Da Repubblica Napoli del 4 ottobre 2013
Il centro comunale “Mario e Chiara a Marechiaro” organizza ogni anno i soggiorni estivi per bambini provenienti da famiglie non agiate della città. È una struttura bella e composita, formata da una palazzina con le camere da letto, un ampio locale per il gioco, diverse sale per i laboratori, un campetto di calcio. Fino a qualche anno fa era dotata di una discesa a mare esclusiva, ma dopo la caduta di un masso la zona fu transennata e da allora si attende che venga messa in sicurezza. Ai bagni, però, i giovani ospiti non rinunciano. Questa estate, accompagnati dagli educatori, hanno fatto immersione nell’area protetta della Gaiola e nel parco sommerso di Baia. A luglio e agosto il centro ha accolto quasi cinquecento ragazzi segnalati dai servizi sociali, circa cinquanta a settimana. Il budget a disposizione per i mesi estivi ammontava a centoventimila euro. La certezza di disporre dei soldi è arrivata solo a maggio, ma tutto è filato liscio. A partire da settembre, come da qualche anno ormai, nessuno stanziamento è previsto per le attività invernali: i percorsi residenziali brevi, per esempio, richiesti da parrocchie, scuole e associazioni; oppure gli scambi di ospitalità con gruppi di ragazzi provenienti dall’Italia o dall’estero. Gli operatori non dispongono nemmeno di un fondo per le riparazioni. La manutenzione la fanno i custodi. L’inverno scorso il centro di Marechiaro è stato chiuso per due mesi. Gli operatori hanno protestato e alla fine il centro ha riaperto. Ma è evidente che tenerlo inattivo per otto mesi significa lasciare che cada a pezzi giorno dopo giorno.
Fino al 2010 Napoli disponeva di venti ludoteche territoriali gestite da altrettante associazioni. Chiuso il progetto che le finanziava, da un giorno all’altro ne è rimasta una sola: la ludoteca comunale nel rione Sanità, in zona Miracoli. Anche la ludoteca organizza i campi estivi e quest’anno ha avviato un progetto di “educazione al territorio” con visite agli edifici storici del quartiere, ma anche ad attività produttive come la fabbrica di guanti o quella di cioccolato. I bambini sono accolti da una guida, oppure da una persona del posto che si improvvisa cicerone; qualche volta compaiono i nonni o i genitori per raccontare, con molta emozione, il loro rapporto che con quei luoghi. Come a Marechiaro, gli operatori della ludoteca sono affiancati da quelli di un’associazione che ha vinto un bando pubblico annuale. Il prossimo febbraio scade il loro mandato. Per questo motivo la ludoteca non può programmare le attività per tutto l’anno scolastico; deve fermarsi a febbraio e poi sperare che il dirigente del servizio firmi una proroga all’associazione, oppure che venga indetto un nuovo bando, del quale però non si sa nulla, se non che sarebbe già tardi se venisse indetto domani. Per il momento domina l’incertezza. Anche per avviare i tirocini gratuiti con gli allievi delle scuole superiori, che la ludoteca ospita abitualmente, l’autorizzazione del dirigente sembra più difficile da ottenere di una concessione papale.
“Non ci sono soldi”. “I dirigenti non firmano”. Questi sono i due ritornelli che echeggiano negli uffici comunali mentre il sistema di assistenza sociale si sfalda a velocità progressiva. È evidente che la scorsa amministrazione ha malversato i soldi pubblici lasciando dei buchi enormi, così come il fatto che i controlli sui conti degli enti locali si sono intensificati, aumentando le remore dei dirigenti. Questo però non può costituire un alibi. Il lavoro sociale non può essere lasciato nelle mani del personale amministrativo. Non è possibile che per risparmiare trecento euro al mese per la turnazione degli operatori si tenga chiuso un centro d’eccellenza come quello di Marechiaro; oppure che educatori comunali con trent’anni di esperienza debbano minacciare le dimissioni per ottenere il visto su un’autorizzazione o un appuntamento con l’assessore.
I dirigenti devono far quadrare i conti, si dice. Ma nessuno spiega perché i soldi per iniziative di propaganda, futili ed estemporanee, vengono sempre fuori in maniera copiosa. Nessuno richiama gli stessi dirigenti ad assumersi – spesso su atti di ordinaria amministrazione – le responsabilità che competono al loro ruolo. Lo ha fatto il sindaco un anno fa, per sbloccare la mancata assunzione delle maestre precarie che paralizzava l’attività delle scuole dell’infanzia. In un momento così delicato, andrebbe fatto sistematicamente. Non si tratta di forzare la mano ma di manifestare una volontà politica, in presenza della quale il personale amministrativo ha sempre dimostrato di saper trovare una soluzione ai problemi. È l’unica strada per arrestare la frana dei servizi sociali. È una responsabilità che devono prendersi il sindaco e gli assessori. Le strutture pubbliche devono essere in grado di accogliere in modo decente, di programmare a lungo termine, di assicurare la continuità del servizio, di definire i propri modelli di intervento educativo.
C’è chi ancora rivendica il carattere popolare di questa sindacatura vantando la quantità di pizze vendute sul lungomare. Sono ben altri i parametri sui quali misurare l’attenzione verso i più deboli. La realtà è che in questi anni arriva silenziosamente a compimento la demolizione di un sistema – già ridotto ai minimi termini eppure indispensabile per tanti – basato sulla solidarietà e sulla speranza di emancipazione; una delle poche possibilità per la nostra città di non fratturarsi definitivamente tra quelli che hanno e quelli che non hanno, tra il privilegio e la rabbia. (luca rossomando)
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