L’INFERNO NELLE BOTTIGLIE
Maruo Suheiro
Coconino Press-Fandango, 208 pagine, 20 euro
Qualcuno potrebbe dire che i giapponesi hanno una rotella in meno e una marcia in più. Nel mondo del fumetto ci sono gli argentini, gli italiani, i belgi e i francesi, gli stati unitesi… Ma i giapponesi! Come dire? Peccato per coloro che pensano che il fumetto sia una cosa da ragazzini (e in parte hanno ragione) e peccato per chi pensa che il fumetto giapponese sia solo faccioni e occhioni… È anche quello. Ma è molto, molto di più. È un vero e proprio universo, i cui frutti non sono paragonabili, a mio avviso, a quelli di nessun altro paese. Perché se Maus (Art Spiegelman) ha rivelato (giustamente) al mondo che con il fumetto si poteva raccontare tutto, anche i capitoli più dolorosi della storia umana, e che lo si poteva fare meglio, o con altrettanta profondità e complessità, che con la letteratura o il cinema, non dimentichiamoci che qualche anno prima usciva Gen di Hiroshima (Keiji Nakazawa) che parlava di una famiglia giapponese, prima, durante e dopo l’infame bombardamento americano sul suolo giapponese. Gen di Hiroshima è un vero capolavoro e consiglio a tutti di leggerlo. Quando lo leggevo da piccolo piangevo sempre, è un’opera molto potente e poetica. Intendiamoci, Gen e Maus, insieme ad altre opere, dovrebbero essere dei veri e propri strumenti didattici, e in un mondo ideale li troveremmo vicino ai testi di scuola. Se parliamo di fumetto il Giappone è la patria di infiniti gioielli.
Ma che cosa hanno di così unico? Hanno una invidiabile capacità di unire in un’opera registri molto diversi, che potremmo anche considerare opposti, nella nostra tendenza (occidentale) a tracciare una linea così netta tra bene e male, comico e tragico, e via dicendo. In molte opere che vengono dal Giappone, siano esse di fumetto o di cinema, il confine tra i generi è molto meno chiaro ed è per questo che spesso riescono a esplorare, che dico, a sprofondare nella parte più cupa e inconfessabile dell’animo umano; ma anche, e questo è davvero incredibile, a innalzarsi verso vette di poesia difficilmente raggiunte altrove. E qui penso, per esempio, a Hayao Miyazaki.
Ho fatto questa breve introduzione per preparare un po’ il terreno a un’opera potente e conturbante, pubblicata di recente dalla casa editrice Coconino Press. Si tratta di L’Inferno nelle bottigliedi Maruo Suehiro. Non dirò cose che si possono trovare su Wikipedia (dovrei?), dico solamente che Suehiro, nato nel 1956, è considerato uno dei maestri del manga horror, le cui tematiche sono violenza, incesto, sadomasochismo e tutte le perversioni che potete immaginarvi. Il tratto è realistico e preciso. Abbiamo parlato di Miyazaki prima. Bene, se dopo un film di Miyazaki vi sentite in pace e in armonia con il mondo e in voi è rinata l’idea che in fondo l’umanità si può salvare attraverso l’amore (Miyazaki non è solo questo, la critica al nostro mondo che distrugge la natura è feroce), dopo aver letto i racconti di Suehiro potreste sentirvi sporchi, macchiati dal peccato e dai cattivi pensieri. Pensieri non certo confessabili di fronte a un prete, rischio segnalazione all’esorcista di turno. L’inferno nelle bottiglie è composto da quattro racconti indipendenti. Non parlerò di tutti ma voglio brevemente raccontare il primo, quello che dà il nome alla raccolta, tratto da un breve racconto di Yumeno Kyusaku. Qui si parla di due fratelli, il maschio Tarō e la femmina Ayako, che dopo una tempesta naufragano su un’isola deserta a prima vista paradisiaca. Sono soli e ancora bambini, e all’inizio vivono in armonia con la natura e con quello che l’isola può offrire, come dei piccoli Robinson Crusoe. Tutto è idillio. Crescendo, i loro corpi cambiano e non riescono più a guardarsi come prima. Si accende un desiderio sessuale che s’insinua come un viscido e freddo serpente e i nostri piccoli Robinson diventano Adamo ed Eva già decaduti, già peccatori, già dannati e condannati. Si condannano da soli, il lungo braccio della morale e della religione arriva anche dove sono soli, dove non ci sono testimoni, se non loro stessi. Il desiderio, unito alla consapevolezza che quello che provano è il peggior peccato, sarà la loro perdita e la porta d’ingresso verso una disperazione nera e dolorosa. Tutto questo è raccontato da Tarō attraverso le lettere che spedisce via mare, sperando (o forse no) che qualcuno le trovi e venga a salvarli. E il lettore soffre, soffre parecchio. E soffre anche mentre legge gli altri tre racconti, dove non manca un umorismo nero che è parte integrante del dolore stesso. Ne uscirete come dei peccatori e non ci sarà redenzione, se non quella che può dare il tempo che passa e la memoria selettiva. Questo è horror vero, non quello di mostri che vengono da fuori ma di mostri che vengono da dentro. Qui non c’è speranza. E se Hayao Miyazaki va verso la luce, Maruo Suheiro ci porta verso il buio, verso il lato oscuro. E se non fosse possibile una cosa senza l’altra? (miguel angel valdivia)
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