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recensioni
28 Aprile 2017

Stabile di Napoli. Il Danton di Martone nel teatro di scorta

Francesca Saturnino
(archivio disegni napolimonitor)
(archivio disegni napolimonitor)

Il Politeama è uno dei tanti teatri di Napoli con una storia antica e assai variegata. Si trova sulla dorsale di Monte di Dio, dove sorgeva Palepoli, antenata di Neapolis. Fu edificato nel 1870 e nel 1957, subito dopo il debutto di uno spettacolo di rivista di Wanda Osiris, prese completamente  fuoco. Fu riaperto negli anni Sessanta. Intervallate da una serie di chiusure, le sue furono stagioni mitiche: dalla prima nazionale di Filumena Marturano, ai concerti di Nino Taranto, Chat Becker, Domenico Modugno, e ancora i lavori di Mariangela Melato, Carmelo Bene, Giorgio Gaber. Poi un declino iniziato negli anni Novanta, fino a oggi: il Politeama – di proprietà dei gestori dell’Augusteo – resta chiuso per la maggior parte dell’anno, eccezion fatta per eventi privati o occasionali come il Napoli Teatro Festival che da un paio d’anni lo usa per spettacoli di grande portata. È un teatro enorme, oltre novecento posti, con un tetto altissimo, a raggiera. Con le sue poltrone cigolanti, i drappi rossi e le pareti lignee che garantiscono un’acustica perfetta, è un simbolo di maestosa decadenza. Andarci mi piace molto, proprio per questo. Così accetto volentieri l’invito di un’amica per la prima de La morte di Danton che il regista Mario Martone ha tratto dal lavoro del tedesco Georg Buchner (più noto come autore del Woyzeck).

Lo spettacolo – co-prodotto dallo Stabile di Napoli e di Torino e attualmente in tournée – occorre in un periodo assai delicato. All’ingresso in sala veniamo accolti da una lettera fotocopiata in bianco e nero del direttore De Fusco. “Le scuse e il rammarico sono tanto più forti e sentite perché quest’anno si stava concludendo in modo quasi trionfale con il record di presenze, abbonati, incassi della storia del teatro Stabile e con un consenso palpabile, registrato non solo nella tradizionale sede del teatro Mercadante ma anche in quella più difficile del San Ferdinando…”

Da quasi un mese il Mercadante, sede del Teatro Stabile Nazionale, l’unico in tutto il Sud Italia, è chiuso per inagibilità. Per questo ci troviamo al Politeama. La lettera continua garantendo che “questa drammatica crisi sarà di breve durata” e che “già in questi giorni si sta concordando con la magistratura, la commissione di vigilanza, i vigili del fuoco un crono-programma che porti il Mercadante a completare lavori già effettuati nel 2016 e arrivare quindi molto rapidamente a una condizione di agibilità permanente”. Il direttore infine si augura che il livello degli spettacoli mantenga gli abbonati vicini allo Stabile e che faccia loro dimenticare i “piccoli inconvenienti”, così da confermare l’abbonamento l’anno venturo.

La sala intanto si riempie e lo spettacolo inizia. Martone ha chiamato a lavorare con sé una squadra fortissima di una trentina di attori tra i migliori in circolazione, napoletani e non: Lino Musella e Paolo Mazzarelli; Roberto De Francesco, Ernesto Mahieux, Paolo Graziosi per fare qualche nome, e ancora Iaia Forte, Paolo Pierobon nei panni di Robespierre, mentre Danton spetta al morbidissimo Giuseppe Battiston. Il testo è ostico e le scene – singole e soprattutto quelle corali – sono come quadri di Pellizza, incastonati tra i drappi di velluto e i diversi sipari che si aprono e chiudono nella profondità della scena. Un lavoro mastodontico, quasi cinematografico, che nel suo svolgimento diventa sempre più monocorde, nonostante i picchi notevoli del gran dispiegamento attoriale impiegato. Le continue invasioni degli attori in platea, tra voci posticce e applausi registrati, finiscono per sottolineare questo estremo senso di cerimoniale in cui siamo immersi. Forse non poteva esserci uno sfondo migliore del Politeama per accogliere questa lotta tra virtù e godimento, verità e maniera, spinta sovversiva e disarmante impassibilità. Così il dramma di Danton funziona da specchio: una rifrazione dolorosa dello stato del teatro, di questo nostro teatro, locale, nazionale e pubblico. Imbellettato in drappi rossi, decadente, svuotato di senso a rincorrere una forma o una disperata ideologia/programma ministeriale di turno.

“Appena questo crono-programma sarà siglato dalle varie autorità presenteremo il prossimo cartellone e contiamo di riaprire il Mercadante per la tradizionale serata delle Maschere del teatro che dovrebbe tenersi il 16 settembre, sempre in diretta su Rai 1. Intanto vi diamo appuntamento a Pompei, per la nostra prima rassegna al Teatro Grande in una cornice e con degli spettacoli che spero giudicherete indimenticabili”. Così finisce la lettera di De Fusco, prima di una bella firma autografata. (francesca saturnino) 

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