Lasciandosi alle spalle il brusio di via Toledo e salendo su via Concezione a Montecalvario, che divide il quartiere Montecalvario dai Quartieri Spagnoli, appare in lontananza il murale dell’artista MP5 ispirato a Ipazia e alla sua cura della conoscenza. Qui, dentro il centro di aggregazione giovanile Palazzetto Urban, ha sede la biblioteca del Centro Donna.
L’edificio ospita diverse associazioni, un centro giovanile, una sala conferenza e un centro anti-violenza, che al momento della mia visita (aprile) era chiuso da almeno un anno.
Il Centro Donna nasce nell’ottobre 1979 come centro di documentazione sulla condizione femminile, mi racconta Ilario, il bibliotecario-non bibliotecario. Fu fortemente voluto dall’UDI (Unione Donne Italiane), che fornì gran parte della collezione attuale attraverso donazioni. Solo da qualche anno la biblioteca è stata inserita nel polo delle biblioteche comunali cittadine. Lo spazio che occupa è poco più di una stanza, non troppo spaziosa, al piano terra dell’edificio, in cui, oltre a un tavolo, ci sono armadietti con ante di vetro che accolgono circa tremila volumi.
«Le poche richieste di prestito sono tutte molto specifiche, in genere provengono da studenti universitari che stanno scrivendo la tesi». Ilario aggiunge che quasi nessuno si ferma a studiare, anche perchè, come in tutte le biblioteche comunali, manca il wi-fi.
Ilario non è un bibliotecario, ha la qualifica di istruttore direttivo culturale e si occupa del centro giovanile. Non starebbe a lui occuparsi della biblioteca, ma quando la bibliotecaria precedente è andata in pensione e il suo incarico non è stato rinnovato si è creato un vuoto di personale. «Tecnicamente non c’è nessuno. Io provo a seguire le mail e a gestire il prestito negli orari di apertura dalle 9 alle 13».
I titoli della biblioteca sono tutti catalogati digitalmente, grazie al lavoro fatto negli anni precedenti da giovani volontari del Servizio Civile, con cui il Centro donna ha stipulato una convenzione. Sugli scaffali si trovano contributi più o meno aggiornati del pensiero femminista italiano e non, anche diversi titoli di pensatrici afroamericane, libri di storia delle donne, narrativa italiana e straniera, filosofia, sociologia. Resto colpita da un titolo: La casalinga di Cristo, un’inchiesta collettiva (che risale forse agli anni Settanta) sulle suore anziane, di origine contadina, e sul lavoro domestico e di cura che si ritrovavano a svolgere in convento, anche come infermiere, carceriere, guardiane dei manicomi. Mi riprometto di tornare a consultare i libri con calma, noto alcuni titoli di edizioni non più ristampate e difficilmente reperibili. Sopra gli scaffali, una galleria di foto di autrici del Novecento stanno accanto a scatti dei movimenti femministi degli anni Settanta.
Ilario mi mostra la sala conferenze, dove prima del Covid ogni tre-quattro giorni alla settimana si tenevano corsi, presentazioni di libri e seminari, organizzati dalle associazioni ospitate dal centro, in genere di psicologi(ghe) e da associazioni che lavorano con donne migranti. «Ogni sabato, per esempio, veniva un’associazione di donne russe che faceva incontri per promuovere la lingua russa tra i bambini cresciuti qui».
Chiedo se c’è una newsletter o una pagina Facebook per comunicare gli eventi. Ilario riconosce che non viene aggiornata da un po’. Come si potrebbe invitare più persone a frequentare le biblioteche? Ci pensa qualche minuto, poi risponde: «Innanzitutto ci vuole gente che abbia una preparazione generale migliore della nostra, che sia in grado di risollevare la situazione delle biblioteche. Poi, per invitare alla lettura, forse non partirei direttamente dalla lettura dei libri, ma lo farei attraverso il teatro, dei laboratori… E per fare questo bisognerebbe coinvolgere associazioni di educativa territoriale e dare loro uno spazio. Per ora qui dentro i ragazzini non vengono, al massimo vengono a vedere la colonia di gatti in cortile».
Saluto Ilario e do un ultimo sguardo al murale, mi chiedo se i ragazzini che giocano coi gatti in cortile si saranno mai chiesti chi fosse quella ragazza che li fissa dall’alto, se avranno mai ascoltato la storia di Ipazia “che si prende cura della conoscenza”. (cecilia arcidiacono)
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