Anche stamattina il nonno si sveglia circondato dalle urla dei suoi nipoti e di molti altri bambini che suoi non sono. Avrebbe volentieri dormito ancora un po’, di notte è dura prendere sonno con quelle vetrate enormi da cui filtra la luce fioca di un lampione inopportuno. Per quanto abbia provato a coprirle con teli di qualunque dimensione e fattura, non c’è niente da fare, quel piccolo fascio di luce è implacabile. Anche spostarsi è impossibile: sono in sette nella stanza e i bambini una volta addormentati diventano sassi.
Il freddo è insistente, anche se sono riusciti a ottenere i riscaldamenti accesi di notte, e in genere sono sufficienti, basta dotarsi di qualche strato in più. Così non c’è nient’altro da fare che cedere alle urla, alzarsi e iniziare la giornata, constatando quel dolorino alla gamba destra che anche oggi lo accompagnerà senza dargli tregua.
Beve un bicchiere d’acqua a metà e decide di prendersi un caffè al bar tabacchi di fronte. Fruga nel vecchio pantalone e trova qualche spicciolo. Si pettina i folti capelli grigi e i baffoni sfruttando il riflesso sulla vetrata. Il bagno è sempre occupato, troppa gente lo deve condividere. Si avvia verso l’uscita attraversando il grande atrio gelido. Ci sono altri uomini già vestiti, seduti a fumare e a giocare con i telefonini, non capisce se non sono mai andati a dormire o se si sono alzati all’alba. Gli sembrano drogati da lucette e suoni metallici. Lui è troppo vecchio per queste cose ma i suoi nipoti meriterebbero di averle, come tutti i loro coetanei. Chissà, magari salta fuori qualche affare in provincia…
Osserva le donne, nervose, lente, in pantofole, sempre con il mal di testa e indaffarate a separare vestiti e pannolini, circondate dai loro bambini: i piccoli in carrozzina, i grandi a rincorrersi e aggrapparsi (ma non dovevano già essere a scuola?). Mettono a posto i contenitori di acciaio dove quasi tutti i giorni preti, suore, volontari o chissà chi, porta da mangiare per tutti. A volte si sente fortunato perché arriva qualche zuppa come si deve, fumante e con la carne, ma quasi sempre arriva la pasta. Pasta condita in tutti i modi, tutti i santi giorni. Ma come fanno gli italiani? All’inizio, e per un lungo periodo, è stato costretto a mangiarla, con grande senso di gratitudine per carità, ma senza piacere né gusto. Poi per fortuna sua moglie si è procurata un frigorifero e una piastra elettrica. Così sono riusciti a passare un Natale quasi come si deve, così come si predispongono a passare la Pasqua, che pure ha la sua importanza. Ora possono cucinare qualche piattino delizioso e dal sapore forte, e persino invitare amici a tavola senza fare brutta figura. Al momento è questa casa loro, tanto vale ricreare un ambiente accogliente e dignitoso, anche se quella vera, perduta nell’incendio ormai sette mesi fa, non gliela restituirà più nessuno. Avevano anche un piccolo orto che i nipoti avevano imparato a curare, qualche gallina e un po’ di spazio per il maiale. Niente a che vedere con la natura della sua infanzia in Serbia e con i villaggi in Francia e Germania dove ha vissuto, ma era comunque qualcosa.
Un lampo di nostalgia e fatica gli attraversa lo sguardo, ma come arriva così passa. L’importante è essere tutti vivi, soprattutto i bambini. In fondo al corridoio qualcuno già sta litigando, ma per che cosa?
Gli vengono in mente le ragazze che lavorano nel ristorante al piano di sopra, che hanno un’aria stanca, sempre di corsa, con poco tempo, le borse pesanti e un abbigliamento trascurato. Fermatevi, vorrebbe dirgli, e a volte le ferma, fa il baciamano, un complimento elegante, aggiusta un bavero o un polsino in disordine, strappa qualche sorriso e promesse di supporto in operazioni giuridiche, burocratiche piccole o grandi che siano. A volte sale su per andarle a trovare, soprattutto se c’è una festa, un po’ di musica, porta con sé sua moglie che si veste con cura, e insieme si siedono a fare due chiacchiere con ospiti sconosciuti ma curiosi. Sorseggiano una birra, si divertono anche.
Apre la porta dell’Auditorium per uscire. Il semicerchio in cemento del cortile è più luminoso del solito, quasi abbagliante. Guarda a terra: è tutto bianco, anche le panchine, tutto ricoperto da venti centimetri di neve. Neve vera, pulita, lucente. La strada che lo separa dal bar tabacchi è un bianco sentiero in cui si sprofonda. I rami spogli e alti dei tigli oggi sono maestosi. C’è un silenzio irreale rotto solo dalle grida felici dei bambini. In trent’anni a Napoli non ha mai visto nulla del genere, mai gli era sembrata così simile al paese dei suoi genitori, un giornata di inverno uguale a quelle di quando era piccolo. Ecco perché i bambini non sono andati a scuola e sono più eccitati del solito.
Il sole splende e il freddo secco è molto più piacevole dell’umidità del teatro. A questo punto, non si può fare nient’altro che costruire una famiglia di pupazzi di neve e impastare qualche palla da tirarsi addosso con i bambini. (emma ferulano)
Piccola storia liberamente ispirata a una giornata qualunque – resa straordinaria dalla neve – di uno dei più anziani dei cinquanta abitanti rom di Cupa Perillo, che dall’incendio del campo il 27 agosto scorso vivono ancora oggi, 19 marzo, nell’Auditorium di Scampia, avendo attraversato ormai tutte le stagioni.
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