Sveglia e manutenzione ordinaria: barba, doccia e lavata di denti. Cesso, moka sul fuoco, aspetto che il caffè salga e mi faccio una sigaretta di tabacco. La borsa è già pronta: quattro t-shirt con logo “Professional Audio”, due bermuda combat e una felpa con cappuccio. L’appuntamento è alla piazza del Cannone a San Sebastiano, lì ci aspetta al deposito Lello, il proprietario del service. Ci vediamo alle 8 per caricare il furgone ma io alle 7 sono già in strada, ho delle commissioni da fare.
Dal tabaccaio sotto casa faccio il pieno: cartine, tabacco, filtri e un pacchetto di Camel Blu. A Rosario, l’altro schiavo, le canne fatte col tabacco non piacciono. Incontro Roberto lo Straniero, mi cerca una sigaretta, anzi sono io che gliene passo due dal pacchetto appena comprato senza dire una parola. Pure lui non mi ringrazia più da tempo, sa che di convenevoli, con me, non ce n’è bisogno.
A pochi metri dalla mia Swing intravedo Tony. Oh,tt’appost’/Sì,tt’appo’. Nessuno dei due ha voglia di fermarsi a parlare, anche se a Tony avrei sempre molte cose da dire. Ma il tempo è tiranno e io sono già in ritardo all’appuntamento. Tony l’ho conosciuto quando per un paio di mesi ho fatto coppia con lui alla Speedy, sul furgone zeppo di elettrodomestici e pezzi di ricambio che consegnavamo ai commercianti. È stato lui a indicarmi la via. Tony vive con nonchalance i suoi cinquantadue anni portati benissimo e la sua tossicodipendenza ultratrentennale, che però non gli ha precluso una vita “normale”: un lavoro, una moglie, due figli, un cane, venti giorni in campeggio a Paestum in mezzo tra luglio e agosto, i fine settimana invernali per ristoranti di seconda mano e pizzerie. Sembra Paul Heaton, Tony, quello degli Housemartins, il gruppo dove al basso c’era Norman Cook alias Fat Boy Slim. Hanno in comune il fisico asciutto ma non atletico, la barba ben rasata e il naso pronunciato, i capelli neri corvino. È stato Tony, durante le giornate a consegnare pacchi, a farmi conoscere i Black Flag, i Nerorgasmo, i Negazione e i Ritmo Tribale. Ma soprattutto mi ha fatto conoscere l’eroina. «Sarnataro…», mi diceva sul furgone, chiamandomi col cognome come si fa a scuola con quelli a cui non vuoi dare troppa confidenza. «…I giovani non capiscono un cazzo, vogliono lo sballo. Io invece uso la sostanza. Quando il problema sei tu non c’è bisogno di nessuna reazione chimica, la soluzione deve venire da te; quando il problema è fuori, invece, c’è il doping dell’umore», teorizzava ribattezzando così l’eroina, forse per sentirsi meno sporco.
Tony si faceva due liniette tutti i giorni verso le tre del pomeriggio, con la stessa scioltezza di una pasticca di Malox, per resistere fino a sera, quando messi figli e moglie a letto si sparava una pera per cadere in coma fino al mattino seguente. Col tempo mi aveva psicoanalizzato, mi diceva che io non avevo bisogno della pera completa, se non ogni tanto, ma avrei potuto cavarmela alla grande con la cura delle due liniette. Pochi giorni prima che mi cacciassero a calci nel culo, mi aveva raccontato che quell’estate avrebbe programmato, come si fa con la settimana al campeggio, un mese in comunità. Non aveva intenzione di smettere, lo faceva ogni tanto, di routine: il suo corpo si sarebbe ripulito e lui avrebbe potuto evitare di aumentare il numero di liniette, e allo stesso tempo mantenere quello status di tossico che conveniva a lui e all’azienda, che avrebbe continuato ad azzuppare tra i benefici fiscali spettanti a chi assume un povero tossico. Io, intanto, fui licenziato. Mi scoprirono che rivendevo agli amici tostapane e ventilatori trafugati nel capannone. Avevo solo diciott’anni. Il giorno dopo andai al rione De Gasperi e comprai il necessario per le mie due liniette e con grande naturalezza mi ritrovai sulla giostra.
Arrivo con un leggero ritardo al deposito, quando Lello e Rosario hanno già caricato quattro tralicci americane. Per sdebitarmi chiudo subito una canna di fumo, la faccio accendere al capo che apprezza, ma non mi risparmia una rottura di cazzo per il ritardo. Alle nove siamo pronti per partire, destinazione Cellole, Festa degli antichi sapori. Alle tre dovrà essere tutto pronto, perché gli artisti devono iniziare il soundcheck.
Arriviamo in orario, il sound lo montiamo velocemente e procediamo con le luci, solo blu e rosse, dato che Marcella odia quelle bianche che mettono in risalto le rughe. Alle due e mezza è tutto pronto, mi guardo intorno e prima che arrivino quelli della band decido di fare un salto al bagno della sala giochi. Una pisciata che non facevo dalle 9, sciacquata di faccia e sotto le braccia, poi per i ragazzi chiudo un sistema a elle, e per me riscaldo nel cucchiaino il necessario per le due liniette. Dopo essermele sparate in silenzio, aver buttato l’ago nel lavandino e riposto la siringa ripulita e avvolta nel domopack nello zaino, saluto i ragazzi della sala giochi ed esco in piazza con gli occhi che mi bruciano appena, ma lucido.
Durante il sound-check torno sulle luci. Rosario mi ha dato un foglietto scritto a mano con su la scaletta. Alla voce “bis” ci sono due punti interrogativi, come al solito li decidono al momento: Nessuno Mai, pezzo discomusic, di quando i produttori volevano fare di Marcella la Donna Summer siciliana; oppure Montagne Verdi, se il pubblico è del tipo nostalgico/romantico. Al mixer comunque è tutto in discesa e mi godo il concerto come uno del pubblico. Marcella è una diva, ha cambiato tre volte l’abito e i suoi quarant’anni non si vedono per niente; Gianni sembra stanco invece, è meno espansivo della sorella, tira fuori giusto qualche sorriso e niente più.
La festa è stata un successo. Il pubblico ha partecipato alle canzoni ma di più all’offerta dei prodotti tipici del paese. In un’ora smontiamo l’attrezzatura e la rimettiamo sul furgone. Le casse vengono caricate per prime, poi i case con gli amplificatori e cavi, per ultimi i tralicci per le luci, disposti a formare una X, per evitare sballottamenti in caso di brusche frenate. È da poco passata l’una quando parcheggiamo al Cucchiaio d’Oro, l’agriturismo che l’associazione della Gioventù Cellolese ci ha messo a disposizione per la notte.
La doccia la faccio fare per primo a Rosario, con cui divido la stanza. Nell’attesa chiudo una canna, ma quando esce dal cesso gli dico di aspettare me per accenderla. Una volta solo, nel bagno, prendo il mio kit di sopravvivenza e mi faccio fuori le due liniette della buona notte. Esco dalla doccia, Rosario ha già acceso ma io sono a posto così, gli farfuglio qualcosa e crollo. Mi sveglio alle otto, con Lello che è entrato nella stanza. È scuro in volto, ci dice che diluvia e noi sappiamo che lui in questi casi ha bisogno di un fax. Io e Rosario fingiamo solidarietà, ma incrociamo le dita.
Alla fine le date di Atena e Vitulazio saltano per il temporale: il meteo parla chiaro, perturbazione improvvisa di fine ottobre e Lello ha poco di cui lamentarsi dato che la stagione gli è andata più che bene. Bene va anche a noi, che siamo pagati al 75%, perché se i concerti saltano per colpe non nostre e la comunicazione arriva con un anticipo di almeno un giorno, Lello prende solo una parte del pattuito. A noi ce ne passa per il cazzo di guadagnare meno, ci basta farlo senza lavorare, e così tifiamo patapata d’acqua!
«Ragazzi si va a casa, e basta fingervi dispiaciuti…», ci dice Lello di ritorno dalla merceria. «Prendete i vostri borsoni di merda e spariamo da questo cesso». Io mi metto al volante dell’Iveco, penso per un attimo a mio padre e realizzo che l’unica cosa che aspetto è la partita. (gerardo picarelli)
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ZONA EST NOVANTA
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