da: Levante Roma
In via Gian Maria Volontè 9 in uno stabile con nulla di particolare, una storia di lotta e riscatto si cela tra i palazzi di un quartiere dormitorio costruito insieme ad uno dei centri commerciali più grandi del centro Italia, Porta di Roma.
Trentuno famiglie, sessanta adulti, tra cui cinque over sessantacinque e diciannove bambini hanno trovato casa forzando la porta, nel 2007, dopo che il palazzo era abbandonato da due anni. Ma per cosa era stato costruito?
L’idea era fare uno stabile con affitto agevolato per anziani, con più di sessantacinque anni, senza risorse per affittare una casa a prezzi di mercato. Con dei fondi regionali veniva finanziato il 90% del costo, il restante 10% da Bnl, il tutto gestito dalla cooperativa Urania 2000 creata apposta per questo progetto. L’edificio venne inaugurato e le case messe in affitto a seicento euro per ogni appartamento di quarantadue metri quadri, perché il prezzo doveva essere agevolato, ma non troppo forse. Infatti parliamo di un prezzo appena al di sotto delle offerte di mercato nello stesso quartiere, nonostante il progetto sia figlio di un investimento pubblico volto ad affrontare la problematica abitativa di chi, con la propria pensione, non riesce a pagarsi un affitto a prezzo di mercato. Dopo un paio di anni di uso venne lasciato vuoto, siamo nel 2005.
Qui inizia il primo mistero: un progetto pubblico, sociale, per aiutare persone in difficoltà, perché costava così tanto? Perché venne lasciato abbandonato?
Le domande si moltiplicano se arriviamo ai giorni nostri. Nel 2018 viene messo all’asta con base un milione e trecentomila euro; andata a vuoto, se ne fa un’altra un mese fa: il palazzo intero viene acquistato per quattrocentocinquantamila euro. Solo Regione Lazio aveva investito il triplo nella costruzione. Ma chi ne è diventato il proprietario? A suo dire, nemmeno la regione lo sa.
A Roma, il coinvestimento pubblico-privato nella costruzione dell’edilizia agevolata non è una novità: in vari piani di zona si è visto questo nuovo modello di costruzione dell’edilizia popolare, con diversi episodi accertati di corruzione. Complessivamente quella che stiamo vivendo è una lenta erosione del patrimonio immobiliare pubblico a canone agevolato. Di questi giorni anche la notizia del progetto di trasformazione di case popolari in “cohousing sociale”, quindi per fasce ISEE più alte, a un affitto pertanto più elevato.
Il contesto, dunque, è quello di uno Stato con uno tra i più bassi tassi di edilizia popolare in Europa, gestite in forma opaca, come uno tra i tanti settori dove estrarre denaro in modo più o meno legale a discapito però delle fasce sociali più deboli.
In questo panorama si inseriscono i movimenti della lotta per la casa: l’occupazione di via Gian Maria Volontè, avvenuta nel 2007 rispondendo all’esigenza abitativa di trentuno famiglie, creando quindi legami solidali e mutualistici che permettono la gestione dal basso dello stabile, ha avuto anche la capacità di mettere sotto i riflettori una dinamica consolidata a Roma, quella di utilizzare fondi pubblici per il profitto di pochi.
Lo stabile venne occupato in primis per fare la battaglia sul prezzo di questa edilizia pubblica. Per due mesi gli occupanti rimasero solo nell’androne del palazzo. Lo scopo della lotta era di ottenere un ribasso rispetto ai prezzi assurdi che avevano questi appartenenti. L’istanza non venne ascoltata, e di fronte all’alternativa di lasciare di nuovo il posto all’abbandono vennero occupati gli appartamenti da famiglie in emergenza abitativa.
La Regione Lazio non sembra cogliere il messaggio che la comunità di via Gian Maria Volontè lancia da anni. Lo stabile è stato venduto e, anche se non ci è dato sapere a chi, ci è dato, però, immaginare che il rischio dello sgombero e della messa a profitto è ogni giorno più alto. Vi è anche la questione della destinazione d’uso di questo stabile, che o viene cambiata in tempi brevi (procedimento non semplice) o l’asta decadrà. È quindi difficile ad oggi capire quali siano i piani della Regione per questo palazzo.
Massimiliano Valeriani, assessore regionale all’abitare, continua a rimandare i chiarimenti e gli incontri richiesti dagli occupanti con la nuova proprietà. Si potrebbe discutere di valutare l’ISEE degli occupanti, e tenendo conto della natura di edilizia agevolata, proporre affitti congrui.
È inoltre importante specificare come molte delle informazioni che riportiamo, compresa la percentuale di fondi pubblici utilizzati per costruire lo stabile, siano state ottenute grazie a iniziative di mobilitazione e pressione nei confronti di rappresentanti della Regione Lazio che affermavano di non conoscere lo stato e la storia dello stabile di via Volontè. Non a caso, il palazzo rientra nella lista dei venti stabili da sgomberare nella città di Roma, a difesa dei quali il 22 giugno c’è stata una partecipata manifestazione cittadina. (redazione levante)
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