Enormi altoparlanti, pesanti amplificatori, scatole e scatole di dischi in vinile, pochi soldi in tasca. La vita di un reggae sound system non è affatto facile. Eppure, l’idea di una discoteca mobile e indipendente, capace di trasformare una spiaggia, una piazza o un palazzo abbandonato in un party scatenato, continua ad affascinare. Anzi, la scena sound system planetaria non è mai stata così ampia, trasversale e seguita come in questi ultimi anni.
Sulle origini del fenomeno – poco più che un giradischi collegato a un altoparlante per vendere qualche birra in più, in una polverosa strada di Kingston nei tardi anni Cinquanta del secolo scorso – molto è stato scritto. Mezzo secolo dopo, resta una sorta di stupore reverenziale per il modo in cui una forma di intrattenimento partorita da sottoproletari neri di un paese del cosiddetto “terzo mondo” sia riuscita a esercitare un’influenza tanto duratura e pervasiva sulla musica pop, dance ed elettronica del resto del mondo. Vedere le tipiche torri di altoparlanti affacciarsi oggi in India, Messico, Nuova Zelanda o Giappone, induce inoltre a interrogarsi sui meccanismi alla base di tale fascinazione, sulla ricchezza culturale di un’esperienza che fonde la ricerca tecnologica a quella musicale, e più in generale a chiedersi se l’esportazione di tale modello in contesti tanto diversi riesca comunque a raccontare qualcosa del rapporto tra musiche dal basso e spazio pubblico.
Da una riflessione attorno a questi temi nasce Sound System Outernational 5 – Sounds in the City, evento internazionale che si terrà a Napoli dal 4 al 6 aprile grazie alla collaborazione tra il gruppo di ricerca SSO, L’Orientale e Goldsmiths University of London, con il supporto di varie realtà cittadine. Il format ricalca quello degli eventi precedentemente organizzati a Londra e in Giamaica: l’attenzione per la dimensione globale del fenomeno unita alla ricerca e alla valorizzazione delle esperienze locali; il gusto archivistico per le molteplici voci che raccontano una storia “dal basso”; l’attenzione per il contributo femminile, spesso relegato nell’ombra; l’aspirazione a costruire un ponte tra le spinte meno convenzionali che animano l’accademia e quanto si muove là fuori, nelle strade e nei club dove la cultura dei reggae sound system continua a riprodursi, gioiosamente indipendente.
La storia di ogni paese suona in maniera diversa in base alle vicissitudini politiche locali, al substrato culturale e al diverso peso e tipologia dei flussi migratori che lo hanno attraversato. Quella italiana rimanda probabilmente più alla stagione dei centri sociali o ai legami con la scena post-punk inglese che alla Giamaica stessa. In altre parole, a quel Punky Reggae Party cantato dai Wailers, che ben racconta la diffusione del reggae nel nostro paese come il prodotto di una ricerca verso altri riferimenti culturali, in grado di avvicinare l’Italia a una mappa sonora e politica dai confini più ampi. Tuttavia, mentre la stagione delle posse è stata ampiamente trattata sia a livello sociologico che artistico, poca attenzione è stata rivolta agli albori del movimento sound system italiano, che di quell’esperienza rappresenta invece la spina dorsale.
Per provare a riempire questo vuoto narrativo, giovedì 4 saliranno in cattedra all’Orientale Lampa Dread, Mimmo Superbass e Nadine Muxima, tre delle figure più rappresentative della scena sound system italiana, accompagnate dalla giornalista Grazia Rita Di Florio. Chi ha più di trent’anni, e molti di quelli che ne hanno meno, avranno ballato almeno una volta nella vita sotto le casse del One Love Hi Powa, dell’I&I Project o del KDW; la tavola rotonda avrà lo scopo di ripercorrere vicende nascoste o dimenticate e tentare un bilancio provvisorio di una storia ancora tutta da scrivere. In serata, presso il Kestè Art Bar, l’inaugurazione della mostra Sound Icons, accompagnata dalla musica di Lampa, Mimmo e Santantonio Rockers.
Venerdì 5 presso Palazzo Du Mesnil si terrà il convegno principale, in cui si alterneranno come relatori docenti, artisti, soundmen e soundwomen. Tra gli ospiti Louis Chude-Sokei (Boston University), il cui lavoro si incentra su musica nera, tecnologia e questione razziale; Sonjah Stanley-Niaah (UWI, Mona), erede della tradizione dei Cultural Studies in Giamaica; e ancora Young Warrior, figlio del leggendario soundman britannico Jah Shaka. La giornata si concluderà allo Scugnizzo Liberato, aspettando le danze notturne tra proiezioni e l’arena dei mini sound system a 12V.
La sessione conclusiva avrà luogo sabato 6 a Officina 99, sicuramente lo spazio più influente per lo sviluppo di una scena sound system locale. Nel pomeriggio ci sarà un tributo a King Tubby, anche noto come “the dub inventor”. In prima serata proiezione in anteprima europea del documentario Bass Culture, realizzato dall’Università di Westminster per mappare sessant’anni di storia della musica giamaicana in UK. Dalle 23 il party finale, tra gli ospiti Mad Professor e Aisha, sul resident sound Bababoom Hi Fi.
È il caso di specificare che il progetto nasce nel Regno Unito, un paese dove le spinte provenienti dal basso riescono spesso a ottenere una risonanza qui da noi impensabile. Il motivo va ricercato in parte in un complesso culturale che funziona come un’industria vera e propria, continuamente bisognosa di nuove spinte da mettere al lavoro; e in parte nella conformazione della stessa società britannica, improntata a un multiculturalismo che fa della conservazione e valorizzazione delle esperienze minoritarie le proprie parole d’ordine. In entrambi i casi, l’università rappresenta un ingranaggio importante nel funzionamento dell’intero apparato.
Sarà perciò interessante mettere alla prova il progetto in un paese in cui le spinte più valide provenienti dall’underground sono sistematicamente schiacciate tra l’assimilazione al pop mainstream e una depressione finanziaria strutturale, insostenibile sul lungo periodo. E dove un’università vecchia e timorosa tende ancora a sbarrare la porta alle esperienze e ai saperi che premono dall’esterno. Ancora più interessante è il momento storico in cui questo confronto avviene, con il sound system che si afferma come movimento culturale globale, sostenuto da un pubblico sempre più giovane e bianco. In questo contesto la spinta per un riconoscimento artistico, professionale, o – in questo caso – accademico dei suoi rappresentanti può avere un peso politico differente, a seconda dei soggetti coinvolti. Sarà opportuno allora non perdere di vista la mano che tara la bilancia, al fine di operare una valutazione equilibrata. Di fronte al bivio tra un’acritica assimilazione e l’abbandono per esaurimento, è necessario oggi più che mai aprire una terza via. (brian d’aquino)
Clicca qui per il programma completo
Leave a Reply