Ripubblichiamo questo articolo scritto nel novembre 2023 da Stefano Portelli e Victor Serri, in seguito alla conferenza stampa tenutasi ieri a Barcellona in cui è stato annunciato l’esilio del giornalista catalano Jesús Rodriguez in Svizzera, dove sono rifugiate già altre cinque persone perseguitate dalla giustizia spagnola. Alla conferenza, commentata anche da Radio Onda D’Urto, erano presenti membri di tutti i movimenti sociali della città: oltre all’indipendentismo c’erano attiviste del movimento per la casa, della lotta antirazzista, della difesa dei diritti umani, delle lotte anticarcerarie, mostrando un’unità che non si vedeva da anni.
L’accusa di terrorismo a Jesús, infatti, non è solo un attacco a quello che resta dell’indipendentismo, e allo stesso giornalismo (Jesús è accusato di avere informazioni su una manifestazione prima che avvenisse, cioè di aver fatto il suo lavoro di giornalista); è soprattutto un attacco al diritto alla protesta e al dissenso politico.
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Come i mercanti di armi hanno bisogno di guerre, l’antiterrorismo ha bisogno del terrorismo; quando non trova terroristi deve inventarli. Tenere viva la paura del terrorismo serve soprattutto a isolare e creare sfiducia intorno a chi fa politica fuori dai partiti e dalle reti clientelari. Nello stato spagnolo – già richiamato dalle Nazioni Unite per violazioni dei diritti politici – l’ultimo bersaglio di questa strategia è il giornalista catalano Jesús Rodríguez, fondatore del giornale cooperativo La Directa, oltre che amico e compagno degli autori di questo articolo. Non c’è nessuno che abbia fatto politica seriamente a Barcellona negli ultimi venti anni che non conosca Jesús, il cui pseudonimo online da anni è Albert Martínez, dal nome di un poliziotto infiltrato nel movimento okupa di Barcellona negli anni Novanta.
Nato a Santa Coloma de Gramanet, nell’hinterland di Barcellona, una zona abitata per lo più da famiglie di migranti spagnoli (ha un nome spagnolo, come molti sostenitori dell’indipendenza nelle periferie di Barcellona), Jesús è uguale a migliaia di altre persone che a Barcellona hanno militato ininterrottamente nei movimenti sociali dagli anni Novanta a oggi: dal movimento okupa alle lotte contro il Partido Popular e la guerra in Iraq, dalle proteste contro la speculazione urbanistica e la distruzione del territorio fino alle mobilitazioni per la liberazione della Catalogna dalla dinastia dei Borboni, ultima propaggine della dittatura franchista.
Jesús è uguale a tanti altri che ci sono stati sempre, e che hanno reso Barcellona una delle città politicamente più interessanti d’Europa. Era dentro il Cine Princesa durante la mitologica occupazione del 1997, la prima okupa di Barcellona; redigeva lo storico giornale murale Contrainfos, con cui gli spazi autogestiti della città si sono scambiati le informazioni per oltre un decennio; è stato un membro della trasversale Assemblea di resistenza al Forum 2004, contro l’evento che segnò il nuovo ciclo di speculazione urbanistica e turistificazione della città; ha collaborato al documentario Ciutat Morta, poi trasmesso in televisione, che mostra la corruzione della polizia catalana dietro alla morte della poetessa Patricia Heras; ed è stato tra i fondatori de La Directa, da cui Monitor ha sempre tratto articoli e informazioni di alto livello.
La Directa, che ha sempre indagato a fondo sugli abusi della polizia, sia spagnola che catalana, ultimamente ha svolto un’indagine capillare sugli infiltrati nei movimenti di base, scoprendo un’ondata di infiltrazioni tra gli anni 2020 e 2022. Quattro agenti della polizia nazionale hanno assunto quasi contemporaneamente le identità false di Dani, Maria, Marc, Ramón, per infiltrarsi nei movimenti di lotta per la casa ed ecologisti della Catalogna. Hanno mentito e ingannato per anni senza neanche un’inchiesta giudiziaria che giustificasse la loro operazione, mantenendo relazioni sentimentali e rapporti sessuali al solo scopo di ottenere informazioni. L’inchiesta ha alimentato una causa importante contro la polizia, per le iscrizioni false degli agenti alle università di Barcellona e Valencia, per i delitti contro l’integrità morale delle persone ingannate, e anche per abuso sessuale. Il Tribunale spagnolo naturalmente ha rifiutato tutte le accuse. Il recente attacco contro Jesús è evidentemente una vendetta per l’intera azione, giornalistica e legale, nonché per un ventennio di militanza politica e di monitoraggio e denuncia degli abusi della polizia.
Formalmente il nome di Jesús è stato inserito nell’inchiesta che riguarda lo “Tsunami democratico”, l’ondata di proteste di massa del 2019 contro la criminalizzazione del movimento repubblicano e indipendentista catalano. Il giudice Manuel García Castellón dell’Audiencia Nacional spagnola lo accusa di aver gestito il meccanismo informatico che convocava le manifestazioni attraverso un’app anonima, basata su software libero, criptata e fuori dalle piattaforme proprietarie. Quando il
Tsunami democràtic permise di organizzare l’occupazione dell’aeroporto di Barcellona, dove all’improvviso si presentarono diecimila persone che bloccarono tutti i voli per nove ore, facendo crollare le azioni della compagnia aeroportuale Aena, finché la polizia non intervenne sgomberando i manifestanti a manganellate e facendo quaranta feriti. Pochi giorni dopo, Tsunami mobilitò migliaia di automobilisti sull’autostrada AP-7 al confine con la Francia, bloccando la frontiera e quindi l’entrata dei camion merci che di fatto riforniscono la città. La rivista di tecnologie Wired scrisse che questa app potrebbe “rivoluzionare il mondo dell’attivismo online”.
Nella causa sono coinvolte altre otto persone oltre al giornalista Jesús Rodríguez. La polizia ha descritto l’organizzazione delle proteste come una cupola che comunicava in segreto, usando pseudonimi,
Uno degli esiti del processo potrebbe però essere l’amnistia. Nel frattempo infatti il governo Sánchez sta preparando una legge per annullare tutte le cause del “processo” indipendentista,
L’esigenza di un’amnistia sugli anni di repressione a chi aveva organizzato il referendum indipendentista era in discussione da mesi, ma la legge proposta dal Psoe, da Podemos e dai partiti indipendentisti Junts, Erc e Sumar, paradossalmente include anche i poliziotti colpevoli di gravissime violenze contro chi manifestava o tentava di votare. Così architettata, l’amnistia servirebbe soprattutto a
Qualcosa di simile avvenne con la fine del regime di Francisco Franco, quando la legge per l’amnistia del 1977, richiesta a gran voce da partiti e sindacati antifascisti, servì per cementare un “patto dell’oblio” che cancellò soprattutto
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