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5 Agosto 2022

Trieste, la delocalizzazione della Wärtsilä e i rischi dei nuovi piani di sviluppo

Alessandro Stoppoloni
(disegno di cyop&kaf)

Sulla strada sopraelevata che passa intorno alla parte sud di Trieste, la scritta sull’asfalto indica ancora l’uscita Grandi Motori. Se la si imbocca, dopo poco si arriva allo stabilimento della Wärtsilä, presidiato giorno e notte da chi lavora nel reparto produttivo, ora a rischio chiusura dopo che a metà luglio l’azienda finlandese ha annunciato il blocco delle attività e il prossimo trasferimento in una nuova struttura costruita in Finlandia.

Siamo nell’area industriale triestina, nel territorio del comune di San Dorligo della valle-Dolina, a pochi chilometri dal confine con la Slovenia e dai grandi depositi di carburante della Società italiana per l’oleodotto transalpino (Siot). La decisione ha colto di sorpresa chi lavora alla Wärtsilä e l’intero mondo sindacale e produttivo della zona. Si tratta di una delle più grandi strutture industriali ancora presenti a Trieste: sono a rischio diretto quattrocento cinquantuno posti di lavoro più altre centinaia nell’indotto.

La Wärtsilä si occupa della costruzione di sistemi di propulsione per il trasporto navale e per la produzione di energia. A Trieste ha ereditato alcuni decenni di esperienza nella costruzione di grandi motori con prima la Fabbrica macchine Sant’Andrea e poi con la Grandi Motori Spa. «L’ultima nave costruita nei cantieri navali di Trieste è del 1963, poi qui ci si è limitati alla manutenzione. La costruzione è rimasta solo a Monfalcone con la Fincantieri, mentre a Trieste è stata portata avanti la produzione di motori», spiega Marino Calcinari, attivo per anni nel mondo sindacale triestino e ora membro dell’associazione Adesso Trieste. Dalla metà degli anni Ottanta fino alla fine dei Novanta la Grandi Motori è stata gestita dalla Fincantieri, che poi ha deciso di privarsene vendendola alla Wärtsilä. Fincantieri è comunque rimasta uno dei principali clienti dei sistemi prodotti a San Dorligo. L’azienda finlandese ha deciso poi di costituire all’interno del suo gruppo la società Wärtsilä Italia Spa che al momento, oltre allo stabilimento triestino, gestisce anche le sedi di Genova, Napoli e Taranto.

Il presidio, di fronte ai cancelli del grande stabilimento, ha ricevuto la solidarietà di diverse forze sindacali (le federazioni di chi lavora nel settore metalmeccanico dei sindacati confederali, l’Ugl e l’Usb) e politiche, che si sono schierate a difesa di chi rischia il licenziamento. Il presidente della giunta regionale, il leghista Massimiliano Fedriga, ha chiesto di ritirare la procedura di blocco della produzione e ha rinfacciato all’azienda di essere venuta meno alle rassicurazioni date finora sulla permanenza della produzione nell’area triestina; la decisione, inoltre, sarebbe stata presa senza tener conto dei finanziamenti pubblici ricevuti in passato. Anche il ministro allo sviluppo economico Giorgetti, tornato da poco proprio da una missione in Finlandia, è stato messo in una posizione scomoda dalla notizia. I più delusi sembrano essere però i dipendenti, che nel giro di pochi giorni si sono trovati in difficoltà e ora faticano a capire come rispondere. Davanti al presidio qualcuno di loro ci dice che l’iniziativa dell’azienda potrebbe essere finalizzata a spuntare delle condizioni migliori sotto il profilo fiscale o ulteriori incentivi pubblici, altri temono che questo non sia altro che il primo passo verso la chiusura della sede, visto che senza il reparto produttivo anche la permanenza degli altri settori (come l’assistenza ai clienti e la ricerca) è molto meno solida. Resta di certo amarezza per il comportamento di una azienda all’interno della quale è stato avviato un percorso professionale di lungo periodo che ora rischia di essere interrotto in modo brusco.

Le modalità con cui è stata annunciata la decisione aziendale ricordano molto l’inizio della vicenda dell’ex Gkn di Campi Bisenzio, anche se l’esperienza dello stabilimento toscano e del suo collettivo di fabbrica non sembrano, almeno al momento, fra i punti di riferimento, e i sindacati rimangono gli interlocutori principali di chi lavora alla Wärtsilä.

Una prima occasione per portare avanti le rivendicazioni poteva essere l’incontro in prefettura con la decima commissione del Senato (industria, commercio, turismo) previsto per il 21 luglio in piazza Unità, a Trieste. Il confronto però è stato annullato a causa della crisi di governo che ha portato alle dimissioni di Draghi. Anche senza i parlamentari, però, la manifestazione ha avuto luogo: oltre a chi lavora alla Wärtsilä erano presenti i dipendenti di altri stabilimenti come la Flex (elettronica) e la Principe (salumi), i sindacati, i rappresentanti di realtà cittadine molto diverse fra loro – come i vertici della chiesa cattolica locale, il coordinamento No green pass e alcune forze politiche, anche se con poche bandiere – e pure il sindaco Roberto Dipiazza si è affacciato.

Le persone si sono radunate in piazza nonostante nelle stesse ore il Carso, l’altopiano che corre da Trieste verso Gorizia, stesse bruciando all’altezza di Monfalcone, rendendo impossibile raggiungere la città via terra dall’Italia. Gli interventi dei sindacalisti hanno sottolineato la necessità di difendere la produzione per dare una prospettiva a una città che da anni sta perdendo abitanti (soprattutto giovani); ci si è detti pronti a portare avanti nuove mobilitazioni (come lo sciopero di otto ore che si è poi svolto il 4 agosto con un presidio in piazza della Borsa) e ci si è ripromessi di non farsi trovare impreparati nel caso in cui le aziende, come sta facendo ora la Wärtsilä, decidano di spostare la produzione altrove, anche ricorrendo a delle nazionalizzazioni.

In effetti, negli ultimi decenni Trieste ha visto chiudere uno dopo l’altro i più grandi siti produttivi della zona, come un impianto dell’Italcementi e la ferriera di Servola (a impatto ambientale non trascurabile) non compensati dalle poche nuove aperture, come quella recente di uno stabilimento per il commercio di tabacco. Rimangono il porto, alcune attività legate al commercio del caffè, l’impiego pubblico e alcuni prestigiosi centri di ricerca scientifica come l’International Center for Theoretical Physics (Ictp). Una nuova dimensione, e nuove prospettive, stentano a essere identificate.

Da questo punto di vista l’amministrazione comunale sembra propensa a incentivare il settore turistico, presentando l’immagine di una città ordinata e gradevole da visitare. Rientra anche in quest’ottica il progetto della cabinovia fra Opicina e il porto vecchio, mentre si cerca di ampliare l’offerta per chi arriva a bordo delle navi da crociera. L’idea è quella di sostituire Venezia come porto principale nell’alto Adriatico, tanto che nelle scorse settimane sono circolate ipotesi per un consistente aumento del numero di posti per le grandi navi, al momento limitati a due. Una crescita non pianificata che finirebbe per sconvolgere gli equilibri del centro città, che verrebbe attraversato a ondate da chi scende dalle navi, con il rischio di orientare verso le esigenze dei turisti le attività di interi quartieri. Eppure la posizione geografica di Trieste, al confine fra diverse aree economiche e culturali, l’ampiezza delle aree legate al porto come snodo logistico, e gli spazi da ripensare presenti in città (come il porto vecchio) aprirebbero prospettive che potrebbero andare ben oltre il turismo di massa. (alessandro stoppoloni)

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