Razzismo istituzionale, giornalismo sensazionalistico e pecione, abuso di potere, discorsi d’odio online. La vicenda che ha coinvolto Hasib Omerovic la scorsa estate è un prisma dei mali di un’era, una storia tragicamente emblematica sotto vari aspetti e ancora degna di nota, sebbene non trovi più spazio da settimane in nessun canale di informazione. Il 25 luglio 2022 Hasib, un uomo di trentasei anni residente a via Gerolamo Aleandro, nel quartiere di Primavalle, periferia ovest di Roma, precipita dalla finestra del suo appartamento. Dopo poche ore una telefonata da parte delle forze dell’ordine avvisa i familiari di Hasib che l’uomo è stato vittima di un piccolo incidente e che ora si trova in ospedale. Le cose non stanno così, Hasib è in fin di vita e le sue condizioni resteranno gravissime per giorni. Dopo essere andati ripetutamente a chiedere spiegazioni al commissariato di zona, i familiari riceveranno poche e scarse informazioni: alcuni agenti, verrà loro detto, avrebbero fatto visita ad Hasib per un controllo dei documenti di routine, ma l’uomo al loro arrivo si sarebbe agitato e nella furia gettato dalla finestra. Le dichiarazioni sono
A inizio luglio, sulla pagina Facebook di un gruppo del quartiere, appare un post in cui un’abitante accusa Hasib di avere molestato alcune persone. Il commento alimenta altri commenti. Qualche giorno dopo, il 25 luglio, una squadra della polizia bussa alla porta di casa Omerovic. Sono otto, un’irruzione senza uno straccio di mandato. Nei minuti successivi accade una carneficina, avvolta in un assordante silenzio, inghiottita nel nulla per giorni e settimane. Il post è rimosso e in rete non ne rimane traccia.
A dicembre il gip Ezio Damizia firma un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un agente del commissariato di Primavalle, Andrea Pellegrini, accusato di tortura: “Non ha avuto nessuna remora di fronte al ragazzo sordomuto e a una ragazza con disabilità cognitiva”, si legge nei documenti, con riferimento alle disabilità di Hasib e di una delle due sorelle, Sonita, anche lei a casa il giorno dell’aggressione.
L’ho scritto in principio. Della notizia non si parla più da settimane, ma ci sono cruciali aggiornamenti. Tanto per cominciare Hasib Omerovic sta molto meglio. È uscito dall’ospedale i primi di febbraio, dopo due mesi di coma e decine di interventi; ora può camminare sulle sue gambe, anche se dovrà intraprendere un lungo percorso di riabilitazione. Nel frattempo la famiglia ha cambiato quartiere. Gli Omerovic sono di origine rom, un tempo vivevano nel campo di Castel Romano ma già da un paio d’anni avevano ottenuto l’appartamento di Primavalle, dopo una regolare richiesta di casa popolare. A seguito di quel 25 luglio decidono di non volere dormire una notte di più in quell’appartamento e fanno richiesta per un trasferimento. Il comune di Roma impiega quasi due mesi per trovare una soluzione, ottenuta soprattutto grazie a un continuo presidio al Campidoglio da parte dell’associazione 21 luglio. I quattro, i genitori e le due sorelle, nell’attesa dormono in macchina.
Uscito dall’ospedale, Hasib è
Non è necessario spiegare a chi legge perché questa vicenda sia dannatamente grave e odiosa, ma vorrei spendere due righe sul perché sia degna di massima attenzione e sul perché sia
1) Si tratta di un caso di violenza efferata da parte delle forze dell’ordine, eppure i giornali e la politica ci sono arrivati solamente un mese e mezzo dopo, il 12 settembre 2022. Quel giorno il deputato Riccardo Magi ha depositato un’interrogazione parlamentare e convocato una conferenza stampa in merito alla vicenda. Un mese e mezzo di silenzio, dopo un’aggressione di otto agenti della polizia che è quasi costata la vita a un uomo. Ancora una volta, quando la violenza è di Stato, spetta alla famiglia, spesso alle madri e alle sorelle, spezzare la cortina di silenzio, vincere la paura, sfidare l’istituzione. Ho sentito dire che la famiglia fosse “integrata”: posto che l’aggettivo abbia un qualche senso, perché allora il quartiere non ha alzato la voce, perché i vicini non si sono indignati? Solo dopo la conferenza – quando Hasib era in coma e gli Omerovic in macchina in attesa che un impiegato dietro una scrivania del comune aprisse il file contenente la lista delle casi popolari – qualche inquilino del palazzo ha sommessamente detto: «Non davano mai fastidio, era brava gente».
2) A settembre, quando finalmente la notizia compare sui quotidiani, la maggior parte degli articoli mette in risalto il degrado del quartiere, il disagio della periferia, la pena della disabilità. Che Hasib sia sordo mi sembra informazione secondaria ai fini della notizia, che Primavalle sia “affetta dal degrado urbano”, come si è letto in più di un occhiello, formula vuota e dettaglio totalmente superfluo. Non c’è stato titolo quel 12 settembre che abbia guardato alla luna invece che al dito, eppure almeno un elemento gravissimo era già noto, in primis che i poliziotti erano piombati in un’abitazione privata senza nessun mandato.
3) Quel 25 luglio gli agenti, come detto, si muovono a seguito di un post su Facebook scritto da un’abitante, e questo ormai è noto. Quello che non tutti sanno è che la loro caccia al rom inizia in modo goffo e rocambolesco: sulle prime pensano bene di recarsi a un campo informale della zona, per poi capire che Hasib vive in una casa, un appartamento come tanti, in un palazzo come tanti, con il citofono, il portone e tutto il resto. È un quadretto penoso, la conferma del persistere del vecchio stereotipo del rom quale abitante dei campi, nomade per natura, baraccato. Eppure i dati parlano chiaro: secondo le stime dell’associazione 21 luglio, che da anni studia la questione abitativa dei rom, sinti e camminanti in Italia, il rapporto è uno a tredici: su tredici, dodici vivono in case convenzionali. È uno dei pregiudizi più diffusi, più falsi e più fessi, al livello di “rubano i bambini”. È il razzismo istituzionale, ovviamente, quello che fa più danni, padre sconsiderato del razzismo generalizzato, che induce una donna a scrivere un post denigratorio, un quartiere a tacere, un paese intero a non indignarsi. (marzia coronati)
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