Evo Morales è diventato presidente della Bolivia nel 2006 in seguito a una profonda crisi politica e potendo contare su una forte carica simbolica, legata soprattutto alla legittimità che gli conferiva il sostegno della comunità indigena, oltre a una maggioranza (54%) mai registrata prima nella storia della Bolivia. C’erano, insomma, le condizioni per avviare un cambiamento storico nel paese, che nella figura di Morales identificava una nuova opportunità per realizzare tutto ciò che i precedenti governi non erano riusciti a fare fino ad allora. Il tema della sovranità nazionale, dopo una storia costellata di intromissioni straniere, guadagnava terreno tra coloro che speravano in un cambiamento strutturale del paese.
Sebbene vi siano state misure che sembravano mostrare la possibilità di restituire dignità al popolo boliviano, per esempio la nazionalizzazione degli idrocarburi, annunciata un primo maggio, oppure l’Assemblea Costituente, che prometteva di rifondare la Bolivia riconoscendola come stato plurale, le politiche di Morales si sono orientate nel complesso verso un modello “estrattivista” e “sviluppista” che ha portato con sé importanti rischi per l’ambiente e continue minacce per l’autonomia e la sicurezza dei territori abitati dai popoli indigeni.
Si dice che il modello economico-comunitario sia stato uno dei grandi successi di Morales, fonte di stabilità sociale e crescita economica, definito da organismi internazionali come il “miracolo boliviano”. Eppure, tutte le misure che potevano rappresentare un cambiamento effettivo sono state eclissate da una serie di atti di corruzione e da misure contraddittorie come il via libera alla produzione transgenica, il sostegno all’industria petrolchimica, la mancata protezione delle riserve naturali, così come la repressione dei popoli indigeni mobilitati in difesa dei loro territori.
Un importante momento di rottura, che ha portato all’allontanamento di alcuni settori di classe media e di parte della sua stessa base sociale risale al 2011, quando una moltitudine in marcia ha attraversato il paese per più di sessanta giorni obbligando il governo a sospendere la costruzione della strada che, attraversando i territori indigeni del parco nazionale Isiboro Sécure, ne minacciava la biodiversità.
Da parte sua l’oligarchia industriale rappresenta i sentimenti di un settore che non ha mai accettato il potere di Morales, opponendosi apertamente alle sue decisioni, anche attraverso il finanziamento di gruppi violenti. Capeggiata dall’imprenditore e fondamentalista religioso Luis Fernando Camacho, la destra estrema ha cavalcato il crescente malcontento nei confronti di Morales, arrivato al culmine quando il presidente, sconfitto al referendum costituzionale, si è fatto beffe della legge “di ferro” dei boliviani – l’avversione verso le elezioni – abilitandosi nuovamente per un’elezione nazionale.
Camacho ha ridato forza al sentimento reazionario che si credeva vinto. Con un discorso razzista e fondamentalista, che mira a far tornare la Bibbia nel palazzo del governo, è riuscito a unire la classe media con settori subalterni che aspirano a diventarlo, legittimando attacchi personali a ministri, leader sindacali e indigeni, assalti a sedi di organizzazioni sociali e contadine, in una sorta di vendetta da infliggere alle popolazioni indigene per avere detenuto il potere in questi anni. La destra ha ottenuto l’appoggio della polizia nazionale e delle forze armate che agiscono agli ordini dei gruppi para-militari. Da parte loro i mezzi di comunicazione hanno facilitato la polarizzazione delle posizioni politiche nel paese utilizzando il discorso anti-Cuba, anti-Venezuela e la paura del comunismo per rinfocolare un odio irrazionale verso tutto ciò che ha a che fare con Morales.
Il paese è immerso in una crisi dagli esiti incerti, con un presidente rifugiato in Messico e lo spadroneggiare di gruppi para-militari che attaccano tutti coloro che, nonostante tutto, continuano ad appoggiare Morales. Il colpo di stato oligarchico e razzista, attraverso una lettura parziale della Costituzione, ha proclamato una senatrice dell’estrema destra cristiana come presidente di fatto. In un atto pubblico è stata bruciata la Wiphala, simbolo dei popoli indigeni, e si è pregato tenendo la Bibbia sulla bandiera tricolore, simbolo del potere repubblicano. I mezzi di comunicazione hanno avallato l’idea che si stiano verificando atti vandalici da parte dei militanti del Mas, il Movimiento al Socialismo di Morales, per legittimare il golpe e giustificare la repressione dell’esercito e della polizia nazionale, alleati della destra golpista. Morales ha avuto alti e bassi, e durante il suo mandato sono state permesse azioni che vanno ripudiate. Nonostante questo, una situazione polarizzata come quella attuale obbliga ciascuno a prendere partito, e la parte da cui stare è sempre contro il fascismo, e oggi più che mai nella resistenza all’estrema destra. (tania aruzámen)
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