Poco prima del lockdown avevo scritto qualche appunto sulla situazione del litorale di Fiumicino. Durante la quarantena i principali comparti economici del territorio – trasporto, turismo, ristorazione e pesca – hanno subito un drastico rallentamento. La cittadina marittima di Fiumicino è distante qualche decina di chilometri da Roma ed è un comune autonomo dai primi anni Novanta. È uno dei più grandi centri pescherecci del mar Tirreno, attrae molti visitatori per la ricca ristorazione e ospita l’aeroporto internazionale più grande d’Italia per numero di passeggeri e traffico. A sessanta chilometri è presente il porto multifunzionale di Civitavecchia con quasi due milioni di metri quadri di banchine. In questa fase, la situazione riparte lentamente.
Nel corso del tempo, il territorio ha subito la presenza di raffinerie, discariche e centri di smaltimento dei rifiuti speciali. Negli ultimi anni gli abitanti si sono attivati contro un’altra grande speculazione, un porto turistico per millecinquecento barche private di grandi dimensioni, come yatch fino a ottanta metri, barche a vela e altre imbarcazioni di lusso. I lavori sono stati interrotti poco dopo il loro inizio per l’avvio di un’inchiesta giudiziaria sui meccanismi a scatole cinesi degli appalti. Nel 2013 è stato occupato il Bilancione, un presidio per la battaglia contro il porto e un nuovo spazio di socialità per gli abitanti del luogo.
Seguendo la via del Faro, si giunge sul litorale dove la foce del fiume Tevere si getta nel mar Tirreno. È il luogo prescelto da Dante per raccogliere le anime che si redimeranno sull’isola del Purgatorio. Appena arrivati, si avverte il fascino di una bellezza decadente. Il vecchio faro abbandonato da cinquant’anni, reti, reti aperte, plastiche risputate dal mare, scogli, enormi stampi arrugginiti per produrre frangiflutti. E poi c’è il movimento delle imbarcazioni che escono dal porticciolo, l’immobilità dei pescatori, il fluire di qualche visitatore. Sulla destra del faro, dopo avere oltrepassato gli sguardi dei vecchi signori seduti ai tavoli, scorgiamo i bilancioni: palafitte di legno sul mare. Alcuni hanno ancora il capanno con la rete a bilancia. In quest’area le persone di Fiumicino vengono a pescare, ad ammirare i meravigliosi tramonti, a farsi un tuffo.
Le persone del posto raccontano che nel passato l’area del vecchio faro era pubblica e accessibile. Per molti anni alcune strutture dei bilancioni erano state affidate come dopolavoro alle cooperative di operai della Stefer, dei dipendenti Atac e degli Aeroporti di Roma. La spiaggia era liberamente fruita da tutti gli abitanti di Fiumicino e non solo. Nel 2010, l’area viene attaccata dai lavori del Porto della Concordia. Tra il 1997 e il 2010 avvengono una serie di passaggi burocratici che riguardano la richiesta da parte di IP Iniziative Portuali della concessione di beni demaniali per la costruzione del porto turistico, l’approvazione del progetto preliminare che prevede un investimento di circa trecentocinquanta milioni di euro, la valutazione di impatto ambientale e, infine, l’atto di concessione demaniale di novant’anni sottoscritto tra la Regione Lazio, proprietaria dell’area, e la società IP.
Nel frattempo si costituisce il comitato cittadino Fiumicino Resiste, che non si fa abbindolare dalle promesse di ricchezza e lavoro che dovrebbe portare la grande opera e prova ad avvisare tutta la cittadinanza del pericolo di devastazione imminente. Oltre a denunciare la poca chiarezza con cui vengono fatte le valutazioni di impatto ambientale, il comitato pretende che i cittadini siano coinvolti nelle decisioni che gli enti locali stanno prendendo. Così si organizzano iniziative informative e presidi nell’area del vecchio faro per impedire la realizzazione di un’opera considerata inutile e aliena. Nonostante gli appelli, il 5 febbraio 2010 il Porto della Concordia vede la posa della prima pietra.
I lavori vengono affidati a diverse società private e a partecipazione statale; la principale è Acqua Marcia S.p.A. di Francesco Bellavista Caltagirone, a cui viene affidata la realizzazione di cantieri nautici e diverse strutture abitative, ricettive, commerciali, sportive e box auto. L’unica parte a essere realizzata è una diga foranea di quasi un chilometro, finalizzata a delimitare il bacino del porto.
Il paesaggio marittimo viene stravolto inutilmente. Già nel 2013, infatti, i lavori vengono bloccati a causa di un problema giudiziario che vede coinvolto Bellavista Caltagirone accusato di frode nelle pubbliche forniture e di appropriazione indebita. Tutta l’area viene posta sotto sequestro e il cantiere abbandonato.
Pochi mesi dopo, viene occupato uno dei bilancioni inutilizzati e nasce il Collettivo No Porto. Il gruppo, formato da alcuni giovani di Fiumicino, si pone l’obiettivo di preservare la spiaggia dalle speculazioni private. Con un comunicato il collettivo si auto-investe della difesa di quell’area. Cominciano i lavori di sistemazione del Bilancione e si avviano una serie di iniziative culturali e ricreative.
Dopo due anni di occupazione, con il pretesto della messa in sicurezza, la ditta appaltatrice decide di mettere ulteriori recinzioni in un’area limitrofa ai bilancioni. Gli attivisti del collettivo intervengono e si interpongono fisicamente tra le ruspe e lo spazio. Arriva la forza pubblica e inizia la trattativa con l’amministrazione comunale, che si conclude la modifica del piano di intervento di IP per garantire il libero accesso agli spazi. Grazie alla presenza e alla tenacia di tante persone si è riusciti a difendere un pezzetto di territorio.
Nel 2017 l’unica zona ancora chiusa e sorvegliata viene definitivamente abbandonata. Si aprono le reti e si libera il piazzale antistante al vecchio faro. Quest’area diventa il set cinematografico per molti film e serie televisive e un approdo per molti visitatori che vogliono ammirare il paesaggio dalla cima del faro. Tuttavia l’attacco al litorale di Fiumicino non si ferma. Nel 2019, la Royal Caribbean Cruises (secondo gruppo crocieristico al mondo) prova ad acquisire la concessione della società IP e propone un nuovo progetto che inserisce la funzione crocieristica. L’opera presenta un impatto ancora più forte per il territorio: inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo, sconvolgimento dell’equilibrio sedimentario della costa, impatti legati ai dragaggi necessari per questi fondali poco profondi. La foce del più grande fiume del centro Italia non si presta a ospitare grandi porti, perché il sedimento che trasporta il Tevere si distribuisce fino a Civitavecchia. Lo sviluppo di Fiumicino in questa direzione non è sostenibile. Oltre a ospitare habitat vulnerabili, tra cui una zona protetta adiacente al faro, gran parte del territorio di Fiumicino è anche sottoposto a vincolo per pericolosità idrogeologica, legata al rischio di alluvione ed esondazione.
Nell’ultimo anno, anche grazie alle mobilitazioni per il clima, si creano nuove sinergie. Il Collettivo No Porto si confronta con associazioni come Fuori Pista che combatte contro il raddoppio dell’aeroporto, Rifiuti Zero che si batte contro discariche e inceneritori, il comitato SAIFO (Sistema Archeo Ambientale Integrato Fiumicino Ostia) che promuove la valorizzazione del patrimonio archeologico, comitati di quartiere e altri ancora.
La principale rivendicazione in atto è la revoca della concessione e la proposta di un recupero diverso dell’area attraverso interventi conservativi che tutelino le caratteristiche strutturali, paesaggistiche e archeologiche. Piuttosto che altre opere inutili, il territorio avrebbe bisogno di una stazione ferroviaria cittadina, che non esiste più dagli inizi del Duemila quando tutti i treni furono dirottati all’interno dell’aeroporto. Molti abitanti chiedono spiagge libere e più luoghi di aggregazione.
In questi mesi, l’area del vecchio faro è stata sorvegliata in modo stringente: dal mare da parte della guardia costiera, da terra dalle forze dell’ordine, dal cielo coi droni. Ma non è rimasta del tutto abbandonata. C’è chi se n’è preso cura, chi ha continuato a viverci, chi ha deciso di occupare un bilancione abbandonato e recuperare uno spazio più idoneo per affrontare la situazione di clausura. È bastato decretare la fine di alcuni provvedimenti più restrittivi per far rivivere questo luogo.
In questa fase, in cui il comparto del turismo rimarrà fermo a lungo, può assumere ancora più forza la richiesta di non agganciare il destino di un territorio all’andamento del mercato e dei flussi turistici. Il dibattito e le pratiche di cooperazione, che sono rimaste bloccate durante questa fase, ripartono da nuove riflessioni che non possono ignorare la situazione di emergenza sanitaria e sociale in atto e le ripercussioni sull’ambiente e gli abitanti. (chiara davoli)
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