«A Napoli, nel rione Vasto si ha paura a camminare di giorno. Il Vasto, piazza Garibaldi sono diventati pezzi di quarto mondo, lì non può camminare un uomo maturo non dico una ragazza». Il governatore della Campania Vincenzo De Luca ha iniziato la sua lunga campagna elettorale inseguendo la propaganda salviniana già alla Festa dell’Unità di Ravenna, e venerdì scorso, a Lira Tv, in un accesso di retorica post-coloniale già esibita in passato, arrivava a definire il quartiere napoletano del Vasto come il “quarto mondo”. Intanto, mentre agenzie stampa e utenti dei social network riprendevano le esternazioni dello “sceriffo”, a piazza Principe Umberto, nello stesso quartiere, alcune centinaia di persone partecipavano nel pomeriggio a un incontro pubblico promosso dal Movimento migranti rifugiati Napoli e da Potere al popolo, quindi, in serata, assistevano allo spettacolo teatrale Workers, realizzato dal Teatro popolare dell’ex Opg utilizzando come palcoscenico un giardinetto riqualificato dagli stessi migranti e dagli attivisti del centro sociale.
Così, nel quartiere di Napoli a ridosso della stazione centrale, si consuma, ancora una volta, la dicotomia politico-culturale che vive l’intero paese sulla questione migranti: da un lato il discorso pubblico di esponenti politici protesi a catturare consensi attraverso la logica del capro espiatorio, dall’altro gruppi di attivisti, comitati, cittadini che provano ad affrontare la complessità di una società multiculturale interessata da costanti flussi migratori (in entrata e in uscita), complessità che nel caso del Vasto comprende la pervasività della camorra, la crisi delle attività tradizionali del terziario, la trasformazione urbanistica determinata non dal decisore pubblico, ma dalle scelte di una società come Grandi Stazioni. La stessa questione migranti, con la concentrazione in quest’area di richiedenti asilo, come pure ha ricordato Chiara Capretti di Potere al popolo, va ricondotta alle scelte operate dalla Prefettura, che a partire dalla cosiddetta emergenza Nord Africa, con il concorso degli assessorati regionali e delle associazioni di categoria, ha stranamente individuato negli albergatori della zona gli unici soggetti cui affidare un’accoglienza dimostratasi, negli anni, a tinte fosche. E proprio ricordando l’emergenza Nord Africa, Alfonso De Vito, della campagna Magnammece ‘o pesone, ha sottolineato come esisterebbero soluzioni istituzionali efficaci per affrontare le questioni in campo, innanzitutto consentendo a chi si trova bloccato in Italia di completare il proprio progetto migratorio con il rilascio di permessi umanitari, strada paradossalmente percorsa proprio dal predecessore leghista di Salvini al Viminale, quel Roberto Maroni che diede vita alla più importante sanatoria di migranti “irregolari” in Italia. Il prossimo “decreto sicurezza” preparato da Salvini percorrerà, invece, la strada opposta, perseguendo un’idea repressiva di ordine pubblico fatta di respingimenti, annunci di rimpatri, dinieghi di permessi e centri di detenzione, che nel medio periodo ingrosserà l’area della irregolarità e della marginalità, ma oggi appare più efficace per le prossime scadenze elettorali.
L’azione di migranti e attivisti, prima con la pulizia e la piantumazione di un giardinetto abbandonato, quindi con la restituzione all’incontro e addirittura all’arte di quello stesso luogo, concretizza una possibilità altra di decoro urbano, riconducendola alla necessità di ripensare collettivamente gli spazi pubblici e sottraendola a una logica di ordine pubblico che, in realtà, spesso sottende interessi privatistici e speculativi. Certamente l’iniziativa di venerdì scorso al Vasto non risolve i problemi di questo quartiere, ma ci è sembrata più efficace la follia di una rappresentazione teatrale in un’aiuola (pure tra tante difficoltà ambientali brillantemente affrontate dai tre bravi attori) che non l’installazione di decine di telecamere di videosorveglianza (funzionanti o meno). Il controllo telematico del territorio può essere utile come strumento probatorio, lo è molto meno, statisticamente, come fattore deterrente, e certamente non è risolutivo.
Nel 1959 Gianfranco Contini nella rivista Studi di filologia italiana scriveva un saggio dal titolo “I più antichi esempi di razza”, individuando l’origine della parola nel francese haraz: “allevamento di cavalli, deposito di stalloni”. Il termine razzo, spiega Contini, apparirebbe per la prima volta nella “intelligenza”, poemetto allegorico in rima del Trecento, in riferimento al cavallo di Cesare, definito “di gran razzo”. Chiudendo le sue riflessioni Contini esclama: “Un attonimento retrospettivo merita piuttosto tanto sciupio di platonismo, neoplatonismo, patristica scolastica, idealismo volto a suffragare la nobile derivazione [della parola razza da ratio]. Per l’appoggio terminologico di tanta abiezione, ferocia e soprattutto stupidità, quanto è più ricreativo avergli scovata una nascita zoologica, veterinaria, equina!”. Ecco, terminato lo spettacolo teatrale, percorrendo via Firenze, non ho scovato indizi del “quarto mondo”, ma ho ritrovato il riferimento equino di tante politiche e affermazioni dei governanti di questo nostro tempo. (antonio esposito)
Leave a Reply