Si riapre, di fatto, il processo per la morte di Davide Bifolco, il diciassettenne del Rione Traiano ucciso il 5 settembre del 2014 da un colpo di pistola sparato dall’agente Giovanni Macchiarolo, al termine di un inseguimento tra la volante “Chiaia” del nucleo radiomobile dei carabinieri di Napoli e un motorino, sul quale il giovane viaggiava assieme ad altri due amici. I tre scappavano, dal momento che il motorino aveva l’assicurazione scaduta. Gli agenti li tallonavano, credendo di aver avvistato sul mezzo il latitante Arturo Equabile.
L’udienza di questa mattina, blindatissima, è durata soltanto pochi minuti. In aula, davanti al gip Mancini, c’erano solo le parti legali, oltre a qualche giornalista riuscito a intrufolarsi facendola sotto al naso agli agenti della Digos. Fuori, la famiglia Bifolco, allontanata dopo l’ultima udienza, quando qualcuno tra loro reagì in maniera un po’ brusca alla richiesta di condanna (tre anni e quattro mesi) pronunciata dal pm. Ancora, all’esterno del palazzo di giustizia, un centinaio di persone in presidio, in attesa di una sentenza che si annunciava prevista intorno alle dodici. E invece dopo nemmeno una decina di minuti, a sorpresa, i legali della famiglia Bifolco escono dall’aula. Vanno subito a cercare i genitori di Davide, per comunicargli l’accaduto, e nei corridoi antistanti l’aula 115 il clima si fa subito di grande soddisfazione. Prima ancora di dare il via all’udienza, infatti, il gip aveva comunicato ai legali di aver accolto le richieste di integrazione probatoria presentate dalla parte civile, e – in sostanza – di non poter prendere una decisione su questo omicidio sfruttando le documentazioni acquisite nel corso del rito abbreviato.
In particolar modo, il gip, al fine di fare chiarezza su un caso che ha ancora troppi punti oscuri, ha programmato due ulteriori udienze, durante le quali verranno ascoltati il consulente balistico convocato a suo tempo dal pubblico ministero, e due dei protagonisti delle vicende di quella notte: l’appuntato Giosuè Del Vecchio, compagno di volante di Macchiarolo, e il maresciallo Antonio Sarno, quello che per primo riconobbe (o, almeno, comunicò via radio di aver riconosciuto) sul motorino, Arturo Equabile.
Le testimonianze dei due carabinieri saranno decisive, per esempio, per risolvere alcune contraddizioni rilevanti che il procedimento si trascina dietro fin dall’inizio. Nel caso di Del Vecchio, sulla dinamica dello sparo: l’agente afferma, infatti, di aver visto – immediatamente dopo aver sentito il colpo di pistola – il collega Macchiarolo in posizione eretta, solo, smentendo implicitamente l’ipotesi di un suo inciampo su un marciapiede, e ancor più quella di una colluttazione, che Macchiarolo sostiene invece di aver avuto, con uno dei tre ragazzi; al maresciallo Sarno, con ogni probabilità (ma queste sono solo ipotesi, in attesa che venga resa pubblica l’ordinanza del giudice), verrà chiesto conto della sicurezza con cui, durante l’inseguimento, lo stesso affermava di aver riconosciuto Equabile sul motorino, in luogo di Davide Bifolco; al consulente balistico, infine, ci saranno da chiedere delucidazioni su una perizia effettuata in maniera opinabile, in alcuni punti altamente contraddittoria, e soprattutto svolta senza l’ausilio del bossolo, sparito misteriosamente dalla scena del delitto. Ancora una volta, tuttavia, il giudice non si prenderà la briga di andare a fondo a questa vicenda, non avendo convocato un testimone chiave che afferma di aver visto uno dei carabinieri rimuovere il proiettile da terra, subito dopo lo sparo.
La vera importanza di questa ordinanza, in ogni caso, sta nella possibilità, ora che le richieste della parte civile sono state accolte, che il capo di imputazione dell’omicidio Bifolco possa cambiare, trasformandosi da colposo a volontario. Una decisione che il giudice, dopo aver accolto le integrazioni probatorie, potrebbe prendere, successivamente alle due udienze fissate per il 19 novembre e per l’11 dicembre prossimo. Due giornate che potrebbero cambiare completamente gli scenari di un processo la cui strada sembrava ormai segnata. (riccardo rosa)
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