In quattro giornate, dal 6 al 10 marzo ’97, si sviluppa il corso della narrazione, segnato dal trascorrere di ore e minuti con cui ha inizio ogni capitolo; un tempo lento scandito dalle “traduzioni”, ossia il rito, così è definito nel testo, del trasferimento dal carcere all’aula del processo: “Ma non c’è proprio nulla da trasportare, né da capire o interpretare. Di fatto si rimane fermi”. I ricordi del protagonista si mescolano agli avvenimenti del presente: la traduzione, il lungo respiro di un detenuto davanti a un’imprevista possibilità, un cono d’ombra, un intervallo spazio-tempo, poi la fuga, poi l’attesa, fino alla resa dello spirito. Attraverso la sua storia, la storia della città.
La vicenda è quella di Francesco Pezzulli e del processo Garden, una “gigantesca finzione giudiziaria”: corruzione degli apparati di stato, collaboratori di giustizia, centodiciotto ordinanze di custodia cautelare per condanne pari a quattro ergastoli e settecentotrentatré anni complessivi di carcere.
Sullo sfondo dei trascorsi di Smilzo, che con suoi compari non allineati forma il Terzo Gruppo, è raccontata la prima guerra di mafia cosentina tra due ‘ndrine rivali, il clan Pino-Sena e il clan Perna-Pranno, che interessò il territorio bruzio tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, a seguito dell’omicidio di Luigi Palermo, detto Zorro, fino a quel momento boss indiscusso della città, il 14 dicembre 1977. Chiunque abbia in questo territorio le sue origini ha ascoltato le narrazioni dei tempi in cui “bastava essere notato insieme agli uomini del clan rivale, era sufficiente bere un caffè nel bar sbagliato, per beccarsi una sventagliata di mitra o una supposta di piombo sulla nuca”; i tempi in cui a Cosenza s’affacciava la droga, fino ad allora tenuta a distanza dai padrini di turno; i tempi successivi a Zorro, accompagnati spesso, nelle chiacchiere di paese, da un sentimento inconfessato di rimpianto. Senza la narrazione che opera questo testo, la memoria s’assorbirebbe in questo alone di leggenda metropolitana che già le aleggia intorno.
Dionesalvi è profondo conoscitore della storia e della società cosentina, e in una multiforme pratica di resistenza quotidiana, Claudio incrocia la biografia di Franco quasi per necessità, la necessità di ritrovarsi nei quartieri, abitare radio rumorose e sfrontate redazioni giornalistiche, le “schegge della città reale”, di raccontare e testimoniare storie ancora poco scritte.
La lettura dei titoli dei quotidiani trasmessa dalla radio locale ci offre stralci di cronaca cittadina, e non solo di politica e malaffare: oi cantaro’ e pisciaturu, espressione dispregiativa con cui venivano indicati i collaboratori di giustizia, ci rivela alcune delle radici linguistiche di un territorio che da sempre (e non per sempre) tende, già solo per natura geografica, all’altro, al passaggio del diverso.
La mafia, non ne esce perdonata. Al contrario, il testo ci offre un excursus diacronico sulle attività gestite dalla malavita bruzia: gioco d’azzardo, attività di contrabbando e prostituzione in principio a cui si aggiungono spaccio ed estorsioni, sino al tema caldo di questo presente, il cemento. La Cosenza di oggi, in preda a una turbo-urbanizzazione fatta di grattacieli deserti e perenni cantieri edili, è il risultato di questa diacronia. Pasquale Rossi scrive in un articolo sulla giunta di Mario Occhiuto, attuale sindaco della città, apparso sul sito di contro-informazione Iacchite’
E dal territorio, dalle lanterne che si levano oltre le mura del carcere di Cosenza ogni 31 dicembre, ritorniamo al testo: il cuore è una proposta di riflessione politica attraverso la denuncia del sistema penitenziario; a noi lettori e lettrici viene permesso di rubare uno sguardo interno, attraverso le memorie e i pensieri del protagonista, e questo non può che responsabilizzarci. “L’ergastolo è la fine delle illusioni. Se me lo danno, non ci sarà più tempo per sognare né spazio per pensare”. (lucia turco)
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