da: I Siciliani
Il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica riunitosi in prefettura a Catania ha chiesto, per bocca del Procuratore, l’intervento dei militari per il controllo della città, l’impiego di più telecamere, un ricorso maggiore al daspo urbano. Prefetto, sindaco, questore e capitano dei carabinieri hanno annuito. Pensano loro che in città si delinque perché non c’è un vigile a ogni angolo di strada, ne vorrebbero uno per ogni cittadino. Non si rendono conto che neanche questo basterebbe a rendere Catania più “sicura”.
La città colta e benestante, politicamente trasversale, ha negli ultimi decenni divorato ogni ricchezza che Catania ha prodotto, relegando alla più assoluta povertà una massa enorme di cittadini, rinchiusi nei ghetti dei quartieri popolari. Per loro le scuole peggiori, gli insegnanti più precari, gli impianti sportivi più fatiscenti, le piazze più brutte, le strade non lavate, le discariche a ogni incrocio, le case più pericolanti, gli impiegati pubblici più scortesi. Nessun teatro, nessun ufficio pubblico, nessuna sede universitaria. Nell’abbandono si è sedimentata la rabbia, la violenza, il disprezzo per istituzioni che non danno altro che qualche retata all’alba. La mancanza di ogni diritto di cittadinanza ha trasformato i cittadini in disperati: utile merce elettorale da arruolare alle elezioni. Di questi disperati la mafia ha fatto incetta per avere sempre più consenso e sempre più manovalanza.
I catanesi che abitano le zone ricche della città si indignano della violenza non appena essa sconfina dai ghetti. Come i padroni che rimproverano i cani che si accovacciano sui divani del salotto. Non si curano del disastro sociale che vive la maggioranza dei cittadini, anzi metterebbero dei muri, se solo potessero, per fare in modo che il centro borghese potesse essere immune dalle comitive di ragazzini che abitano a Librino, a San Cristoforo, a San Giovanni Galermo, a Monte Po, a Zia Lisa. E che il sabato pomeriggio arrivano in centro a vivere la città nel solo modo nel quale è stato insegnato loro di viverla.
Certo in quei quartieri esistono le eccezioni. Coloro che riescono a emanciparsi, a uscire dalla disperazione e diventare cittadini, esistono studentesse e studenti eccezionali, maestre bravissime, donne e uomini onesti, lavoratrici e lavoratori straordinari. Certo esistono le resistenze. Le associazioni sportive, culturali, musicali, i cori e le orchestre, i centri sociali, i comitati di quartiere. Ma queste vite e queste esperienze non possono bastare a normalizzare l’anomalia di quartieri abbandonati e saccheggiati. E ancor di più non possono essere l’alibi per chi continua l’abbandono e il saccheggio.
Nel quartiere di Librino gli abitanti hanno dovuto aspettare dieci anni di ritardi per avere un ospedale. Quasi come una condanna, sull’obelisco che ne segnala l’ingresso, è scritto: “Ospedale San Marco – Librino”. Come se quel quartiere non fosse Catania. L’unico teatro del quartiere è stato inaugurato quattro volte, in vista di altrettante scadenze elettorali, ma non ha mai aperto veramente e giace chiuso e vandalizzato dietro un palazzone di case popolari che vanno avanti da decenni. A San Cristoforo le piazze non hanno manutenzione a tal punto che la piazzetta di via De Lorenzo è stata chiusa dal Comune, saldando al suo ingresso delle assi di ferro che servono per le impalcature. I bambini devono scavalcare per andare a giocare. A Picanello al centro di una grande piazza c’era una scuola. L’hanno chiusa e hanno promesso di trasformarla in una caserma.
Il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica avrebbe dovuto discutere dell’ingiustizia della nostra città, di quanti assistenti sociali seguono veramente le ragazzine e i ragazzini usciti dagli istituti penali per minorenni, di quanta disoccupazione c’è nei quartieri, di quanti bambini non vanno più a scuola, di quanti bambini pur andando a scuola rimangono semianalfabeti, di quante donne restano schiave della violenza domestica per motivi economici, di quanti ragazzi sono schiavi della mafia per assenza di reddito, di quanti vivono in condizioni disumane per assenza di alloggi. Avrebbe dovuto discutere di quanto inciderà il dissesto finanziario imposto dalla Corte dei Conti sui servizi sociali, sulla manutenzione delle scuole, sui centri di quartiere, sui progetti culturali, sugli impianti sportivi, sulla manutenzione delle strade, sugli investimenti nelle case popolari.
Perché è il degrado sociale, la povertà economica, culturale, affettiva che genera violenza. E non basta un poliziotto per applicare la legge in una società disperata. Serve ristabilire un patto sociale, serve applicare la costituzione, serve consegnare giustizia. Serve dare un lavoro stabile a chi vive di espedienti.
In Sicilia solo il 4% delle bambine e dei bambini ha il diritto al tempo pieno a scuola. In Italia il 30%, in Emilia Romagna il 49%, in Lombardia il 90%. Solo alle scuole elementari un bambino catanese fa duemila ore di scuola in meno di un suo coetaneo del nord Italia. Due anni in meno di lezioni, di scuola (fonte: Salvo Catalano, Meridionews). Basterebbero più insegnanti, basterebbe che il ministero autorizzasse nuove classi, basterebbe che il comune offrisse i servizi necessari. Le assistenti sociali, quasi tutte donne, sono sempre meno, sempre più prossime alla pensione. E hanno il cruciale compito di riuscire a sottrarre giovani cittadine e cittadini alla violenza, all’abbandono, alla delinquenza. Di seguire i nuclei familiari indigenti, di offrire occasioni di riscatto. Ma non ce la fanno, sono troppo poche. Immaginate cosa potrebbero fare nelle scuole insegnanti col compito di educare all’affettività, oggi che intere generazioni si ostinano a perpetuare le dinamiche di violenza e possesso contro le donne.
Per rendere Catania più sicura non servono plotoni di militari in divisa, armati fino ai denti. Serve un esercito di insegnanti e di assistenti sociali. Serve restituire la dignità alla città abbandonata. (matteo iannitti)
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