Con una fascia e una coccarda tricolore in petto, Franca Vannini ha annunciato la sua nomina a nuova sindaca del quartiere Puntasacra di Roma, il toponimo già noto con il famigerato nome di Idroscalo di Ostia. Nell’intervista rilasciata a sua nipote Silvia Fontana, giovanissima attrice e giornalista del celebre TG dei bambini di Radio Idrosqalo, Vannini ha spiegato che gli abitanti del posto presto nomineranno anche assessori e consiglieri comunali, fino a comporre un’intera giunta. L’emittente locale ha trasmesso la diretta Facebook dell’intervista, dove la nuova sindaca ha ribadito che il quartiere continuerà a far parte del X Municipio, ma finalmente i suoi abitanti vedranno riconosciuti gli stessi diritti che hanno gli abitanti degli altri quartieri di Roma. A volte una dichiarazione di indipendenza è l’unico modo per ottenere un po’ di rispetto.
È innegabile che l’amministrazione che teoricamente avrebbe la giurisdizione sull’area abbia ignorato anche le più elementari forme di tutela degli abitanti, i quali, seppur periferici, sono tutt’altro che marginali. Già abituati a togliersi da soli la spazzatura dalla piazza centrale affittando un furgoncino, a riparare le strade a mani nude, a ripulire la spiaggia ogni volta che una troupe cinematografica la sceglie come sfondo di qualche serie poliziesca, a gestire i rischi di allagamento delle strade dovuti alla sconsiderata costruzione del Porto Turistico di Roma proprio lì accanto, durante la quarantena gli abitanti si sono trovati a dover organizzare da soli anche la distribuzione di alimenti alle famiglie più povere. È ragionevole dunque la decisione di formalizzare l’indipendenza di fatto da Roma, celebrando l’evento anche con un cambio di nome. Il nome Idroscalo infatti è troppo legato a un immaginario di criminalità e degrado continuamente mobilitato contro i suoi abitanti. Il quartiere è stato ribattezzato Puntasacra, dal titolo del bel documentario di Francesca Mazzoleni, vincitore del prestigioso festival internazionale Visions du Réel. Come il nuovo video di Margherita Vicario, il documentario dà un taglio alla solita narrativa del disagio e della criminalità sul litorale, mostrando il quartiere auto-costruito come spazio di libertà, emancipazione e autonomia, in particolare per i settori di popolazione più castigati nelle nostre città: l’infanzia e l’adolescenza.
La dichiarazione della nuova sindaca crea confusione tra i responsabili dell’ex giunta del municipio. Per i politici in carica, infatti, il quartiere era soprattutto una risorsa per suscitare brividi a buon mercato. Dichiarare un imminente intervento all’Idroscalo, infatti, è il modo più semplice per presentarsi come eroi dell’Ordine e della Legge senza bisogno di far nulla nel mondo reale. Cedere le responsabilità formali della zona ai suoi abitanti significherebbe migliorarne la qualità della vita, ma sottrarrebbe ai politici un pretesto valido per gridare periodicamente all’emergenza e annunciare progetti irrealizzabili. Le loro reazioni per ora somigliano a una specie di negazione compulsiva della realtà. Il Consiglio straordinario di quartiere, celebrato il 17 settembre, poteva per esempio reagire alla dichiarazione della nuova sindaca di Puntasacra riorganizzando la raccolta della spazzatura, introducendo qualche linea di autobus per collegare il quartiere al resto di Ostia; poteva mettere in sicurezza la strada d’accesso come annunciato a gennaio, far partire i lavori di riparazione della scogliera previsti per luglio, addirittura pianificare la costruzione del famoso argine di palancole sul Tevere disposto da un’ordinanza del 2010. Hanno deciso invece di ripetere il solito simposio rituale, mantenendo a distanza gli abitanti, addirittura celebrando il consiglio in videoconferenza, con la scusa del Covid-19. È stato l’unico consiglio celebrato online dopo la fine della quarantena.
I tre abitanti del quartiere invitati alla riunione hanno avuto il solito ruolo testimoniale, poco più che una nota di folklore; mentre i rappresentanti di Municipio, Comune, Regione, Autorità di Bacino, Demanio dello Stato, Protezione Civile, Vigili Urbani, Areti SpA hanno discusso come sempre del più e del meno, solo per ribadire ancora una volta che nessuno sa davvero di chi sia la responsabilità sul quartiere, ma che si può lo stesso annunciare tutti insieme il prossimo avvento di una Legalità non meglio definita. Questa divinità luminosa di cui ognuno vuol essere il messia viene evocata con generiche immagini di ruspe, bonifiche, parchi fluviali, palazzine scintillanti di colori vivaci. Simboli iconici da città ideale, sempre rappresentati come vuoti, privi di abitanti, a segnalare il desiderio poco represso di far sparire dalla mappa l’imbarazzante presenza di esseri umani in carne e ossa sul territorio. È meglio presentare gli abitanti come i conquistadores presentavano gli indigeni americani: disperate anime perdute da salvare anche a prezzo dello loro stessa vita, o pericolosi depravati da eliminare o da rinchiudere in riserve. L’irrilevante simposio online non era neanche terminato, infatti, che due membri della giunta hanno annunciato le decisioni ancora non prese con un comunicato stampa (non potevano conoscerle, e una non era nemmeno presente alla videoconferenza). E giù a proclamare l’arrivo di nuove valorizzazioni, riqualificazioni e stanziamenti di fondi, completamente sganciati da ogni criterio di realismo. L’autoproclamazione di Franca Vannini come sindaca di Puntasacra risulta molto più credibile.
“Ho parlato con alcuni cittadini residenti – diceva uno dei due comunicati – e mi hanno detto che siamo l’unica speranza per l’Idroscalo. Siamo dalla parte della legalità e della bellezza”. Nessun residente ha mai pronunciato una frase del genere, naturalmente: sarebbe ridicolo per chiunque viva lì nutrire ancora speranze di questo tipo. L’altro comunicato ribadiva invece la disponibilità dei dieci milioni di euro già annunciati la scorsa primavera dall’assessore Luca Montuori, per “la riqualificazione totale dell’area, la valorizzazione ambientale e la costruzione di nuovi alloggi di edilizia sociale nelle zone circostanti”. Aveva commosso molti residenti, allora, il virtuosismo retorico dell’assessore, in grado di annunciare la costruzione di centoventisei alloggi per quasi mille persone (se non duemila), e di rassicurare amorevolmente le future vittime di uno sgombero. Non allarmatevi! – aveva detto allora – ma vi manderemo via: “quella zona non può essere abitata”. Più che allarme, queste dichiarazioni suscitano ilarità: il quartiere non solo è abitato da mezzo secolo, ma lo sarà per almeno altrettanto. Il progetto annunciato con tanto slancio non fa che riproporre lo stesso programma di delocalizzazione previsto dieci anni fa per il Waterfront dell’ex sindaco Alemanno, e cioè i cinque chilometri di hotel e casinò che erano il cuore del romanzo Suburra. Ricordiamo che Alemanno aveva iniziato a implementare questo progetto nel 2010, demolendo trentacinque case scelte più o meno a caso: sono passati dieci anni, e gran parte degli abitanti sfrattati sono ancora nei residence di emergenza abitativa. Paradossalmente, quel piano almeno includeva un processo partecipativo con gli abitanti, adesso neanche menzionato.
Il “nuovo” progetto, tra l’altro, pretende di rimuovere persone che vivono in un’area a rischio di esondazione, per trasferirle in un’area anch’essa a rischio di esondazione. Una delle aree scelte per le nuove costruzioni ha la stessa categoria di rischio idrogeologico R4 che ha il quartiere da demolire, l’altra non è neanche di proprietà del Comune. In più: i fondi previsti possono essere spesi solo per uno sgombero, ma non sono sufficienti a ricollocare in condizioni dignitose le centinaia di persone che abitano nell’area. Un trasferimento fatto bene richiederebbe servizi sociali, urbanizzazione delle nuove aree, centinaia di appartamenti, servizi, un argine sul Tevere: altro che dieci milioni di euro. Ci vuole poco a capire quale sia in realtà l’idea: non fare nulla ancora per mesi, aspettando che l’inverno porti allagamenti alle prime piogge. Si potrà così dichiarare l’emergenza e giustificare un nuovo sgombero come quello del 2010. A quel punto saranno disponibili non solo i dieci milioni del bando regionale, ma anche cinque milioni già stanziati dalla sindaca Raggi – casualmente, il costo dell’ultimo sgombero – coronando così il vecchio progetto di liberare l’area dagli indesiderabili per dare via libera all’estensione del Porto Turistico.
E così gli abitanti perderanno Puntasacra e otterranno, se va bene, appartamenti costruiti in fretta, a risparmio, e solo per i più fortunati; alla peggio, posti provvisori nei residence. Fino alla prossima emergenza. Un’operazione così insensata non si potrebbe fare senza un’opinione pubblica pronta ad accettare qualunque cosa; bisognerà rispolverare il vecchio repertorio che aliena il quartiere dal resto della città, che disumanizza i suoi abitanti, impedendo loro di rivendicare qualche diritto. È lo stesso sistema usato dalla giornalista di Repubblica Federica Angeli, nei cui reportage sulle periferie lo stato per definizione è “assente”, e quindi regnano mafie, miseria e criminalità. Magari fosse assente! Pare invece che ci siano già state riunioni a Ostia per stendere il nuovo copione, poco più di un calco di quello vecchio. Si ingaggia qualche giornalista per fargli inanellare storie criminali di vecchia data abbinate a qualche descrizione frettolosa di degrado, pozzanghere e mura scrostate, magari con un titolo su Pasolini, la banda della Magliana o le favelas. Lo vedremo presto: i più disincantati tra gli abitanti sono pronti a scommettere che già in ottobre inizieranno a uscire i primi reportage, costruiti ad arte per associare il quartiere a chissà che racket, o a Mafia Capitale, in modo allusivo, generico, quasi subliminale. Non c’è bisogno di essere sindaci per capire che è più facile inscenare la battaglia epica Legge vs. Mafia sgomberando una decina di case auto-costruite, piuttosto che far davvero rispettare le normative agli imprenditori miliardari degli stabilimenti balneari, ai costruttori che danno ordini al Municipio, ai funzionari che prendono mazzette per assegnare gli appalti, alle cooperative che si mettono d’accordo con i loro concorrenti per falsare le gare (è il panorama che ha descritto Salvatore Buzzi nella sua ultima intervista). Perché perdere tempo con queste complicazioni, quando basta immaginare una bella “valorizzazione”?
A chi non ci vive sembrano questioni marginali. Ma Il rapper italo-cileno Chiki Realeza, che abita nel quartiere e che appare nel film Puntasacra, arriva al punto di citare Victor Jara: «Nun cambia gnente se parlamo der Cile o de Ostia – dice –. Ce rubbano ‘a tera, ‘o spazio; la storia è sempre ‘a stessa». Potrebbe essere il prossimo assessore all’urbanistica? (stefano portelli)
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