si sono attivati in altre città, prima delle istituzioni, da Roma a Londra, passando per Milano e Marsiglia, con cui entriamo in rete in una sorta di connessione internazionalista. Scopriamo che alcune di queste esperienze, pur mantenendo autonomia e struttura dal basso, sono comunque sostenute dalle istituzioni, per esempio dal punto di vista logistico, e comunque sono riconosciute nel prezioso compito che svolgono.
Al centralino che istituiamo arrivano centinaia di telefonate di famiglie italiane di almeno due municipalità, da Miano a Secondigliano, passando per Scampia e Piscinola, ma anche dall’area metropolitana, Melito, Acerra, Arzano. Decidiamo di occuparci della distribuzione alimentare e della tutela legale, sanitaria, educativa – con l’istituzione di sportelli gratuiti con la collaborazione di professionisti – di circa mille e cinquecento persone, tra italiani e rom di Scampia e Secondigliano, con una non facile distribuzione settimanale. Attiviamo un sistema organizzativo che va dalla logistica alla comunicazione e aggreghiamo un certo numero di volontari. Strutture storiche del quartiere come il Gridas, il Centro Hurtado, il Giardino dei Mille Colori delle Suore della Provvidenza, diventano centri di approvvigionamento e smistamento. I limiti sono dettati dal gran numero dei richiedenti, dalla scarsità dei fondi, dalla difficoltà di muoversi per il distanziamento sociale. L’interlocuzione con il Comune è in quel momento ancora in piedi, almeno per avere le autorizzazioni per poter circolare liberamente come volontari. In una stramba telefonata del 26 marzo, con un funzionario che non aveva indicazioni certe su come ottenere il modulo per la libera circolazione, veniamo invitati a compilare un altro modulo sulla piattaforma online del Comune in cui indicare chi siamo, cosa facciamo e dove, ma soprattutto quante forze abbiamo a disposizione e che cosa siamo disposti a fare, perché questo potrebbe tornare “utile” al Comune. Restiamo sorpresi dalla richiesta, visto che già stiamo svolgendo un servizio totalmente volontario che copre un pezzo di città. Tuttavia, il 27 marzo facciamo l’iscrizione alla piattaforma, pensando che possa tornare utile alla causa, ma proseguiamo con la nostra azione completamente indipendente. Ancora, ci segnalano dei cittadini che sul sito del Comune ci sono tutti i servizi offerti dalle municipalità per l’emergenza in atto. Dopo una rapida consultazione, scopriamo che la terza è l’unica che ha stilato un elenco completo di servizi e capiamo che siamo affidati in sostanza al libero arbitrio del presidente di turno.
Finalmente il 30 marzo il governo stanzia i quattrocento milioni ai comuni per gli aiuti alimentari. I gruppi di mutuo sostegno sorti in tutti i quartieri si muovono da tempo per la città portando la spesa alle famiglie. Sono attive anche le grosse comunità religiose tra spesa e mense dei poveri. Il 2 aprile, il comune di Napoli indice una manifestazione di interesse dal discutibile titolo #Insiememaisoli, finalizzata in sostanza a prelevare le eccedenze alla Mostra d’Oltremare. Per dirla con le parole del sindaco: “La base logistica di Mostra d’Oltremare del Banco alimentare di mutuo soccorso è entrata nel vivo. Arrivano derrate alimentari dalle catene di grande distribuzione, dal centro agroalimentare, dalla Coldiretti Campania, da altri ancora. I nostri dipendenti e la rete di volontariato provvede a distribuire ai più bisognosi…”. Compiliamo la manifestazione di interesse, che si perderà poi nell’oblio, e riusciamo ad andare solo una volta al Banco alimentare della Mostra grazie ai residui concessi dalla Comunità di Sant’Egidio.
Dal 4 al 10 aprile si apre la domanda del Comune i per bonus spesa. I criteri per accedere sono numerosi – assenza di reddito di cittadinanza o di altri sussidi, residenza nel Comune, permesso di soggiorno – e la compilazione online richiede un minimo di competenza oltre che almeno una connessione decente e un dispositivo digitale. I Caf sono aperti, ma come si eviteranno gli assembramenti? Suggeriamo all’assessore di ricorrere anche alle sue associazioni, quelle che sono state sospese, per facilitare le centinaia di rom che non potrebbero mai fare la domanda. In effetti, a tre giorni dalla scadenza, compare un volantino di una di queste associazioni, e noi veniamo invitati a farci da parte, non essendo di nostra competenza la faccenda. Ci viene anche detto che abbiamo sbagliato a istituire un centralino, che di queste cose si occupa il comune di Napoli. Certo, ma dopo un mese di quarantena. Comunque, il nostro centralino non si lascia scoraggiare e compila almeno un centinaio di domande, tutte quelle che può. Tuttavia molte famiglie sono escluse per mancanza di requisiti e alla fine le domande in tutta la città risulteranno inferiori alle aspettative. I giornali locali, nella loro beata ignoranza di ogni dato di realtà, scriveranno che forse tutti questi poveri non esistono.
Nel frattempo, la BAM, così come gli altri gruppi cittadini, continua a lavorare e copre oltre mille persone perché comunque i buoni spesa arriveranno dopo qualche giorno e in molti casi non basteranno. Scopriamo poi che già dal primo aprile si potrebbe chiedere il pacco alimentare al Comune con una procedura più semplice, ma che solo un funzionario interno è stato abilitato a farla. Il nostro centralino si mette all’opera dal 10 aprile per cercare di avviare quante più persone possibile a quella procedura. A tre settimane dalla richiesta, ci sono famiglie non hanno ancora ricevuto niente. Intanto il 18 aprile si riaprono le domande per il bonus spesa. Stessi requisiti di prima.
Il comune di Napoli non ha minimamente sostenuto il lavoro che fanno e continueranno a fare le brigate e i gruppi di mutuo sostegno in città, oltre alle innumerevoli piccole reti di quartiere in cui, letteralmente, i più ricchi danno ai più poveri, come mai si era visto prima e con notevole anticipo rispetto alle misure governative e allo stanziamento dei fondi. Mentre persino gli assistenti sociali ci chiedono aiuto per assistere le famiglie con maggiori difficoltà, le comunicazioni ufficiali del Comune assomigliano sempre più a una sorta di propaganda in cui questi buoni amministratori ci tengono a dire quanto hanno a cuore i propri cittadini. Sono gli stessi amministratori che, invece di far tesoro delle pratiche di cittadinanza attiva sorte spontaneamente in questi mesi, si mettono in una sorta di competizione con chi evidenzia con la sola azione solidale tutta la lentezza e la confusione della loro gestione. Per non “sparare sulla croce rossa”, e per non perdere tempo, non li abbiamo considerati più di tanto, ma riteniamo offensivo per la nostra intelligenza e per il bene comune continuare a reputare credibili gli amministratori che governano questa città. (emma ferulano)
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