Si sono dati appuntamento ieri mattina alle dieci alla villetta di via Marco Rocco di Torrepadula, uno spicchio di area verde nei pressi della fermata della metro del Frullone. Siamo nella periferia nord di Napoli, lo scenario è quello di una campagna urbanizzata. Caseggiati bassi e strade usurate costeggiano vaste zone alberate. La stessa villetta è delimitata da un lato dalla fermata del pullman e dall’altro da un cortile affollato da anatre, capre e galline.
Assieme a un piccolo gruppo di abitanti ci sono una trentina di ragazzi, molti dei quali provenienti da collettivi e centri sociali cittadini, attrezzati del necessario per rimettere in sesto lo spazio. Così verso le undici il piccolo parco è già un’officina all’aria aperta. Pale, scope e rastrelli vengono agitati senza sosta raschiando a poco a poco oltre dieci anni di abbandono. Inaugurato nel duemila, il parchetto ha ospitato un paio di feste del quartiere e poco altro, così da finire per essere frequentato, col tempo, assai più di notte che di giorno e non proprio da mamme e bambini.
Mentre alcuni passanti timidamente si avvicinano, commentano e chiedono notizie e chiarimenti, il gruppo porta avanti i lavori. C’è chi pulisce il terreno e pianta alberi, chi con lo spray vivacizza i tubi dell’acqua e le colonnine elettriche. Alcune ragazze si occupano di grattare la ruggine ormai accumulatasi sugli scivoli e le altalene, per poi iniziare a tinteggiarli. Rifiatando, con la zappa sempre tra le mani, qualcun altro studia gli spostamenti degli animali da cortile, galline in primis, immaginando i possibili scenari futuri: feste, pranzi all’aria aperta, porte da calcio, e ancora di più un nome che funzioni. Dal portabagagli spalancato di un auto sprizzano gli accordi di Keep on movin’, fino a che, col passare del tempo, dallo spesso tappeto di sterpaglie, fogliame marcio e rifiuti di ogni genere iniziano a venir fuori mattonelle, gradini e persino panchine. Tutti i contorni di un piccolo parco.
Una signora, nostalgicamente, lo ricorda “il parchetto”, quello delle primavere di un tempo, annunciate da rigogliosi alberi di mimose, ciliegie e limoni. Con tono un po’ diverso e meno idilliaco un’altra racconta a chiunque le si avvicini che ha sollecitato più volte il comune a recintarlo, e a limitare la presenza notturna di chi va lì lasciando come traccia del suo passaggio solo una siringa. La quantità di improperi che segue e lo stato delle cose lasciano intendere il fallimento dell’istanza.
Gli abitanti della zona, in ogni caso, incuriositi dall’insolito movimento, danno l’idea di aver atteso questo momento da tempo. Qualcuno lascia una piccola quota, il salumiere in divisa e con figlio a seguito, dopo aver osservato le frenetiche attività, decide di esporre nel suo negozio un volantino datogli dai ragazzi e un barattolo per raccogliere contributi. Qualcun altro, acclamato dalla piccola folla, arriva con buste della spesa cariche di snack e succhi di frutta.
È ormai l’una. Arriva il secondo camioncino dell’ASIA, chiamato dagli organizzatori e saturato velocemente dai numerosi sacchi di rifiuti, esattamente come il primo. Sulla parete più grande, un muro di tufo finalmente accessibile, spunta un cardillo colorato che sembra osservare gli eventi in attesa di pronunciarsi. Il gruppo si da appuntamento per il prossimo sabato, per continuare i lavori in mattinata, e mantenere aperto il parco per pranzo, e nel pomeriggio, tra carne, barbecue, panini e contorni. Nel frattempo chiedono che le istituzioni (pare che al momento l’area sia sotto la gestione della Napoli Servizi) provvedano alla manutenzione, a cominciare dal ripristino di un paio di fontane dismesse. L’intento, oltre a rendere vivibile un luogo pubblico, sulla scia del parco Don Gallo a Soccavo, è quello di restituire agli abitanti uno spazio di aggregazione, in quartieri che la sera chiudono assieme ai loro negozi. (dario cotugno)
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