La classe operaia dovrebbe andare in paradiso anche solo per il fatto di doversi alzare ogni mattina a orari improponibili. Un turno alle sei può voler dire tirarsi giù dal letto alle quattro/quattro e mezza, e considerando il freddo di questi tempi, non è certo piacevole.
Matteo abita a Nola, e questa mattina si è alzato alle tre per aspettare Raffaele, suo compagno di reparto all’assemblaggio dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. Raffaele ha ritardato, «e così sono rimasto al gelo come un fesso fino alle quattro e un quarto». I due poi si sono infilati in macchina, e via di corsa per raggiungere gli altri compagni, perché quella che sta iniziando non è una giornata qualunque. C’è lo sciopero dei metalmeccanici, e al polo industriale di Pomigliano i picchetti all’esterno delle fabbriche cominciano già dalle cinque. Si protesta contro il piano industriale promosso dall’amministratore delegato della Fiat Marchionne, e «contro l’impostazione che permette all’azienda di scegliere: o lavori alle condizioni che decidono loro o te ne resti a casa, anzi magari sono io a spostare la fabbrica in qualche altra parte d’Europa, e chi si è visto si è visto».
Protestano, però, anche i lavoratori degli altri stabilimenti, non solo quelli della Fiat, come quelli dell’Alenia e dell’Avio (aeronautica e aerospaziale). Tutti insistono sulla necessità di un fronte comune, dal momento che quello che è successo oggi con Marchionne, domani può accadere ovunque, «proprio perché il concetto stesso di contrattazione all’interno della fabbrica rischia di essere cancellato».
All’arrivo agli stabilimenti, si incontrano un centinaio di operai divisi in quattro-cinque presidi, all’esterno dell’Alenia, dell’Avio, della Fiat e agli sbocchi di due strade di accesso alla zona industriale. Il clima è piuttosto tranquillo, abbondano sciarpe e felpe con la scritta FIOM, a caratteri giganti, quasi sempre rosse. Qualcuno scherza, mimando i calci di rigore di Napoli-Inter, di appena qualche giorno fa. Qualcun altro si perde in discorsi più seri, sulla nuova possibile discarica a Quarto e sul problema munnezza. Sembra, tuttavia, che la preoccupazione principale sia il vento gelido che continua a soffiare inclemente. Pochi sono per ora i cosiddetti “crumiri”, che peraltro si lasciano convincere facilmente e desistono dalla volontà di entrare a lavorare. Alla fine, all’Alenia, ad entrare saranno soltanto in tre. «A volte ho visto cose ben peggiori», racconta Matteo. «Gente che per entrare a lavorare il giorno dello sciopero veniva in fabbrica due-tre ore prima del turno, stava chiusa là dentro senza far niente, ma l’importante era non incontrarci e non fare tarantelle. Altri che se ne scappavano per le terre, facevano il giro della fabbrica e cercavano il cancello libero senza neanche mettersi scuorno. Ma quando succede noi li vediamo bene, e appena escono dal turno li abboffiamo di maleparole».
Un blocco praticamente invalicabile è quello all’inizio del grande viale che conduce alle fabbriche. Saranno le sette, ormai, e gli operai che partecipano ai picchetti sono molti di più dei cento temerari che si erano presentati ai cancelli fin dalle cinque del mattino. Chi vuole entrare deve lasciare l’auto e proseguire a piedi. «Tornate a casa, oggi è sciopero: non si lavora!», gridano gli operai alle auto che vorrebbero continuare il cammino, rimandandole indietro con gesti decisi da vigile urbano nel traffico dell’ora di punta. I colletti bianchi, che hanno parcheggiato le vetture all’esterno, procedono spesso in silenzio, prendendosi una bella dose di fischi e urlacci, mentre sfilano a testa bassa facendo finta di ignorare gli operai in presidio; nel frattempo, cominciano ad arrivare lavoratori delle altre aziende, che non riescono a capire cosa c’entri questo sciopero con loro.
«Questo è uno sciopero di tutti, come fate a non capire», grida Sebastiano, da ventidue anni operaio alla Fiat di Pomigliano, e attualmente delegato sindacale Fiom. «Oggi tocca a noi, domani a voi, dovremmo essere tutti uniti, pure se siete impiegati, pure se siete garantiti». La discussione si fa più accesa quando a subire il blocco sono gli impiegati del consorzio “Il sole”, che vorrebbero entrare a lavoro. Sebastiano ormai non si ferma più: racconta orgoglioso di sua figlia, quattro anni, a cui stamattina ha provato a spiegare cosa stesse succedendo; racconta di quando da bambino suo padre lo portò ad ascoltare Luciano Lama, proprio a Pomigliano, e dello spirito di fabbrica che si sente ancora oggi, nonostante tutto .
Gli operai, in effetti, sembrano abbastanza uniti. Qualcuno dice che questo avviene «solo ora, che stiamo per perdere tutto», ma il dato di fatto è che tutti sembrano aver chiaro cosa stia succedendo a quello che chiamano “il sistema fabbrica”. I capannelli ora sono più folti, dal momento che si è fatto giorno, e arrivano pian piano tutti quelli che hanno intenzione di partecipare al corteo. Il lungo serpentone partirà alle dieci dalla rotonda Alfa Romeo, per raggiungere il centro di Pomigliano. Ci sono i lavoratori, ovviamente, chi ha partecipato ai picchetti e chi è venuto per la manifestazione; poi gli studenti, i precari, i comitati, come quello per l’acqua pubblica e contro la discarica di Chiaiano. Si vedono anche le bandiere rosse, con falci e martelli di varie forme e dimensioni, più o meno estromessi ormai, loro malgrado, dal panorama politico nazionale. La partecipazione, insomma, è notevole, e il corteo si incammina a passo compassato verso una nuova giornata di non lavoro. (riccardo rosa / davide schiavon)
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