Da qualche anno la frenesia del consumo s’impadronisce di Napoli già qualche settimana prima del Natale. I black friday si susseguono scandendo con nuovi rituali l’attesa delle spese. La città è attraversata dai torpedoni e torme di turisti intasano i decumani. Con difficoltà riesco a superare corso Umberto lasciandomi la statua di Garibaldi sulla sinistra. I check-point con camionette e volanti a piazza Principe Umberto sembrano segnare la fine del mondo e il principio di una nuova realtà (il “quarto mondo” definito da De Luca) dove si governa con altri codici e linguaggi. Lascio il motorino a via Torino, prendo via Firenze e attraverso il mercato senegalese di via Bologna che resiste alle pressioni quotidiane dei vigili urbani. Quell’area mercatale riconosciuta dall’amministrazione Bassolino dopo anni di lotte, oggi è minacciata dagli interessi economici di Grandi Stazioni, perché proprio in quella strada sbuca una delle uscite del megaparcheggio sotterraneo di piazza Garibaldi. Nessuno si è posto il problema di quali e quante vite avrebbe travolto una decisione così semplice.
UN QUARTIERE POLVERIERA
La stazione centrale è uno dei punti strategici del processo di “riqualificazione” in corso. Tutta l’area è stata coinvolta da enormi investimenti (circa quaranta milioni di euro) che dal 2015 stanno trasformando la zona ferroviaria in qualcosa di molto simile a un centro commerciale, con catene di negozi all’interno e negli snodi principali per raggiungere i collegamenti metropolitani.
Esco sulla piazza e mi accorgo che i lavori di pavimentazione sono stati completati, ma l’enorme spazio è ancora recintato da una ragnatela di ferro. Un campo di pallacanestro, alcuni attrezzi per fare esercizi a corpo libero e aree verdi sembrano piombati da un altro pianeta in mezzo a quel reticolo di vie che attraversano la piazza. In realtà, queste attrezzature sono stati gli unici risultati della concertazione tra i responsabili del progetto e le richieste dei comitati del quartiere, che si sono dovuti difendere nuovamente da interessi esterni su quote enormi di spazio collettivo.
Il quartiere del Vasto è schiacciato tra due centri di forze, quello ormai inerte del Centro direzionale – un non-luogo che si anima solo negli orari d’ufficio, per scomparire all’imbrunire come un fantasma – e dal 2015 quello creato dalle economie coloniali di Grandi Stazioni. Queste tensioni sfibrano quotidianamente le vite degli abitanti, che con difficoltà riescono a trovare un equilibrio sostenibile.
Reso ghetto dalla noncuranza delle amministrazioni precedenti (a partire da quella di Bassolino), il quartiere è divenuto un serbatoio di marginalità prima con la permanenza negli alberghi degli sfollati del terremoto, poi con la segregazione dei migranti nei centri di accoglienza concentrati in pochi chilometri quadrati. Una polveriera di miseria ed emarginazione continuamente strumentalizzata dalle retoriche securitarie che dominano il dibattito politico. Continuamente si espropria il quartiere della possibilità di determinare il proprio destino e restano inascoltate le proposte di progettazione condivisa, che si sforzano di trovare soluzioni per decongestionare quel poco di spazio pubblico lasciato alle comunità.
L’ARCHITETTURA OSTILE
Accelero il passo, il mio treno parte a breve. Appena metto piede in stazione mi rendo conto che la realtà distopica della piazza continua all’interno della ferrovia. Personale in divisa di Trenitalia e Polfer presidia le porte trasparenti e automatiche poggiate su spesse basi di cemento. Ora per avvicinarsi ai binari bisogna mostrare i documenti o il biglietto del treno. Un agente mi rassicura: «Così state più tranquilli perché i barboni non possono entrare…». Il pacchetto sicurezza è molto ambizioso, almeno così si legge nella relazione di Ferrovie dello Stato, che segue le linee maggiormente usate negli ambienti sorvegliati: “Nella stazione di Napoli Centrale è attiva una control room che assicura il presidio ininterrotto della stazione attraverso il servizio di vigilanza e la supervisione degli impianti di sicurezza. È inoltre presente un servizio di vigilanza che assicura il presidio delle aree, la rilevazione e la segnalazione delle non conformità, gli interventi di security. Oltre a questo, tutela la gestione dell’emergenza, unitamente al personale di manutenzione, per il primo intervento e il supporto ai soccorritori esterni. A supporto e ottimizzazione delle Risorse umane, si associano gli impianti di sicurezza. Infatti, nella stazione, sono stati realizzati: impianti di videosorveglianza e videoregistrazione digitale; impianti di controllo accessi e antintrusione; sistemi di rilevazione incendi. Il sistema è organizzato in stretto coordinamento con la Polizia Ferroviaria per garantire così l’immediata escalation della gestione delle criticità in essere”.
Mi trovo di fronte a un progredito e sfavillante “impianto antintrusione”, tra le strumentazioni di questa nuova branca della progettazione, che qualcuno ha definito “architettura ostile”. Un ampio catalogo di mezzi utili per la “guerra ai poveri”, combattuta quotidianamente con scienza tecnica e giuridica. Condotta con strategie e interazioni diverse, a volte con l’energia cinetica del manganello, altre con la forza della norma penale e altre ancora con i progetti di sedute singole, spuntoni medievali dinanzi alle vetrine dei negozi e sotto ai ponti per impedire di sostare e sdraiarsi, gabbie di ferro intorno alle panchine per evitare di usarle.
Accanto a questi mezzi ultramoderni, si costruiscono barriere e confini fisici che segnano inequivocabilmente la zona dei garantiti da quella dei miserabili. Non rappresentano solo un dispositivo di controllo, perché la conformazione dello spazio non è mai neutrale ma risponde a un modo preciso di intendere il mondo e di riprodurre le relazioni sociali. In questa idea di territorio si tutelano la velocità degli spostamenti e dei consumi, la proprietà e la libertà dei soggetti che rientrano nei “parametri di garanzia”, come traspare dalle dichiarazioni di Federconsumatori Campania: «Ogni misura che aumenti i controlli e la sicurezza nella Stazione Centrale di Napoli per noi è solo un bene…».
Il modello di security della stazione lascia trasparire anche l’altra novità degli attuali sistemi di controllo, ovvero l’interazione tra forze dell’ordine e vigilanza privata. I nuovi “assistenti alla security” oltre a presidiare i posti più sensibili della stazione, saranno di servizio all’ingresso dei binari più affollati e potranno pattugliare i treni regionali (scelta precisa perché oltre ai pendolari campani su quei treni si muovono le fasce dei senza-reddito). Questi moderni sceriffi non hanno potestà coercitive ma lavoreranno in stretta collaborazione con la polizia di stato, una sinergia che emerge anche dalla programmazione degli incontri mensili tra la Polfer Campania e i responsabili regionali delle Ferrovie dello Stato.
Nonostante i reati continuino a diminuire (l’ultima relazione del ministro degli interni del 2018 riafferma la tendenza degli ultimi anni: gli omicidi diminuiscono del 12,2%, i tentati omicidi del 16,2%, le rapine del 20,9%, i furti del 15,1%, le violenze sessuali del 32,1%, l’usura del 47%), lo stanziamento di fondi pubblici per “l’insicurezza” sono sempre presenti tra le voci di bilancio. L’era dello “stato penale” schiaccia la visuale non solo del mondo del diritto, attraendo in questa visione miope anche l’architettura, ridotta a strumento per fronteggiare le “nuove” calamità: poveri e abusivi.
Ancora stranito dalle trasformazioni dell’ambiente, finalmente raggiungo il binario 2. Lì sembra tutto fermo. Il treno è sempre quello che prendevano i miei genitori negli anni Settanta, impiega un’ora e tre quarti per circa sessanta km di ferrovia ed è in ritardo per un guasto a Cancello Scalo, forse si attende una corriera sostitutiva. Alcune cose non cambiano mai. (luigi romano)
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