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napoli
30 Gennaio 2015

Fuori campo, un altro sguardo sui rom

Luca Rossomando
(archivio disegni napolimonitor)

da: Repubblica Napoli del 30 gennaio

Viene presentato a Roma il 30 gennaio e arriverà nelle prossime settimane a Napoli il documentario dal titolo “Fuori campo”, che sebbene ambientato in diverse città italiane ha un’origine tutta napoletana, a cominciare dal regista Sergio Panariello fino alla produzione di Figli del Bronx con il supporto delle associazioni Osservazione e Compare, che da anni documentano le condizioni di vita dei rom e operano per trovare soluzioni che ne favoriscano l’emancipazione. Il film racconta le vicende quotidiane di donne e uomini rom lungo la penisola, da Rovigo a Bolzano, da Firenze a Cosenza. Il suo merito principale è quello di allargare il ristretto orizzonte in cui racchiudiamo spesso il nostro immaginario ogni volta che si parla di rom. Su duecentomila residenti in Italia, infatti, circa quarantamila rom vivono in situazioni di disagio abitativo: baracche, container o centri di accoglienza; tutti gli altri però abitano in case normali, all’interno di quartieri dove la loro identità è un attributo caratterizzante ma non decisivo nelle relazioni con il vicinato o con la pubblica amministrazione.

Fin dal titolo il documentario di Panariello si propone di superare questa narrazione a senso unico legata all’emergenza abitativa, alla precarietà, a ogni tipo di minacce e strumentalizzazioni. A Bolzano ci mostra Kjanija, madre di tre figli, che vive in un appartamento che paga con il contributo del comune, ma troppo lontano dal centro abitato tanto da spingerla a mettersi in cerca di una casa più piccola e accogliente. A Cosenza Luigi, che lavora nei servizi per la raccolta differenziata, ha deciso di lasciare il rione di case popolari costruite solo per i rom per prendere in affitto una casa in un quartiere misto. A Firenze, Leonardo ci guida in un contesto in cui da anni i rom sono inseriti nelle graduatorie per l’assegnazione degli alloggi. E poi c’è Sead Dobreva, l’elemento di raccordo con Napoli e con l’esperienza che costituisce il nucleo originario del film.

Sead è un rom kosovaro di poco più di trent’anni, che lavora in una fabbrica metalmeccanica nei pressi di Rovigo, dove vive con la moglie e i suoi cinque figli in una casa di sua proprietà. Il passato di Sead però rimanda alla periferia nord di Napoli. Arrivato a Scampia da Pristina ancora adolescente, Sead ha vissuto alcuni anni nel campo di via Zuccarini, nei luoghi dove in seguito è stata aperta la fermata di Scampia della metropolitana. Dopo l’incendio doloso del campo, Sead venne trasferito con tutta la famiglia nel campo di prefabbricati allestito dal comune dietro il carcere di Secondigliano. Tra i tanti effetti collaterali di quella nefasta struttura, tuttora esistente, ci fu anche la convivenza forzata tra famiglie di religione diversa che originarono dissidi talmente gravi da sfociare in una sparatoria con due feriti. Sead fu uno di questi. La sua famiglia dovette scappare da Secondigliano in gran fretta e visse per alcuni mesi in alloggi di fortuna o accampata nei giardini pubblici, finché non decise di riparare al nord, in un paesino nei pressi di Rovigo. Sead aveva circa vent’anni. Da allora è diventato operaio e poi delegato sindacale in fabbrica, restando attivo nelle battaglie per i diritti della sua gente. Nel film lo vediamo intervenire in un convegno auspicando la fine delle politiche incentrate sui campi rom. E quando si presenta in pubblico, Sead sottolinea sempre la propria provenienza da Scampia… La sua come le altre storie vengono descritte non come casi eccezionali ma al contrario come la normalità, persone con un lavoro, con una casa, con una forte coscienza dei propri diritti e con le capacità per illustrarli e difenderli, nei quali le tribolazioni vissute hanno rafforzato la consapevolezza e la tenacia.

Anche a Napoli non tutti i rom vivono nei campi – esistono per esempio nuclei significativi in alcune zone del centro storico – ma sappiamo come qui alcune condizioni, dalla difficoltà a trovare un lavoro fino all’inefficacia delle politiche pubbliche, rendono la normalità una chimera e lasciano le persone sul filo del rasoio anche per l’intero arco dell’esistenza. Un film del genere, frutto di un lavoro di ricerca e documentazione ma anche di esperienze condivise nel corso degli anni, ci mostra come, di fronte ai pregiudizi, alle lentezze, alle furberie di molti, esiste una creativa capacità di mobilitazione in alcuni settori della nostra opinione pubblica, di cui potrebbe avvalersi l’intera città per fare qualche passo in avanti verso la convivenza civile e la buona amministrazione. (luca rossomando)

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