CPH:DOX è il festival internazionale di film documentari di Copenaghen, che dal 2003 si tiene ogni anno nella capitale danese. È considerato il terzo festival al mondo per grandezza e numero di film in concorso nelle diverse sezioni, e quest’anno ha superato tutti i record precedenti con più di duecento film selezionati e un calendario fittissimo di proiezioni, dal 5 al 15 novembre, all’interno di cinema storici, multisala e cineteche appartate. Poco interessato al concorso e ai vincitori, mi sono invece immerso nella visione.
I titoli migliori, probabilmente, non li vedremo mai distribuiti nei cinema italiani (eccezion fatta per Bella e Perduta, il film di Pietro Marcello che ha riscosso molto successo di pubblico a Copenaghen e ha quasi vinto la sezione principale, appena uscito in molte sale italiane). Contro ogni opportunità, propongo qui le recensioni di quei film che non mi hanno lasciato quando sono finiti e le luci in sala si sono riaccese. Vi consiglio di cercarli in qualche buon festival. E agli organizzatori di festival, suggerisco di tenere d’occhio questi titoli. (salvatore de rosa)
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Brødre è la tenera storia di due fratelli filtrata attraverso gli occhi della madre. Spinta dal desiderio ossessivo di fermare il tempo, Aslaug Holm, madre di Markus e Lukas,ha puntato la telecamera su di loro sin dalla nascita e per diciotto anni, accumulando materiale. I primi passi di Markus, i giochi e le lotte dei due fratelli, i momenti di passaggio, le crisi, le vittorie, i sogni. Non sono, questi frammenti di vita familiare, il semplice assemblaggio di filmini privati: Holm fin dall’inizio ha in mente di farne un film, un prodotto finito che conchiuda in un inizio, uno sviluppo e una conclusione l’era dell’infanzia dei figli, come accenna alla fine del film. Sembra quasi che le domande che hanno affollato la mente della madre dalla sua di infanzia possano, e debbano, trovare risposta negli atti minimi e nei momenti importanti dei figli catturati dall’occhio della telecamera sempre presente. Un occhio invadente, alle volte, come quando Markus si prepara per la sua prima festa tra amici e sbotta seccato che nemmeno in bagno ha un momento da solo. Oppure quando Lukas prende a pretesto il film per interrogare la madre sulle sue ossessioni e paure. Ma l’arco della vita registrata dalle immagini è lunga, e lascia spazio a momenti in cui gli stessi figli utilizzano la camera per mettere in mostra la loro relazione, alle volte difficile, alle volte cordiale, come quella di qualsiasi coppia di fratelli con poca differenza di età, che prendono le misure del proprio stare al mondo.
Lentamente, nei piani sequenza, nei paesaggi senza suono, negli sguardi e nelle espressioni, emerge una meditazione sull’esistenza degli adulti e dei bambini, delle dinamiche familiari e del rapporto tra la crescita e un mondo fatto di ostacoli e sfide. Markus sogna di diventare calciatore, come i suoi beniamini del Liverpool, nutrito in questo dal padre con un passato di calciatore fallito. Anche Lukas viene portato a poco più di sei anni sul campo da gioco a prendere confidenza con il pallone, ma vedendosi impacciato, decide di odiare lo sport; finché un paio d’anni dopo afferma orgoglioso che il calcio è il suo sport preferito e che anche lui diventerà un calciatore. È in questi momenti di false partenze, di cambiamenti nella tempra e nei desideri, che pare allo spettatore di rivedere le proprie convolute esperienze infantili confuse nella memoria, tanto che è quasi impossibile, osservando le vite di Markus e Lukas dispiegarsi, non domandarsi costantemente del proprio passato di bambino, di quali ricordi si può essere certi, e di quali si sospetta siano andati irrimediabilmente perduti. Quali sono quei momenti che hanno contribuito a modellarci per quello che siamo? Possiamo ricordarli? Anche la madre se lo domanda, ricercando nel proprio passato quelle tracce sparse che hanno concorso a formare la sua individualità. Accompagnandoci con la voce, inserisce tra le vicende dei figli i frammenti visivi della sua infanziaraccolti su pellicola dai genitori, raccontando dei nonni pescatori di balene, della scoperta del mondo quando era bambina in una piccola isola norvegese, costretta in un vita ostica e disciplinata.
I momenti minimi e più banali sono quelli che restano impressi con più forza: un litigio tra fratelli in cucina, i tiri al pallone nelle plumbee mattine norvegesi, i compiti a casa che non va di fare, l’orecchino di Markus fatto di nascosto dal padre, la paura di Lukas di tuffarsi nelle gelide acque del mare che lambisce la casa d’infanzia della madre. Momenti che brillano per le intuizioni dei bambini colte dalla camera, quelle domande che gli adulti non si fanno più ma che restano fondamentali (che cos’è il tempo?), le stoccate agli adulti sulla propria insufficienza e difficoltà ad avere un senso nella vita, la voglia di crescere e la paura di farlo. Certo, la vita nella piccola cittadina norvegese dove Markus e Lukas crescono sembra facile e attutita, dalla neve e dalla sicurezza, e davanti a loro si aprono infinite strade che hanno solo da scegliere. Ma ciò che resta di universale sono le discontinuità, i momenti in cui la somma di esperienze genera un cambiamento, un misto di presa di coscienza, coraggio, e infantile imprudenza. Come nella chiusa finale, con i bambini che ormai sono ragazzi, Markus alla maturità e Lukas che vi si approssima, e la madre a sancire la fine del suo film con la fine dell’infanzia dei figli, perché ora andranno verso la vita adulta senza di lei. Senza il suo occhio attento che, oltre a raccontarli, li ha accuditi, protetti, e con cui gli ha offerto uno specchio in cui meditare, nel quale da vecchi potranno riconoscersi. (salvatore de rosa)
Brødre (Fratelli)
Aslaug Holm. 102 min, Norvegia, 2015
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